Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25639 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 22/09/2021), n.25639

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31278-2019 proposto da:

B.M.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAVOIA,

33, presso lo studio dell’avvocato ANNA SCIFONI, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

C.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5058/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

La Corte di appello di Roma con la sentenza impugnata ha respinto la domanda si assegno divorzile formulata da B.M.V. nei confronti di C.S. e, in riforma della prima decisione, ha revocato l’assegno divorzile di Euro 1.050,00 = ivi previsto.

B. propone ricorso per cassazione con un mezzo, corroborato da memoria; C. è rimasto intimato.

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo si denuncia la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per avere la Corte distrettuale erroneamente applicati i principi elaborati in sede di legittimità circa i presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile ed erroneamente valutato e ponderato le condizioni economico/patrimoniali delle parti ai fini della dichiarata revoca dell’assegno divorzile posto, in primo grado, a carico dell’ex coniuge.

2. Il motivo risulta inammissibile.

Al riguardo, appare opportuno premettere che, con la sentenza delle Sez. U. di questa Corte n. 11490 del 1990, era stato affermato il carattere esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile, il cui presupposto era stato individuato nell’inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge istante a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, ed il cui ammontare era da liquidare in base alla valutazione ponderata dei criteri enunciati dalla legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della pronuncia di divorzio. Tale orientamento, rimasto fermo per un trentennio, è stato modificato con la sentenza n. 11504 dei 2017 di questa Corte, che, muovendo anch’essa dalla premessa sistematica relativa alla distinzione tra il criterio attributivo e quello determinativo, ha affermato che il parametro dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante deve essere valutato al lume del principio dell’autoresponsabilità economica di ciascun coniuge, ormai “persona singola”, ed all’esito dell’accertamento della condizione di non autosufficienza economica, da determinare in base ai criteri indicati nella prima parte della norma. Con la recente sentenza n. 18287 del 2018 le Sezioni Unite di questa Corte sono nuovamente intervenute, e, nell’ambito di una complessiva riconsiderazione della materia, hanno ritenuto che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi o all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive del coniuge richiedente deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

Tuttavia, la doglianza riferite alla violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, non considera che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, viceversa, quando, come nella specie, si alleghi un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa il vizio è esterno all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, nei limiti previsti dal nuovo testo del numero 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, che, da una parte, ha circoscritto il sindacato di legittimità sulla motivazione alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza e qui non ricorrenti, e, dall’altra, ha introdotto il vizio di omesso esame di un fatto che sia decisivo ed oggetto di discussione tra le parti.

A tale stregua, la censura non considera che i fatti in essa dedotti sono stati puntualmente oggetto di specifica disamina da parte della Corte romana, che – come si evince dalla sentenza (fol. 4/7) – ha, in specie, operato un bilanciamento delle condizioni economiche delle parti, accertando che la B., oltre a non essersi attivata, benché in possesso di laurea, a cercare un’occupazione, è titolare di diversi immobili, uno di questi adibito a bed & breakfast, i cui redditi non sono stati neppure dichiarati, che le movimentazioni bancarie smentiscono l’assenza di introiti diversi dall’assegno di mantenimento o divorzile e che le spese sostenute per la manutenzione degli immobili confliggono con l’asserita improduttività degli stessi, mentre l’ex coniuge risulta avere sensibilmente ridotto la propria capacità economiche a seguito della contrazione del reddito dovuta al pensionamento. Ha altresì considerato che dopo la separazione C. era fatto carico del figlio, rimasto a vivere con lui, provvedendovi direttamente con esclusione di oneri per la ex-moglie. Ha, infine considerato che era prossima la vendita della casa coniugale in comproprietà ed il connesso recupero di liquidità anche per la B..

La decisione risulta pertanto conforme a Cass. Sez. U. n. 18287 del 2018 ed il ricorso va dichiarato inammissibile in quanto il mezzo contiene esclusivamente valutazioni di merito.

3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese, in assenza di attività difensiva dell’intimato.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto (Cass. Sez. U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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