Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25635 del 27/10/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. I, 27/10/2017, (ud. 07/06/2017, dep.27/10/2017),  n. 25635

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13931/2011 R.G. proposto da:

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.R.L., in persona del curatore p.t. Dott.

V.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Prof. Massimo

Cerniglia, con domicilio eletto in Roma, viale Liegi, n. 16;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO S.P.A., rappresentata da Giuseppe Primiceri, in

virtù di procura per notaio M. del (OMISSIS), rappresentata e

difesa dall’Avv. Benedetto Gargani, con domicilio eletto in Roma,

via L. Bissolati, n. 76;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma depositata il 19

aprile 2010;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 giugno 2017

dal Consigliere Guido Mercolino.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il curatore del fallimento della (OMISSIS) S.r.l. convenne in giudizio la Banca Intesa BCI Rete Ambro Veneto S.p.a. (già Banco Ambrosiano Veneto S.p.a.), per sentir dichiarare inefficaci, ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 67, comma 2, le rimesse effettuate sul conto corrente intestato alla società fallita nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, con la condanna della convenuta alla restituzione del relativo importo.

La Banca si costituì in giudizio e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto.

1.1. Con sentenza del 25 agosto 2006, il Tribunale di Roma accolse la domanda, condannando la Banca alla restituzione della somma complessiva di Euro 287.002,31, oltre interessi.

2. L’impugnazione proposta dalla Banca Intesa S.p.a. (già Intesa BCI) è stata accolta dalla Corte d’Appello di Roma, che con sentenza del 19 aprile 2010 ha rigettato la domanda.

A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto che non fosse stata raggiunta la prova della scientia decoctionis, reputando insufficienti, a tal fine, gli elementi presi in considerazione dalla sentenza di primo grado: premesso infatti che il possesso della qualità di operatore economico qualificato da parte della Banca non costituisce di per sè solo un indizio della conoscenza dello stato d’insolvenza, ha rilevato che nel periodo sospetto il conto corrente intestato alla società fallita aveva fatto registrare sconfinamenti ridotti, e comunque coperti dai fidi concessi dalla Banca, aggiungendo che dagli estratti conto emergevano movimentazioni normali nei rapporti di dare e avere. La Corte ha ritenuto altresì irrilevanti tre protesti levati a carico della società fallita per cambiali dell’importo di Lire 5.000.000 ciascuna, in quanto risalenti ad un periodo notevolmente anteriore a quello sospetto, escludendo infine la portata indiziaria delle procedure esecutive mobiliari promosse nei confronti della società fallita, in quanto non soggette a pubblicità.

3. Avverso la predetta sentenza il curatore ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. Ha resistito con controricorso l’Intesa Sanpaolo S.p.a. (già Banca Intesa, risultante dalla fusione per incorporazione del Sanpaolo IMI S.p.a., con atto per notaio Mo.Et. del (OMISSIS)).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione d’inammissibilità dell’impugnazione, sollevata dalla difesa della controricorrente in relazione all’inosservanza dell’onere, posto a carico del ricorrente dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, d’indicare gli atti e i documenti sui quali si fonda il ricorso.

Il tenore delle censure proposte dal ricorrente consente infatti di ritenere sufficienti, ai fini del relativo esame, i puntuali richiami del ricorso agli atti ed ai documenti relativi alle fasi di merito, e di escludere quindi la violazione della norma invocata, la cui osservanza dev’essere verificata con riguardo ad ogni singolo motivo di impugnazione, e può dunque condurre alla declaratoria d’inammissibilità soltanto quando si tratti di censure rispetto alle quali uno o più specifici atti o documenti fungano da fondamento, e cioè quando, senza l’esame di quell’atto o di quel documento, la comprensione del motivo di doglianza e dei relativi presupposti fattuali, nonchè la valutazione della sua decisività, risulterebbero impossibili (cfr. Cass., Sez. Un., 5 luglio 2013, n. 16887).

2. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nell’accertamento della conoscenza dello stato d’insolvenza, la sentenza impugnata ha negato qualsiasi rilevanza alla qualità di operatore economico qualificato della Banca, avendone escluso sia l’autonoma valenza probatoria, sia l’incidenza sull’apprezzamento degli altri elementi indiziari, a loro volta espunti dal quadro probatorio in virtù di una valutazione atomistica. Nell’affermare l’irrilevanza degli sconfinamenti registrati sul conto corrente, la Corte di merito non ha tenuto conto dell’avvenuta effettuazione di operazioni a debito per centinaia di milioni di Lire a fronte di un saldo costantemente negativo, dei versamenti eseguiti nel periodo sospetto per diminuire l’esposizione debitoria, e della circostanza che pochi mesi prima della dichiarazione di fallimento la Banca aveva concesso alla debitrice due affidamenti, al solo fine di evitare la revoca delle rimesse. L’esclusione della portata indiziaria dei protesti e delle procedure esecutive si pone infine in contrasto con l’avvenuta pubblicazione dei primi, avvenuta soltanto due anni e mezzo prima dell’inizio del periodo sospetto, e con la qualità di operatore economico qualificato della Banca, che avrebbe consentito a quest’ultima di ottenere informazioni sulla situazione economico-patrimoniale dei debitori in misura certamente superiore a quella comune.

3. Con il secondo motivo, il ricorrente ribadisce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver escluso la portata indiziaria degli elementi considerati senza verificare se gli stessi, posti in relazione tra loro e valutati congiuntamente, risultassero idonei a dimostrare la conoscibilità dello stato d’insolvenza da parte della Banca.

4. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti la medesima questione, sono infondati.

In tema di prova per presunzioni, questa Corte ha ripetutamente affermato che il procedimento che occorre necessariamente seguire ai fini della valutazione degl’indizi si articola in un duplice apprezzamento, costituito in primo luogo dalla valutazione analitica di ciascuno degli elementi indiziari, ai fini dell’eliminazione di quelli intrinsecamente privi di rilevanza e della conservazione di quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità, ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, occorre invece procedere a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, al fine di accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi. Alla stregua di tale principio, è stata ritenuta viziata da errore di diritto e censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si fosse limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se gli stessi, quand’anche sforniti singolarmente di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (cfr. Cass., Sez. 6, 2/03/2017, n. 5374; Cass., Sez. 5, 6/06/2012, n. 9108; Cass., Sez. 1, 13/10/2005, n. 19894).

A tale duplice apprezzamento la sentenza impugnata non si è affatto sottratta, non essendosi limitata ad una separata verifica dei singoli indizi, ma avendo puntualmente proceduto, entro i limiti consentiti dai fatti obiettivamente accertati, anche ad una valutazione di carattere globale, attraverso la quale è pervenuta alla conclusione dell’insufficiente portata inferenziale degli elementi considerati, affermandone l’inidoneità a dimostrare che la Banca convenuta era a conoscenza dello stato d’insolvenza della società fallita. L’efficacia probatoria degli sconfinamenti fatti registrare dai conti correnti della società fallita è stata infatti esclusa sulla base di considerazioni riguardanti non già la loro portata sintomatica, ma la stessa consistenza oggettiva, avendone la Corte di merito rilevato la ridotta entità e l’intervenuta copertura attraverso gli affidamenti concessi dalla Banca, mentre quella dei protesti cambiari ha trovato smentita nella risalente collocazione temporale, tale da impedire d’instaurare un collegamento con la situazione economica della società fallita all’epoca dell’effettuazione delle rimesse impugnate. La correttezza del procedimento seguito dalla Corte di merito trova d’altronde conferma nell’esclusione della valenza indiziaria delle procedure esecutive mobiliari promosse nei confronti della società fallita, ai fini della quale la sentenza impugnata ha ritenuto irrilevante anche la veste di operatore economico qualificato da riconoscersi alla Banca, in considerazione della sottrazione di tali procedure a qualsiasi forma di pubblicità, e della conseguente inverosimiglianza che la convenuta ne fosse a conoscenza.

In tema di revocatoria fallimentare, la giurisprudenza di legittimità ha peraltro ribadito costantemente che la conoscenza dello stato d’insolvenza, pur potendo essere desunta anche da elementi indiziari, purchè caratterizzati dagli ordinari requisiti di gravità, precisione e concordanza, dev’essere effettiva, e non meramente potenziale, non risultando pertanto sufficiente la mera conoscibilità dei sintomi rivelatori dello stato di decozione, ma occorrendo la prova di concreti elementi di collegamento con i predetti sintomi, dai quali possa desumersi che il terzo, facendo uso della sua normale prudenza ed avvedutezza, rapportata anche alle sue qualità personali e professionali, nonchè alle condizioni in cui si è trovato concretamente ad operare, non possa non aver percepito i segnali della situazione di dissesto in cui versava il debitore (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 1, 19/02/2015, n. 3336; 30/ 07/2014, n. 17286; Cass., Sez. 6, 3/05/2012, n. 6686). E’ in quest’ottica che, conformemente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, è stata riconosciuta portata indiziaria alla pendenza di procedure esecutive immobiliari nei confronti del debitore, in quanto resa pubblica mediante la trascrizione del pignoramento nei registri immobiliari e la divulgazione degli avvisi attraverso gli organi d’informazione, negandosi invece rilevanza a quella delle procedure mobiliari, non assoggettate ad analoghe formalità (Cass., Sez. 2, 4/10/2016, n. 19795; 28/04/1995, n. 4718), ed alla stessa levata di protesti cambiari, salvo che, per la pluralità, la prossimità rispetto all’epoca in cui fu posto in essere l’atto impugnato o l’inerenza a titoli di credito di cui fosse beneficiario lo stesso convenuto in revocatoria, non possa ritenersi che egli dovesse averne conoscenza (cfr. Cass., Sez. 1, 24/10/2012, n. 18196; 26/01/2011, n. 1934).

Nel censurare l’apprezzamento compiuto dalla Corte territoriale, il ricorrente non contesta d’altronde i predetti principi, ma si limita ad insistere sulla gravità, precisione e concordanza degli elementi esaminati, la cui valutazione integra un apprezzamento di fatto rimesso in via esclusiva al giudice di merito, senza essere in grado d’indicare le incongruenze o illogicità del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione dei vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, una rivisitazione del predetto accertamento, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica e la coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte a fondamento della decisione (cfr. Cass., Sez. 1, 4/11/2013, n. 24679; Cass., Sez. 5, 16/12/2011, n. 27197; Cass., Sez. lav., 18/03/2011, n. 6288).

5. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 13.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA