Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25634 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 22/09/2021), n.25634

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17806-2019 proposto da:

A.V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

OSLAVIA, 14, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO NARDOCCI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCA LANDI;

– ricorrente –

contro

A.D., AN.SA.CO., AZ.DA., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE ANGELICO, 12, presso lo studio

dell’avvocato SERENA TODISCO, rappresentati e difesi dall’avvocato

ANNAMARIA FECIT;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1849/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 03/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Il Tribunale di Cremona, per quanto interessa nel presente giudizio, rigettò con sentenza non definitiva la domanda, proposta da A.V.G., di condanna dell’ex coniuge An.Sa.Co. alla restituzione di somme prelevate illegittimamente dal patrimonio comune ai sensi dell’art. 192 c.c.; quindi, con sentenza definitiva,, lo stesso Tribunale, accogliendo la domanda riconvenzionale spiegata da An., condannò A. a pagare in favore di quest’ultima una somma, a titolo di indennità di occupazione della casa già destinata a residenza familiare, oltre interessi e rivalutazione; condannò, infine, A. alla rifusione della metà delle spese di lite in favore di An..

La Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della prima decisione, ha accolto in parte il gravame proposto da A., stabilendo che nulla era dovuto alla ex-coniuge a titolo di indennità di occupazione della casa familiare, ed ha confermato nel resto.

A. propone ricorso per cassazione con tre mezzi, al quale An. replica con controricorso.

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 2729 c.c., per l’insussistenza di qualsiasi valida presunzione in merito al fatto che il prelievo delle somme dalla comunione legale fosse avvenuto nell’interesse della comunione o della famiglia. Il ricorrente sostiene che gli elementi su cui è fondata la pronuncia non integrano indizi, gravi, precisi e concordanti.

1.2. Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi e per difetto di specificità, perché non esamina la decisione impugnata se non limitatamente.

1.3. Va premesso, in tema di prova presuntiva, che “In sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso.” (Cass. n. 3879 del 16/02/2021; cfr. Cass. n. 3541 del 13/2/2020).

La Corte d’appello non ha impiegato la prova presuntiva in modo da consentire la censura sul punto, ossia con il c.d. vizio di sussunzione, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza prima riportata.

Invero, la Corte distrettuale, sulla esatta premessa che nel giudizio ex art. 192 c.c., compete al coniuge che ha effettuato i prelievi e che alleghi di avere impiegato le somme nell’interesse della comunione o della famiglia dimostrare tale circostanza (Cass. n. 20457 dell’11/10/2016), ha esaminato il materiale probatorio versato in atti ed ha ritenuto raggiunta la prova – attraverso plurimi documenti bancari – che le somme prelevate, attraverso una serie di operazioni, vennero destinate alle esigenze dei figli, e non già distratte per esigenze estranee alla famiglia.

L’unico aspetto sul quale la Corte distrettuale ha introdotto una valutazione di tipo presuntivo concerne l’assenso prestato dal ricorrente alle operazioni anzidette, considerando, sotto un primo profilo, il fatto che egli stesso autorizzò il trasferimento della somma di lire 12.000.000= dal libretto intestato al figlio al conto corrente della An., quando gli stessi erano ancora coniugati e conviventi, e, sotto un secondo profilo, il fatto che egli non aveva contestato l’avvenuto acquisto di una casa da parte del figlio Da. proprio con le somme che venivano prelevate dal conto corrente della ex-moglie, sul quale con il suo assenso erano stati accreditati i risparmi dei figli depositati su libretti al portatore.

In proposito, precisato che la questione del disconoscimento avvenuto in primo grado della firma apposta sul doc. 47 di controparte, non risulta sottoposta al giudice di appello e non è confluita nemmeno in un motivo di ricorso per cassazione per cui non risulta scrutinabile, va osservato che il ricorrente non ha nemmeno smentito di non aver contestato l’avvenuto acquisto della casa del figlio con le somme di cui si discute.

In sintesi, la Corte di appello, avendo accertato sulla scorta della documentazione che l’impiego delle somme avvenne nell’interesse dei figli, ha ritenuto presuntivamente provato solo la conoscenza e l’assenso a detto impiego da parte dell’ex marito, elementi che, peraltro, non integrano la fattispecie in esame ex art. 192 c.c., connotata dalla funzione assolta nell’interesse della famiglia, ma non subordinata al consenso dei familiari, e la censura non coglie nel segno.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in ordine alle domande svolte dal ricorrente in ordine al quantum a lui dovuto. Il ricorrente sostiene che la moglie avrebbe effettuato il riconoscimento del debito, quanto meno, per l’importo di Euro 11.514,89= (come, a suo parere, desumibile dalla comparsa di risposta del giudizio di primo grado) e reputa che questo fatto, oggetto di discussione tra le parti, ove correttamente esaminato avrebbe dovuto condurre all’accoglimento della domanda almeno nella misura del debito riconosciuto.

2.2. il motivo è inammissibile.

2.3. Sotto un primo profilo, va osservato che non è conforme al modello legale del vizio denunciato perché la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non può concernere l’omesso esame di una domanda, ma l’omesso esame di un “fatto storico” decisivo per il giudizio (Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054, del 07/04/2014).

2.4. Sotto altro profilo, la censura pecca per difetto di specificità in ordine al c.d. “riconoscimento di debito” da parte di An., poiché non vengono trascritti affatto i passi degli atti difensivi dai quali avrebbe potuto desumersi ciò, mentre – al contrario – la Corte di appello ha accertato che questa aveva sempre contestato ogni pretesa dell’ex-marito.

3.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione degli artt. 329 e 226 c.p.c., in ordine alla regolamentazione delle spese legali nei due gradi di giudizio.

Il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale, pur avendo riformato in suo favore la decisione di primo grado laddove questa aveva riconosciuto alla An. un’indennità di occupazione per la casa comune – respingendo la relativa domanda, non abbia poi provveduto d’ufficio al nuovo regolamento delle spese valutando la reciproca soccombenza, in applicazione del principio di cui all’art. 336 c.p.c., secondo il quale la riforma della sentenza di primo grado comporta la caducazione del capo relativo alle spese.

3.2. Il motivo è fondato.

3.3. Osserva il Collegio come, nel caso di specie, debba trovare applicazione il principio già affermato nella giurisprudenza di questa Corte in materia di liquidazione delle spese giudiziali, secondo cui il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il corrispondente onere deve essere attribuito e ripartito in ragione dell’esito complessivo della lite, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass. n. 14916 del 13/7/2020; Cass. n. 1775 del 24/1//2017; Cass. n. 23226 del 14/10/2013).

Nel caso in esame, la Corte territoriale, pur avendo parzialmente riformato la prima decisione, non ha riformato la condanna del ricorrente, sia pure in parte (50%), alle spese.

4. In conclusione, va accolto il terzo motivo, inammissibili i motivi primo e secondo; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione per il riesame e per provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

PQM

– Accoglie il terzo motivo del ricorso, inammissibili i motivi primo e secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione anche per le spese.

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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