Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25643 del 11/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 11/10/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 11/10/2019), n.25643

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1072/2018 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

M.E. e P.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 864/01/2017 della Commissione tributaria

regionale del PIEMONTE, depositata il 26/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/05/2019 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento di un maggior reddito d’impresa emesso con riferimento al periodo d’imposta 2006 dall’amministrazione finanziaria nei confronti dello studio associato di consulenza tributaria ed amministrativa ” M.E., P.L. & Mi.El.” (cessata in data 31/12/2007) a seguito di verifica delle movimentazioni bancarie effettuate sui conti correnti intestati all’associazione ed ai singoli associati, nonchè degli avvisi di accertamento emessi nei confronti di M.E. e P.L., per i rediti di partecipazione nella predetta associazione, in proporzione delle rispettive quote, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR accoglieva l’appello proposto dai contribuenti avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo che, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 228 del 2014, così come interpretata da questa Corte nelle sentenze n. 23041 del 2015 e 16440 del 2016, fosse venuta meno, ai fini della presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, la presunzione di imputazione sia dei prelevamenti sia dei versamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attività dal lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale, che la citata disposizione poneva.

2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione sulla base di un unico motivo, cui non replicano gli intimati.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Ritiene il Collegio che la sentenza impugnata vada cassata d’ufficio, per nullità dell’intero giudizio.

2. E’ principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, a partire dall’arresto di Cass., Sez. U., n. 14815 del 2008 e successivamente ribadito dalle sezioni semplici (cfr., ex multis, Cass. n. 27337 del 2014; n. 11459 del 2009; n. 13073, n. 17925 e n. 23096 del 2012; n. 1047 del 2013; n. 25300 e 27337 del 2014; n. 2094 del 2015; n. 11727 e n. 13737 del 2016), quello secondo cui “in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29), ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio”.

3. Seppur sia vero che l’accertamento a carico della società riguarda, oltre all’IRAP, anche l’IVA, la giurisprudenza di questo giudice di legittimità è nel senso che l’accertamento di maggior imponibile IVA a carico di una società di persone, se autonomamente operato, non determina, in caso di impugnazione, la necessità del simultaneus processus nei confronti dei soci e, quindi, un litisconsorzio necessario, mancando un meccanismo analogo a quello previsto dal combinato disposto di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40, comma 2 e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, di unicità di accertamento ed automatica imputazione dei redditi della società ai soci in proporzione alla partecipazione agli utili, con connessa comunanza di base imponibile tra i tributi a carico della società e dei soci, ma qualora l’Agenzia abbia contestualmente proceduto con un unico atto impositivo ad accertamenti per IVA e, come nel caso qui vagliato, anche per IRAP a carico di una società di persone, fondati su elementi (anche in parte) comuni, il profilo dell’accertamento impugnato concernente l’imponibile IVA, ove non suscettibile di autonoma definizione in funzione di aspetti ad esso specifici, non si sottrae al vincolo necessario del simultaneus processus, attesa l’inscindibilità delle due situazioni (in termini, Cass. n. 12236 del 2010; conf. n. 11240 del 2011; n. 21340 del 2015; n. 16731 del 2016).

4. E non v’è da dubitare che detti principi debbano trovare applicazione anche per le imposte IRAP dovute dalle associazioni senza personalità giuridica, costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni, le quali, ai sensi del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 3, comma 1, lett. b), – attraverso il rinvio espresso al cennato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, comma 3, lett. c), -, sono da ritenersi equiparate alle società semplici.

4.1. Al riguardo questa Corte ha espresso il principio secondo il quale “In materia di accertamento dell’IRAP dovuta da uno studio professionale associato, trattandosi di imposta imputata per trasparenza agli associati, sussiste il litisconsorzio necessario sostanziale tra l’associazione e i suoi associati; tuttavia, ove nel giudizio siano stati parti tutti gli associati della medesima associazione professionale, quest’ultima deve ritenersi ritualmente partecipe della lite, difettando essa di distinta personalità giuridica” (Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 29128 del 13/11/2018). A tale ultimo riguardo, va ricordato che nei giudizi instaurati nei confronti del predetto soggetto, ai fini della rituale instaurazione del contraddittorio, è sufficiente, dal punto di vista sia sostanziale che processuale, la presenza in giudizio di tutti i soci, nei quali si esaurisce la società (Cass. 02/12/2011, n. 25860); da tempo, invero, si è affermato che chi vuole convenire in giudizio una società di persone può notificare l’atto nei confronti della società, in persona del legale rappresentante, ovvero, in via equipollente, nei confronti di tutti gli altri soci, la cui presenza in giudizio configura presenza della società, difettando questa di distinta personalità (vedi Cass. 09/05/1977, n. 1781, nonchè Cass. n. 29128 del 2018 cit.).

5. Da quanto detto consegue che nel caso di specie, in cui l’associazione risulta cessata nel 2007, tutti i suoi associati dovevano essere parte dello stesso procedimento e la controversia non poteva essere decisa limitatamente ad alcuno soltanto di essi essendo del tutto irrilevante che uno degli associati non abbia impugnato l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti o, addirittura, come nel caso in esame, che l’atto impositivo nei confronti di uno di essi (e precisamente MI.El.) sia stato emesso da altro ufficio dell’Agenzia delle entrate.

6. Va pertanto dichiarata la nullità dell’intero giudizio di merito, che rende superfluo esaminare ed addirittura riferire i motivi di ricorso per cassazione proposti dai ricorrenti; la sentenza impugnata va cassata con rimessione delle parti avanti al giudice di primo grado, che dovrà disporre l’integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 14, e procedere a nuovo esame, provvedendo anche sulle spese di lite relative a questo grado di giudizio.

P.Q.M.

dichiara la nullità dell’intero giudizio, cassa la sentenza impugnata e dispone la rimessione degli atti alla Commissione tributaria provinciale di Vercelli, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2019

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