Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25635 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 22/09/2021), n.25635

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22230-2019 proposto da:

T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIACOMO SGOBBA;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato PASQUALE BOCCUZZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 769/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 28/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

La Corte di appello di Bari, in riforma della decisione di primo grado che aveva respinto la domanda di assegno divorzile, ha riconosciuto in favore di P.G. l’assegno di Euro 400,00= mensili oltre ISTAT, ponendolo a carico di T.M..

T. ha proposto ricorso per cassazione con due mezzi, corredato da memoria. P. ha replicato con controricorso e memoria.

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.

A parere del ricorrente la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto della valenza giuridica degli accordi assunti dai coniugi in sede di separazione personale omologata il 2/5/2006, da cui emergeva la equa regolamentazione dei reciproci interessi patrimoniali in via definitiva e dall’altro non avrebbe ben applicato i principi sanciti dalle Sezioni Unite n. 18287 dell’11/7/2018.

Il ricorrente lamenta la violazione della disciplina in tema di riconoscimento dell’assegno divorzile, sostenendo che qualora il giudice accerti che gli accordi economici di separazione ebbero a sancire un sostanziale equilibrio tra i coniugi, difficilmente potrebbe essere accordato l’assegno divorzile ed illustra il contenuto degli accordi di separazione a sostegno della sua tesi.

Sotto altro profilo, sostiene che erroneamente la Corte distrettuale ha ravvisato uno squilibrio economico tra le parti, ritenendo il suo reddito significativamente superiore, e deduce la non ricorrenza di esigenze perequative sulla considerazione che la P. non aveva rinunciato ad alcuna chance professionale, tanto da percepire una pensione.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio: il ricorrente si duole che la Corte distrettuale non abbia preso in esame e/o non si sia pronunciata sulle sorti della clausola di cui alla convenzione di separazione omologata con decreto del 2/5/2006, art. 7.2.1., che prevedeva una regolamentazione del conguaglio a seguito dello scioglimento della comunione, e sostiene che tale omissione comporta un vuoto di disciplina dei rapporti patrimoniali tra le parti e di incertezza.

2.1. Il primo motivo è infondato.

2.2. Quanto al profilo concernente la mancata valorizzazione di quanto concordato dalle parti in sede di separazione (oggetto anche della seconda censura), va osservato che la decisione impugnata – laddove puntualizza la differenza dei presupposti e della funzione dell’assegno di mantenimento rispetto all’assegno divorzile e la sua autonomia -, risulta immune dal vizio denunciato e conforme al consolidato orientamento di legittimità secondo il quale “La determinazione dell’assegno di divorzio, alla stregua della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti e in virtù di decisione giudiziale, in vigenza di separazione dei coniugi, poiché, data la diversità delle discipline sostanziali, della natura, struttura e finalità dei relativi trattamenti, correlate e diversificate situazioni, e delle rispettive decisioni giudiziali, l’assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dagli obblighi di mantenimento e di alimenti, operanti nel regime di convivenza e di separazione, e costituisce effetto diretto della pronuncia di divorzio, con la conseguenza che l’assetto economico relativo alla separazione può rappresentare mero indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione.” (Cass. n. 25010 del 30/11/2007), ciò perché il giudice deve procedere alla verifica del rapporto tra le condizioni economiche delle parti all’attualità (Cass. n. 1758 del 28/01/2008).

2.3. Quanto al secondo profilo, anch’esso risulta inammissibile.

2.4. Al riguardo, appare opportuno premettere che, con la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 11490 del 1990, era stato affermato il carattere esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile, il cui presupposto è stato individuato nell’inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge istante a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, ed il cui ammontare da liquidare in base alla valutazione ponderata dei criteri enunciati dalla legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della pronuncia di divorzio. Tale orientamento, rimasto fermo per un trentennio, è stato modificato con la menzionata sentenza n. 11504 del 2017 di questa Corte, che, muovendo anch’essa dalla premessa sistematica relativa alla distinzione tra il criterio attributivo e quello determinativo, ha affermato che il parametro dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante deve essere valutato al lume del principio dell’autoresponsabilità economica di ciascun coniuge, ormai “persona singola”, ed all’esito dell’accertamento della condizione di non autosufficienza economica, da determinare in base ai criteri indicati nella prima parte della norma. Con la recente sentenza n. 18287 del 2018 le Sezioni Unite di questa Corte sono nuovamente intervenute, e, nell’ambito di una complessiva riconsiderazione della materia, hanno ritenuto che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi o all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive del coniuge richiedente deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

Tuttavia la doglianza riferita alla violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, non considera che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, viceversa, quando, come nella specie, si alleghi un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa il vizio è esterno all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, nei limiti previsti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che, da una parte, ha circoscritto il sindacato di legittimità sulla motivazione alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza e qui non ricorrenti, e, dall’altra, ha introdotto il vizio di omesso esame di un fatto che sia decisivo ed oggetto di discussione tra le parti.

2.5. A tale stregua, la censura non considera che i fatti in essa dedotti sono stati puntualmente oggetto di specifica disamina da parte della Corte barese, che – come si evince dalla sentenza (fol. 4/5) – ha, in specie, raffrontato i redditi lordi di entrambe le parti sulla scorta della documentazione prodotta – rilevando la mancata produzione di documentazione fiscale aggiornata da parte di T. – e ha tenuto conto della loro personale situazione soggettiva (proprietà, redditi, disponibilità alloggio) valorizzando, nel riconoscimento dell’assegno divorzile in favore di P., non la sola sperequazione nelle condizioni patrimoniali ed economiche delle parti ed operante come ” precondizione fattuale, il cui accertamento è necessario per l’applicazione dei parametri di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, prima parte, in ragione della finalità composita – assistenziale perequativa e compensativa – del detto assegno” (Cass. n. 32398 del 11/12/2019), ma anche la durata ultratrentennale del matrimonio, il contributo dato da P. alla famiglia anche con l’accudimento dei figli al quale la madre si era dedicata in maniera prevalente, scegliendo di lavorare part-time, la modestia dell’assegno pensionistico (Euro 550,00= mensili), ed ha rimarcato, di contro, che il T. godeva, alla stregua della documentazione riveniente dal primo grado, di un reddito significativamente superiore e che la divisione della comunione immobiliare aveva visto ripartiti tra i coniugi gli immobili comuni: ne consegue che le critiche svolte riguardano sostanzialmente la valutazione che dei molteplici fatti ha compiuto la Corte distrettuale sulla scorta dei plurimi criteri enucleabili dalla lettura della L. n. 898 del 1970, art. 5, come valorizzati nelle ultime decisioni di legittimità.

2.6. E’, infine, infondata la censura nella parte in cui afferma (fol. 8) che la ex-coniuge ha continuato a percepire l’assegno di separazione di Euro 600,00=, anche dopo la maturazione dei diritto alla pensione, contrariamente a quanto stabilito in sede di separazione, considerato che, in tema di regolamentazione dei rapporti economici tra i coniugi separati nella pendenza del giudizio divorzile, l’assegno di divorzio traendo la sua fonte nel nuovo status delle parti ha efficacia costitutiva decorrente dal passaggio in giudicato della pronuncia di risoluzione del vincolo coniugale ed i provvedimenti emessi nel giudizio di separazione continuano a regolare i rapporti economici tra i coniugi fino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio (Cass. n. 3852 del 15/2/2021).

3.1. Il secondo motivo è inammissibile perché l’omesso esame di un fatto non può riguardare la clausola di una convenzione di separazione, atteso che l’omesso esame di elementi istruttori, come un documento acquisito gli atti, non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054, del 07/04/2014; Cass. n. 27415 del 29/10/2018). Del resto, come detto, l’assegno di separazione resta fermo fino alla determinazione di quello di divorzio.

4. In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto (Cass. Sez. U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Rigetta il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.400,00=, oltre Euro 100,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15%, ed accessori di legge;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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