Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25633 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/09/2021, (ud. 12/07/2021, dep. 22/09/2021), n.25633

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11761/2015 R.G. proposto da:

M.A., rappresentato e difeso dagli avv. Claudio Lucisano

e Sonia Vulcano (in sostituzione del precedente difensore, avv.

Stefano D’Acunti), presso cui elettivamente domicilia in Roma alla

via Crescenzio n. 91;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in

Roma, in via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1265/31/14 della Commissione tributaria

regionale del Piemonte, pronunciata in data 12 giugno 2014,

depositata in data 3 novembre 2014 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 luglio

2021 dal consigliere Dott.ssa Giudicepietro Andreina.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. M.A. ricorre con sei motivi avverso l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza n. 1265/31/14 della Commissione tributaria regionale del Piemonte, pronunciata in data 12 giugno 2014, depositata in data 3 novembre 2014 e non notificata, che ha rigettato l’appello del contribuente, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento per Iva, Irpef ed Irap relative all’anno di imposta 2005.

2. Con la sentenza impugnata la C.t.r. rilevava che il contribuente aveva impugnato l’avviso di accertamento, deducendo la carenza di potere del soggetto accertatore, la mancata notifica del processo verbale, l’omessa indicazione del giudice cui proporre eventuale ricorso, la carenza di motivazione, la mancata sottoscrizione da parte del titolare dell’ufficio, l’errata indicazione delle imposte liquidate e delle relative sanzioni.

La Commissione provinciale di Torino, prendendo in esame le singole eccezioni, aveva respinto il ricorso e, contro tale decisione, il contribuente aveva proposto appello, reiterando i motivi svolti in primo grado.

Tanto premesso, la C.t.r. riteneva che l’appello fosse infondato:

In particolare, il giudice di appello rilevava che, circa l’eccezione sulla mancata qualifica di “verificatori” dei funzionari che avevano effettuato l’accesso, tale qualifica risultava provata dalla lettera di incarico prot. 2008/24342, a firma del direttore dell’ufficio; circa la doglianza sull’omessa formazione dei verbali giornalieri, essi risultavano allegati in calce al verbale di contestazione; circa la lamentata omessa notificazione del processo verbale, quest’ultimo era stato consegnato direttamente al contribuente che lo aveva sottoscritto per accettazione; circa gli asseriti vizi dell’attività impositiva, era stato del tutto corretto l’operato dell’Ufficio che, in seguito alla formazione del PVC, aveva notificato al M. l’invito a comparire per un’eventuale proposta di adesione (poi rifiutata) a sensi del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5; circa la mancata indicazione del giudice cui fare eventuale ricorso, nelle avvertenze dell’avviso di accertamento era chiaramente indicata l’autorità cui rivolgersi per un eventuale ricorso in opposizione.

Inoltre, con riferimento all’asserita decadenza dall’attività impositiva, la C.t.r. riteneva che dall’esame degli atti si evinceva chiaramente che l’avviso di accertamento era stato emesso per l’anno di imposta 2005 e notificato il 27/11/2009 nel termine quadriennale dalla presentazione della dichiarazione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43.

Infine, con riguardo alla dedotta illegittimità della firma dell’atto, il giudice di appello riteneva che era stato provato e documentato che il capo area firmatario era stato espressamente delegato dal Direttore dell’Ufficio con atto del 23/4/09.

3. A seguito del ricorso, l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 12 luglio 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4;

violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; violazione e/o falsa applicazione e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; denunzia a sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, e art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; omessa disamina di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per omessa pronuncia.

Sostiene il ricorrente che, sulla eccepita “violazione e mancata applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39; violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1; violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57” concernente l’avviso di accertamento notificato da parte dell’Agenzia delle Entrate, la Commissione tributaria provinciale di Torino aveva ritenuto che l’avviso di accertamento fosse analiticamente motivato e presentasse, inoltre, il riferimento alle conclusioni del p.v.c., che costituivano parte integrante della motivazione.

Avverso tale decisione il ricorrente aveva proposto appello, deducendo che il giudice di prime cure non si era pronunciato sul motivo di ricorso che riguardava la nullità dell’avviso di accertamento, in quanto la motivazione non conteneva l’indicazione dei riferimenti normativi in base ai quali si era proceduto alla rettifica del reddito d’impresa.

Su tale motivo di appello, secondo il ricorrente, la Commissione tributaria regionale ha completamente omesso di pronunciarsi, violando il disposto del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, che impone ai giudici di esporre le richieste delle parti ed i motivi in fatto ed in diritto sulla base dei quali tali ragioni delle parti vengono accolte o respinte.

Sostiene il ricorrente che il comportamento omissivo del Collegio rileva altresì sotto il profilo della mancata applicazione dell’art. 112 c.p.c., che prescrive la necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto nulla hanno detto i giudici di seconde cure in merito alla dedotta nullità dell’atto per omessa indicazione dei riferimenti normativi in virtù dei quali si è proceduto alla rettifica del reddito d’impresa.

In ogni caso, secondo il ricorrente, la sentenza deve essere cassata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto, ove l’attività di esame della Commissione si fosse estesa – come avrebbe dovuto alla evidenziata circostanza di fatto (che, cioè, nell’avviso di accertamento impugnato non era stata indicata la norma in virtù della quale si era proceduto alla rettifica del reddito d’impresa), essa avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costituivi della domanda e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia, con conseguente declaratoria di nullità dell’avviso di accertamento impugnato.

1.2. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

In primo luogo, non sussiste alcuna omessa pronuncia, in quanto “non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione” (cfr. Cass., 24953/2020, 14486/2004).

Nel caso di specie, la censura, anche se ricondotta alla violazione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, che prevede la necessità di motivazione dell’atto impositivo, non è fondata, in quanto, secondo quanto riportato in ricorso dallo stesso contribuente, l’avviso di accertamento, così come espressamente rilevato dal giudice di prime cure, era analiticamente motivato in ordine alle singole riprese a tassazione, con riferimento alle conclusioni del p.v.c. ed in considerazione delle risultanze dell’accesso mirato, dell’inventariazione fisica della merce e dei beni strumentali, dell’impiego di personale dipendente, dell’emissione degli scontrini fiscali, del calcolo delle rimanenze, della percentuale di ricarico applicata.

Solo per completezza, deve rilevarsi che, come questa Corte ha avuto modo di precisare, nella motivazione dell’avviso di accertamento non è necessaria l’indicazione delle specifiche norme violate (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9499 del 12/04/2017, secondo cui, in tema di imposte sui redditi, la mancata indicazione, nell’avviso di accertamento, della norma asseritamente violata non e’, di per sé, causa di nullità dell’atto per inosservanza dell’obbligo di motivazione, ove lo stesso indichi i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che permettano al contribuente di esercitare il proprio diritto difensivo) ed e’, comunque, valida la motivazione dell’avviso di accertamento per relationem al p.v.c., che sia noto al contribuente (ex multis, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32127 del 12/12/2018).

Infine, anche il vizio motivazionale, denunziato ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, è del tutto inammissibile, in quanto nella doglianza del ricorrente non è ravvisabile la denunzia dell’omesso esame di un fatto storico, bensì semplicemente la contestazione dell’adeguatezza della motivazione dell’avviso di accertamento, che sarebbe stata priva dell’esplicito riferimento alle norme sulla base delle quali era stato rettificato il reddito; la questione, dunque, è essenzialmente di diritto e, per quanto già detto, deve essere risolta in senso contrario rispetto a quanto sostenuto dal ricorrente.

2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 3, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 149 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c., comma 3, e art. 160 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, comma 1, periodo 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 22 ottobre 1972, n. 633, art. 55, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 25, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; denunzia ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, e art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; – omessa disamina di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per omessa pronuncia.

Secondo il ricorrente, sulla eccepita “violazione e mancata applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, periodo 2; violazione e falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 3, comma 2; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 1” concernente l’avviso di accertamento notificato da parte dell’Agenzia delle Entrate, la Commissione tributaria provinciale di Torino aveva ritenuto la rituale notifica della cartella di pagamento nelle forme previste dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 e dalla L. n. 890 del 1982.

Secondo il giudice di prime cure tali norme prevedevano la possibilità per l’ufficio di notificare l’atto anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso la cartella era inviata in plico chiuso e la notifica si considerava perfezionata nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal destinatario o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione o l’ufficio, mentre nell’ipotesi in cui la notifica dell’avviso di accertamento avveniva attraverso la consegna al destinatario o a persone di famiglia o addette alla casa, non esisteva alcun obbligo di sottoscrizione dell’originale da parte di colui che adempiva all’obbligo di consegna del plico.

Con l’atto di appello, il contribuente aveva contestato la regolarità della notifica dell’avviso di accertamento effettuata a mezzo posta, tramite raccomandata con avviso di ricevimento, sostanzialmente contestando la mancata compilazione della relata di notifica.

Pertanto, il ricorrente si duole del fatto che la C.t.r. non avrebbe esaminato la questione, incorrendo nell’omessa pronuncia su di un motivo di appello e nell’omessa motivazione su di un fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti.

2.2. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

In primo luogo, deve rilevarsi la tecnica redazionale del motivo di ricorso, confusa, che riproduce un ampio brano del corrispondente motivo di appello, a sua volta infarcito del riferimento a precedenti di legittimità e merito, senza una compiuta ed intellegibile descrizione della fattispecie concreta, delle modalità di notifica adottate e dei vizi lamentati; solo nella fase conclusiva dell’illustrazione sembra ricavarsi che il contribuente lamenti l’omessa pronuncia del giudice di appello sul motivo di impugnazione attinente all’omessa compilazione della relata di notifica dell’avviso di accertamento, spedito al destinatario a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

In particolare, il ricorrente specifica che nel caso di specie la notifica dell’avviso di accertamento doveva ritenersi inesistente per l’omessa compilazione della data e della sottoscrizione del notificatore, che erano state apposte sulla busta, ma non sull’atto contenuto nella busta.

Anche in ordine a tale contestazione, come sopra rilevato per il precedente motivo di appello, non è ravvisabile un’omessa pronuncia, in quanto la sentenza impugnata implicitamente ha rigettato la questione preliminare dell’invalidità della notifica dell’avviso di accertamento.

inoltre, per orientamento costante di questa Corte, l’atto, pervenuto regolarmente all’indirizzo del destinatario, deve ritenersi ritualmente consegnato a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il destinatario stesso dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione.

Pertanto, nessuna invalidità della notifica regolarmente pervenuta al destinatario a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento può derivare dall’eventuale mancata annotazione della data e della firma del notificante sull’atto contenuto nel plico, se il contribuente non contesta l’avvenuta ricezione dell’avviso di accertamento oggetto di contestazione.

Di conseguenza, risulta inammissibile il dedotto vizio motivazionale, vertente su una questione di interpretazione giuridica e, comunque, su elementi non decisivi.

3.1. Con il terzo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e/o mancata applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 2, ultimo periodo, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56, comma 5, e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, periodo 2; denunzia a sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, e art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, omessa disamina di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per omessa pronuncia.

Il sig. M., nel ricorso in appello, si doleva del fatto che la Commissione provinciale di Torino aveva completamente omesso di pronunciarsi sulla censura concernente la mancata indicazione nell’avviso di accertamento delle ragioni per le quali non erano state prese in considerazione tutte le argomentazioni ed i rilievi dal medesimo M. formulati nella memoria difensiva depositata nel corso del procedimento concernente l’istanza di accertamento con adesione.

Secondo il ricorrente, sulla censura formulata in sede di appello, la Commissione tributaria regionale avrebbe completamente omesso di pronunciarsi, violando così palesemente il disposto del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, che impone ai Giudici di esporre le richieste delle parti ed i motivi in fatto ed in diritto sulla base dei quali tali ragioni delle parti vengono accolte o respinte.

Anche qui, secondo il ricorrente, il comportamento omissivo del Collegio rileverebbe altresì sotto il profilo della mancata applicazione dell’art. 112 c.p.c., che prescrive la necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

In ogni caso, il ricorrente ritiene che la sentenza dovrebbe essere cassata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto, ove l’attività di esame della Commissione si fosse estesa – come avrebbe dovuto -alla evidenziata circostanza di fatto (che, cioè, nell’avviso di accertamento l’ufficio non aveva in alcun modo rappresentato le ragioni per cui non erano state ritenute condivisibili le argomentazioni illustrate dal M. nella memoria depositata nel corso del procedimento di adesione), essa avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costituivi della domanda e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia, con conseguente declaratoria di nullità dell’avviso di accertamento impugnato.

Infine, il ricorrente insiste sull’eccezione di nullità dell’atto impugnato per difetto di motivazione, in quanto l’ufficio non ha assolutamente replicato, nell’avviso di accertamento, alle giustificazioni addotte dal contribuente nella memoria del 31 luglio 2009.

3.2. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Anche per tale motivo, che come il primo attiene alla motivazione dell’atto impositivo, deve rilevarsi l’inammissibilità ed infondatezza della doglianza relativa all’omissione di pronuncia e di quella relativa al vizio motivazionale per le ragioni gà compiutamente esposte per il primo motivo.

Ne’ è fondato il profilo dell’eventuale violazione di legge, in quanto non vi è l’obbligo per l’amministrazione finanziaria di indicare, nella motivazione dell’atto impositivo, la replica dell’ufficio alle difese del contribuente nel procedimento finalizzato all’accertamento con adesione.

E’ principio consolidato di questa Corte quello secondo cui l’avviso di accertamento, che non riporti le osservazioni del contribuente L. n. 212 del 2000, ex art. 12, comma 7, è valido, atteso che la legge non prevede una specifica ipotesi di nullità, né l’obbligo per l’ufficio, una volta che abbia valutato tali osservazioni, di esplicitare tale valutazione nell’atto impositivo (cfr. da ultimo Cass. n. 1778/2019).

Comunque, secondo quanto riportato in ricorso dallo stesso ricorrente, nel caso di specie l’ufficio ha dato contezza nell’avviso di accertamento delle osservazioni del contribuente ed evidentemente non le ha ritenute fondate.

4.1. Con il quarto motivo, il ricorrente denunzia la violazione e/o mancata applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 7, comma 1, art. 16, comma 2; denunzia a sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, e art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; omessa disamina di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per omessa pronuncia.

4.2. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente deduce che, sulla eccepita “violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 1 e art. 16 comma , violazione e mancata applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 3” concernente l’avviso di accertamento notificato da parte dell’Agenzia delle Entrate, la Commissione tributaria provinciale di Torino aveva assunto la seguente decisione: “Il ricorrente sostiene, inoltre, che l’atto sarebbe viziato dall’errata indicazione delle imposte liquidate e delle sanzioni accertate. Anche tale contestazione viene respinta in quanto, come dimostrato dall’Ufficio, gli importi liquidati sono stati non solo determinati, ma anche giustificati”.

Secondo il ricorrente la C.t.r. avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di appello relativo alla quantificazione delle sanzioni.

Invero, per come riportato in ricorso, il contenuto del motivo di appello, sul quale la C.t.r. avrebbe omesso la pronuncia, non è chiaro, in quanto il ricorrente, dopo aver lamentato la carente motivazione dell’atto impositivo in ordine all’entità della sanzione irrogata, con rifermento alla gravità della condotta, alla personalità del contribuente ed alle sue condizioni economiche, invocava una riduzione delle sanzioni e l’applicazione della continuazione, a seguito della loro riliquidazione, senza fare alcun riferimento, né all’entità della sanzione irrogata, né agli elementi che ne avrebbero consentito la riduzione.

Con il ricorso in cassazione, il ricorrente denunzia la carente motivazione dell’atto impositivo in ordine all’entità della sanzione irrogata, con rifermento alla gravità della condotta, alla personalità del contribuente ed alle sue condizioni economiche, anche qui in maniera generica e non del tutto coincidente con il motivo di appello che assume essere stato pretermesso.

Comunque, in relazione alla censura della carente motivazione in ordine alle sanzioni irrogate con l’avviso di accertamento, questa Corte ha avuto modo di chiarire che “in tema di sanzioni amministrative tributarie, l’obbligo di motivazione dell’atto di contestazione della sanzione collegata al tributo, imposto dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, comma 2, opera soltanto quando essa sia

irrogata con atto separato e non contestualmente e unitamente all’atto di accertamento o di rettifica, in quanto, in quest’ultimo caso, viene assolto “per relationem” se la pretesa fiscale è definita nei suoi elementi essenziali” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 11610 del 04/05/2021).

5.1. Con il quinto motivo, il ricorrente denunzia la violazione e mancata applicazione del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 4, comma 2; violazione e mancata applicazione del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 19 e art. 53; violazione e mancata applicazione dell’art. 2697 c.c.; denunzia ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, e art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, omessa disamina di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per omessa pronuncia.

Il ricorrente sostiene che la sentenza debba essere cassata in quanto ha completamente omesso di esaminare e di statuire sulla censura avanzata in appello concernente il fatto che il sottoscrittore dell’atto impositivo dovesse avere la qualifica di dirigente, avendo positivamente superato il concorso per l’ammissione in tale ruolo dirigenziale.

Secondo il ricorrente, l’Ufficio non aveva prodotto documentazione alcuna a dimostrazione del fatto che il soggetto che aveva sottoscritto l’atto rivestisse la qualifica di dirigente.

Insiste, pertanto, per la declaratoria di nullità dell’atto impugnato, segnalando la pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza n. 37/2015), con la quale era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 24, che ha consentito la nomina di funzionari come dirigenti nelle agenzie fiscali senza concorso.

5.2. Il motivo è infondato.

Con riguardo alla dedotta illegittimità della firma dell’atto, il giudice di appello riteneva che era stato provato e documentato che il capo area firmatario era stato espressamente delegato dal Direttore dell’Ufficio con atto del 23/4/09.

Tale accertamento confermava quanto già rilevato dal giudice di prime cure in ordine alla doglianza del ricorrente sull’invalidità dell’atto impositivo “in quanto privo di sottoscrizione da parte del responsabile del procedimento o del soggetto delegato”.

Ne’ può assumere rilevanza la sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015, in quanto, come questa Corte ha chiarito, “in tema di accertamento tributario, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva (nel caso di specie un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002/2005), di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24, convertito dalla L. n. 44 del 2012” (ex multis, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 5177 del 26/02/2020).

6.1. Con il sesto motivo, il ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 57; violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42; denunzia a sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, e art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; omessa disamina di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per omessa pronuncia.

Si doleva il sig. M. nel ricorso in appello proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Torino che quest’ultima avesse completamente omesso di pronunciarsi sulla censura concernente gli errori contenuti nell’avviso di accertamento in merito alle “rimanenze finali” di magazzino relative agli anni 2004 e 2005.

6.2. Il motivo è inammissibile.

Invero, l’illustrazione del motivo è poco intellegibile, piena di riferimenti giurisprudenziali sulle più disparate questioni, non evidenzia quali siano effettivamente le doglianze sollevate dal contribuente in ordine al margine di ricarico applicato dall’ufficio, che, per quanto si evince dallo stesso ricorso, si basa sulle dichiarazioni dello stesso contribuente.

La motivazione dell’avviso di accertamento, riportata in ricorso, riproduceva le osservazioni dell’ufficio e del contribuente nella proposta di adesione; in particolare, nell’avviso di accertamento si legge che l’ufficio, in sede di adesione, rideterminava, scorporando l’IVA, la percentuale di ricarico nel 66,66%, sia sulla differenza di magazzino di Euro 9.000,00, sia sul costo del venduto di Euro 60.500,00, determinando maggiori ricavi nel valore di Euro 31.309,00.

La doglianza del ricorrente non tiene in alcun conto l’effettivo ricarico applicato nell’avviso di accertamento, né le motivazioni adottate dall’amministrazione finanziaria, ma fa riferimento ad elementi fattuali del tutto indimostrati (la determinazione del ricarico in base ai prezzi di una diversa annualità, la quantificazione nella misura del 100% in base alla merce presente nel magazzino), laddove nello stesso atto impositivo sì dà atto della decurtazione dell’iva e della determinazione dei ricavi sulla base delle rimanenze e del venduto per l’anno in contestazione (2005).

In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento all’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2300,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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