Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25642 del 14/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 14/12/2016, (ud. 12/10/2016, dep.14/12/2016),  n. 25642

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25940-2015 proposto da:

E.O.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLE

MEDAGLIE D’ORO 169, presso lo studio dell’avvocato ITALA MANNIAS,

che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTIRO DELL’INTERNO, PREFETTURA ROMA UFFICIO TERRITORIALE GOVERNO,

QUESTURA DI ROMA;

– intimati –

avverso il provvedimento del GIUDICE DI PACE di ROMA, depositato il

10/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO RAGONESI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte rilevato che sul ricorso n. 25940/15 proposto da E.O.M. nei confronti del Ministero dell’Interno + 2 il consigliere relatore ha depositato ex art. 380 bis c.p.c. la relazione che segue.

“Il relatore Cons. Ragonesi, letti gli atti depositati, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. osserva quanto segue.

E.O.M. ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza resa dal Giudice di Pace di Roma che aveva rigettato la sua opposizione avverso il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Roma.

Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’illegittimità dell’espulsione adducendone la violazione di legge non trovandosi in alcuna delle situazioni di deroga di cui al D.Lgs. n. 109 del 2012, art. 5, comma 11 che vieta l’espulsione nelle more della definizione del procedimento.

Con il secondo motivo il ricorrente a sostegno del suo ricorso lamenta la mancata traduzione in lingua araba del provvedimento di espulsione.

Con il terzo motivo di ricorso solleva il vizio di omessa motivazione non consentendo di comprendere il ragionamento a base della decisione.

Il ricorso è fondato.

I motivi di ricorso risultano infondati e non provati.

In particolare le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (8053/14 sez un).

La sentenza in esame ha anche precisato al livello interpretativo che la nuova riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. 8053/14 sez. un.).

Nel caso di specie risulta proprio una motivazione del tutto apparente poichè non vengono indicati quali sono i motivi di ricorso e le inerenti doglianze e non viene in alcun modo spiegato perchè gli stessi sono infondati.

In sostanza il giudice di pace ha fatto una apodittica affermazione non consentendo di comprendere le ragioni della sua valutazione. Ricorrono i requisiti di cui all’art. 375 c.p.c. per la trattazione in camera di consiglio.

PQM.

Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio.

Roma 04.05.2016.

Il Cons. relatore”.

Considerato:

che nella relazione a pagine due vi è un refuso costituito dalle parole “i motivi di ricorso risultano infondati e non provati” laddove invece alla riga precedente era giustamente affermato “il ricorso è fondato”;

che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra;

che pertanto il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio anche per le spese al giudice di pace di Roma in persona di diverso giudicante.

PQM


Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese al giudice di pace di Roma in persona di diverso giudicante.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2016

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