Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25647 del 14/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 14/12/2016, (ud. 26/10/2016, dep.14/12/2016),  n. 25647

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3045/2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

C.M.M.P., elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA DELLE MUSE 8, presso lo studio dell’avvocato ANGELA

SIRIGNANI, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO SALERNO in

virtù di mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 103/16/2010 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della TOSCANA, depositata il 09/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTA CRUCITTI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Nella controversia concernente l’impugnazione da parte di C.M.M.P., consulente finanziario, del silenzio rifiuto opposto ad istanze di rimborso dell’IRAP, versata negli anni dal 1998 al 2005, la C.T.R. della Toscana, con la sentenza indicata in epigrafe, in accoglimento dell’appello proposto dal contribuente, riformava parzialmente la sentenza di primo grado (di rigetto del ricorso) riconoscendo il diritto al rimborso limitatamente agli anni 2003, 2004 e 2005.

In particolare, il Giudice di appello ha confermato la decisione di primo grado, ribadendo l’inammissibilità del ricorso con riferimento alle annualità di imposta dal 1998 al 2002, avendo il contribuente aderito al condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, mentre per le annualità residue ha ritenuto, contrariamente al primo giudice, che i beni strumentali utilizzati dal contribuente, in assenza di segretaria, fossero i minimi indispensabili per l’esercizio della professione.

Avverso la sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso affidato a tre motivi.

Il contribuente resiste con controricorso.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in Camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, comma 1 e art. 3, comma 1 e con il secondo l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso ex art. 360 c.p.c., n. 5.

2. Le censure sono infondate. Il contrasto giurisprudenziale formatosi sulla res controversa è stato, di recente, composto dalle Sezioni Unite di questa Corte le quali, con la sentenza n. 9451/2016, hanno statuito, con riguardo al presupposto dell’IRAP in materia di lavoro autonomo il seguente principio di diritto: il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dal D.Lgs. 13 settembre 1997, n. 446, art. 2, il cui accertamento è rimesso al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.

2.1. La sentenza impugnata appare conforme a tali principi laddove, nell’accertamento di fatto demandato esclusivamente al giudice di merito, ha compiutamente esaminato gli elementi fattuali offerti ed argomentato l’insussistenza del presupposto impositivo per essere i beni strumentali utilizzati, in assenza di personale dipendente, il minimo indispensabile allo svolgimento dell’attività.

Di contro le censure, nei termini in cui sono formulate, sono inidonee allo scopo e tendono, inammissibilmente, ad una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dalla C.T.R..

3. Egualmente infondato è il terzo motivo afferente al regolamento delle spese operato dal Giudice di appello. Secondo la prospettazione difensiva la condanna alle spese di giudizio era errata sussistendo una soccombenza reciproca, avendo la C.T.R. accolto solo parzialmente l’appello del contribuente.

3.1. La censura è infondata laddove, a quanto emergente dagli atti ed in difetto sul punto di autosufficienza del ricorso, l’appello del contribuente aveva ad oggetto unicamente l’insussistenza del presupposto impositivo dell’IRAP, questione integralmente accolta dal Giudice di appello.

4. Ne consegue il rigetto del ricorso e compensazione tra le parti delle spese processuali per la novità della soluzione giurisprudenziale del contrasto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Compensa integralmente tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2016

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