Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25646 del 11/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 11/10/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 11/10/2019), n.25646

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26026-2017 proposto da:

R.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTESANTO,

52 (STUDIO BACCARI), presso lo studio dell’avvocato FEDERICA DE

RITIS, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

e

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Diretto centrale pro-tempore,

C.F.(OMISSIS)- elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– conroricorrente –

avverso la sentenza n. 6383/20/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALI di NAPOLI, depositata il 10/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CONTI

ROBERTO GIOVANNI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

Con la sentenza indicata in epigrafe la CTR Campania ha parzialmente accolto l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza di primo grado che aveva annullato l’avviso di accertamento emesso a carico di R.R. per la ripresa a tassazione di IVA e IRPEF relativi all’anno 2009. Per quel che qui ancora rileva, la CTR evidenziava l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità dell’appello per la mancanza d’indicazione della delega rilasciata dal direttore provinciale al funzionario che aveva sottoscritto l’atto, ritenendo il giudice di appello di conformarsi ai principi espressi da questa Corte con la sentenza n. 15470/2016. Aggiungeva che l’atto era stato emesso nel rispetto del termine dilatorio.

La R. ha proposto ricorso per cassazione nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze affidato a tre motivi, al quale ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Con il primo motivo si deduce l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza in ordine al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53. La CTR evidenzia che la mancanza di delega per la proposizione dell’atto di appello inficerebbe la validità dell’impugnazione, in relazione ai principi espressi da Cass. n. 22803/2015.

La censura, oltre che inammissibile, ipotizzando il vizio di insufficiente motivazione della sentenza ormai espunto dal sistema in seguito all’intervenuta novella dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – applica bile ratione temporis -, è palesemente infondata.

Ed invero, questa Corte è ferma nel ritenere che in tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 10 e art. 11, comma 2, riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio all’ufficio del Ministero delle Finanze (oggi Agenzia delle Entrate) nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi con ciò stesso delegata in via generale a sostituire il direttore nelle specifiche competenze, senza necessità di speciale procura, per cui ne discende che nel caso in cui non sia contestata la provenienza dell’atto d’appello dall’ufficio competente, questo deve ritenersi ammissibile, ancorchè recante in calce la firma illeggibile di un funzionario che sottoscrive in luogo del direttore titolare, finchè non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere di impugnare la sentenza di primo grado, dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dall’ufficio e ne esprima la volontà (cfr.,da ultimo, Cass. n. 30058/2018, che richiama Cass., Sez V, n. 15470/2016 e Cass. n. 874/2009).

A tali principi si è pienamente uniformato il giudice di appello.

Con il secondo motivo si deduce la omessa o insufficiente motivazione della sentenza in ordine al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, nella parte in cui ha ritenuto la novità dell’eccezione concernente la mancanza di allegazione della delega relativa al funzionario che aveva sottoscritto l’atto. Secondo la ricorrente l’eccezione sarebbe stata formulata in primo grado laddove era stata prospettata la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42.

La censura è infondata.

Questa Corte ha chiarito che nella disciplina delle imposte sui redditi, “l’avviso di accertamento, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 deve essere sottoscritto, a pena di nullità, dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, incombendo sull’Amministrazione finanziaria dimostrare, in tale ultima evenienza e in caso di contestazione, l’esistenza della delega e l’appartenenza dell’impiegato delegato alla carriera direttiva” (Cass. n. 9736 del 2016, n. 22800 del 2015).

La Corte ha però precisato che “è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati censurando, altresì, l’omesso rilievo d’ufficio della nullità, atteso che nel giudizio tributario, in conseguenza della sua struttura impugnatoria, opera il principio generale di conversione dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, sicchè l’invalidità non può essere rilevata di ufficio, nè può essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimità: in applicazione di tale principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso, con cui si è dedotta la nullità dei gradi di merito e delle relative pronunce per effetto della sentenza della Corte Cost. n. 37 del 2015, non essendo stata rilevata d’ufficio la nullità degli atti impositivi per carenza di potere del sottoscrittore” (Cass. n. 22810 del 2015).

Si è pure aggiunto che la nullità dell’avviso di accertamento non è rilevabile d’ufficio e la relativa eccezione, se non formulata nel giudizio di primo grado, non è ammissibile qualora venga proposta nelle successive fasi del giudizio, come nella specie – Cass. n. 13126 del 24/06/2016, Cass. n. 30275/2017 -.

Orbene, la CTR ha ritenuto la novità della questione relativa all’eccepita mancanza della delega dell’atto di accertamento in quanto non prospettata in primo grado ed in ciò si è pienamente conformata ai principi sopra ricordati.

Per altro verso, inconferente risulta il rilievo circa la prospettazione, in primo grado, della richiesta di annullamento formulata anche in relazione alla violazione del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 42 – per come dedotto a pag.11 penultimo capoverso del ricorso per cassazione -.

Ed infatti, la deduzione sul punto proposta dalla ricorrente non consente certo di dimostrare che nel corso del giudizio di primo grado fosse stata chiaramente esposta la questione invece sollevata in appello, risultando estremamente generico il riferimento ad una previsione normativa, al cui interno sono peraltro indicati i plurimi elementi necessari per la validità dell’avviso di accertamento.

Con il terzo motivo si deduce la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7. La CTR avrebbe errato nell’escludere il deficit di contraddittorio endoprocedimentale alla luce dei principi espressi da questa Corte.

Il motivo è inammissibile, non avendo colto la ratio della decisione in punto di rigetto dell’eccezione di nullità dell’atto per difetto di contraddittorio endoprocedimentale che la CTR ha fondato sulla circostanza, assodata dallo stesso giudice, del rispetto del termine dilatorio di 60 fra la comunicazione del pvc e l’emissione dell’atto di accertamento – cfr. p.2.1 sent. impugnata -. Affermazione che la ricorrente non ha contestato. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese seguono la soccombenza, dando atto della sussistenza, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore dell’Agenzia delle entrate in Euro 4500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto della sussistenza, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 11 ottobre 2019

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