Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25647 del 13/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 13/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 13/11/2020), n.25647

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18269-2019 proposto da:

O.E., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati MASSIMO CARLO SEREGNI, TIZIANA ARESI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto n. R.G. 18936/2018 del TRIBUNALE di MILANO,

depositato il 03/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA

MELONI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 3/5/2019, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Milano in ordine alle istanze avanzate da O.E. nato in (OMISSIS) il (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese in quanto, a seguito della morte del padre, aveva deciso di dividere le proprietà mentre il suo fratellastro non era d’accordo a cedere la metà dei beni tanto che lo aveva cacciato da casa e successivamente lo aveva minacciato e picchiato.

Il Tribunale di Milano in particolare ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito ha negato il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nel suo paese di provenienza nonchè una situazione di elevata vulnerabilità individuale.

Avverso il decreto del Tribunale di Milano il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, in quanto il decreto impugnato non valuta il periodo di permanenza del ricorrente nei paesi in cui è transitato, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e 5, per aver ritenuto non credibile il ricorrente in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs n. 251 del 2007, art. 14, lett. C), e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, riguardo all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il primo motivo è infondato.

Con riguardo alle violenze subite nel paese di transito prima dell’arrivo in Italia, ossia in Libia, si deve ribadire che “nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) siconsumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese” (Cass. 15 maggio 2019, n. 13096; 6 dicembre 2018, n. 31676; 20 novembre 2018, n. 29875);

Il secondo e terzo motivo di ricorso sono inammissibili perchè contengono una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione del Tribunale territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento circa l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente e comunque circa la mera eventualità del pericolo paventato dal ricorrente e riconducibile a questioni di carattere privato prive di rilevanza ai fini della concessione della protezione internazionale.

A tal riguardo occorre osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui al citato D.Lgs., art. 5, comma 3, lett. c)), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, “non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda” (Cass. ord. 26921/2017).

Alla luce di quanto sopra appare evidente che il dovere del giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente anche se non suffragato da prove richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano ” considerate coerenti e plausibili” (art. 3 comma 5 lett. C) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. E). La difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3 comma 5 non impone certo al giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia incredibile e fantasioso anche perchè i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5 comma 3 sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali, basti pensare ai concetti di coerenza, plausibilità (lett. c) e attendibilità (lett. e) che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale.

Quanto poi al dovere di cooperazione istruttoria, inammissibile si mostra la censura, espressa in ricorso, circa la mancata attivazione nella specie dei poteri ufficiosi di indagine, tenendo presente: a) che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c): tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. tra molte: Cass. n. 340/19); b) che qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione persecutoria nel Paese di origine prospettata dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. tra molte: Cass. n. 16925/18; n. 28862/18), ipotesi che nella specie non ricorre; c)che, quanto alla sussistenza nella zona di provenienza del ricorrente di una fattispecie sussumibile nella previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il tribunale di merito ha ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva che l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine escludano il diritto alla protezione sussidiaria e precisato come la zona di origine dell’Edostate non risulta dalle indicate fonti reperibili interessata dalla presenza di un conflitto di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nel territorio in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona.

Per quanto sopra il ricorso deve essere rigettato. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta/prima sezione civile della Corte di Cassazione, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2020

 

 

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