Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25642 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 22/09/2021), n.25642

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12366-2020 proposto da:

S.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

lo studio dell’avvocato ANNA LOMBARDI BAIARDINI, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

e contro

– intimati –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GINERA1,17, DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI FIRENZE;

– intimata –

avverso il decreto n. cronol. 393/2020 del TRIBUNALE di PI,RUGIA,

depositato il 10/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Con decreto del 10/4/2020 il Tribunale di Perugia ha respinto la domanda di S.D., nato in Senegal, volta ad ottenere la protezione internazionale in una delle sue forme (status di rifugiato; protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari).

In particolare, il Tribunale ritenne che il ricorrente – il quale aveva narrato di essere fuggito per ragioni familiari, avendo subito le attenzioni indesiderate dalla moglie del fratello, alle quali aveva voluto sottrarsi – era credibile, ma che non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento di alcuna delle forme di protezione invocate.

Il richiedente propone ricorso per cassazione, affidandosi ad un motivo. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo, focalizzato sulla domanda di protezione umanitaria, si denuncia il vizio di omesso esame e di motivazione inesistente, resa attraverso una mera apparenza argomentativa; l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,32, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, commi 1 e 1.1., dell’art. 10 Cost..

Ci si duole che non si sia tenuto conto delle torture subite in Libia e della documentazione comprovante l’attività lavorativa svolta in Italia.

2. Il ricorso è inammissibile.

In primo luogo, la censura veicola indistintamente vizi eterogenei, in contrasto col principio di tassatività dei mezzi di ricorso per cassazione e con l’orientamento di questa Corte per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Cass. n. 11222 del 2018, Cass. n. 2954 del 2018, Cass. n. 27458 del 2017, Cass. n. 16657 del 2017, Cass. n. 19133 del 2016).

In secondo luogo, il tessuto motivazionale del decreto impugnato non integra alcuna delle ipotesi cui si è ridotto il sindacato di legittimità sulla motivazione, ossia la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione apparente”, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” e la deduzione dell’omesso esame di fatti decisivi non è formulata in termini consoni al vizio dedotto, mancando la specificazione circostanziata dei fatti e la illustrazione della loro decisività (Cass. Sez. U., n. 8053 del 2014, Cass. n. 8054 del 2014, Cass. n. 1241 del 2015; Cass. n. 19987 del 2017, Cass. n. 7472 del 2017, Cass. n. 27415 del 2018, Cass. n. 6383 del 2020, Cass. n. 6485 del 2020, Cass. n. 6735 del 2020) e stante l’inammissibilità della mera denunzia di insufficienza o contraddittorietà della motivazione (Cass. Sez. U. n. 33017 del 2018).

In realtà, il ricorrente si limita a contrapporre la propria affermazione circa la sussistenza dei presupposti di fatto per la concessione della protezione invocata, alla diversa valutazione del tribunale, che ha viceversa evidenziato le ragioni di natura privata e familiare dell’espatrio del ricorrente, il fatto che egli non ha mai allegato nel corso delle due audizioni (in sede amministrativa e giudiziale) di essere esposto a specifiche, concrete e individuali minacce, né ad eventuali conflitti in patria, nonché l’insufficiente allegazione sotto il profilo dell’integrazione sociale ai fini della protezione umanitaria, avendo egli solo affermato, nel corso dell’audizione – come accertato dal tribunale con statuizione non pertinentemente censurata -, di svolgere attività di pastore. Va rimarcato in proposito che il ricorrente, nel lamentare il mancato esame di documentazione attestante il rapporto di lavoro, non ne ha illustrato il contenuto e la decisività rispetto all’integrazione, con evidente ricadute in termini di ammissibilità.

Ne consegue che il ricorso mira, inammissibilmente, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U. n. 34476 del 2019).

Va osservato, in merito alla protezione umanitaria astrattamente riconoscibile ratione temporis (Cass. Sez. U. n. 29459 del 2019) -, che il tribunale ha rilevato l’assenza di condizioni di vulnerabilità personale “individualizzate”, in linea con l’orientamento di questa Corte che richiede “il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. n. 23778 del 2019, Cass. n. 1040 del 2020), con la precisazione che, ferma restando “la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”, non può “essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, né il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza” (Cass. Sez. U. n. 29459, Cass. Sez. U. n. 29460, Cass. Sez. U. n. 29461 del 2019; Cass. n. 4455 del 2018, Cass. n. 630 del 2020).

Quanto ai maltrattamenti asseritamente subiti in Libia si evidenzia che (in disparte l’apparente novità della deduzione), secondo l’orientamento di questa Corte, il fatto che in un paese di transito si sia consumata una violazione dei diritti umani non comporta di per sé l’accoglimento della domanda di protezione umanitaria, essendo a tal fine necessario accertare che lo straniero venga ad essere perciò privato della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, per effetto del rimpatrio nel Paese di origine, di cui cioè si abbia la cittadinanza (Cass. 4455/2018), non già di un Paese terzo (cfr. Cass. 2861/2018, 13858(2018, 29875/2018); pertanto, solo se debitamente allegate e potenzialmente idonee – quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità – ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona, le eventuali violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza possono legittimare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, purché in presenza di specifiche e concrete condizioni, da allegare e valutare caso per caso (Cass. n. 13096 del 2019).

3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, in assenza di attività difensiva del Ministero.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. 3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

 

 

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