Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25629 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 12/11/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 12/11/2020), n.25629

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13635-2016 proposto da:

EUROSPIN LAZIO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 11,

presso lo studio degli avvocati CRISTIANO ANNUNZIATA, e MANLIO

ABATI, che la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

C.S., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato PIERLUIGI ABRUGIATI, GIAN MARIO LONGO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 278/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 17/03/2016 r.g.n. 583/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ABATI MANLIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Lanciano aveva rigettato il ricorso proposto da C.S. inteso ad ottenere la declaratoria di illegittimità dei contratti di lavoro somministrato, seguito da proroghe, stipulati dalla Eurospin Lazio spa, tramite Temporary s.p.a., per i punti vendita (OMISSIS) e (OMISSIS), nonchè la nullità del termine apposto al successivo contratto a tempo determinato stipulato tra le stesse parti, e l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato fin dall’inizio, o da altra data, tra la C. e la società Eurospin, con condanna di quest’ultima al pagamento delle conseguenti maturate retribuzioni.

2. Con sentenza del 17.3.2016, la Corte d’appello di L’Aquila, in accoglimento del gravame della lavoratrice ed in riforma della decisione impugnata, dichiarava l’instaurazione tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dall’inizio della prima somministrazione a termine (24.9.2008) e condannava la società appellata al risarcimento del danno nella misura di cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge, applicando alla fattispecie la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5.

3. La Corte distrettuale rilevava, in relazione all’unico motivo di gravame formulato dalla C., che l’onere relativo alla deduzione nonchè alla prova dell’osservanza delle percentuali fissate dalla contrattazione collettiva ai fini dell’assunzione del personale a tempo determinato, rispetto all’organico dei lavoratori a tempo indeterminato, incombeva al datore di lavoro, laddove il lavoratore poteva limitarsi a dedurne l’osservanza o a chiedere che il primo ottemperasse a tale onere. Ciò quale principio valorizzante la vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova in relazione a fatti a conoscenza del datore di lavoro.

3.1. Evidenziava come dal c.c.n.l. del settore terziario risultavano prescritti precisi limiti percentuali sia per i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato che per quelli di somministrazione, costituiti dal 20% annuo dell’organico a tempo indeterminato per i primi, dal 15% per i secondi e dal 28% per il totale di entrambi.

3.2. Osservava che, seppure lo stesso c.c.n.l. prevedeva che il rispetto di tali limiti percentuali non fosse obbligatorio per “la fase di avvio di nuove attività”, secondo l’art. 67, era altrettanto vero che la previsione consentiva di derogare ai limiti stabiliti solo per il tempo necessario per la messa a regime dell’organizzazione aziendale, laddove nella specie erano stati ampiamente superati tali termini ed anche i 24 mesi che la contrattazione integrativa aziendale pure era abilitata a prevedere.

4. Di tale decisione domanda la cassazione la società, affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, la C..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, si denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. in relazione al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, ed agli artt. 1362 c.c. e ss., in relazione agli artt. 63, 65, 66 e 67 del c.c.n.l. commercio, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione, osservando la ricorrente che la sentenza impugnata è incorsa in errore laddove non ha considerato che la violazione del cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, non ha carattere imperativo e che alla sua violazione consegue unicamente una sanzione amministrativa ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 18, comma 3.

1.2. La società ricorrente richiama, poi, il contenuto di norme contrattuali del c.c.n.l. del settore commercio (artt. 63, 65, 66) in cui le parti collettive avrebbero previsto altre fattispecie tipiche, oltre quelle previste dalla legge, di assunzione a tempo determinato con contratto di somministrazione, con possibilità di determinare una percentuale massima di assunzioni a termine in tutte quelle ipotesi in cui si versi al di fuori dell’ordinaria attività d’impresa, come in presenza di un picco di lavoro.

2. Con il secondo motivo, si lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 421 e 437 c.p.c. ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, sostenendo la società ricorrente che l’onere della prova in ordine alla violazione dei limiti percentuali di assunzioni con contratto di somministrazione a tempo determinato incombe alla lavoratrice che deduca l’illegittimità del contratto di lavoro.

3. In ordine al primo motivo, va evidenziato come la giurisprudenza richiamata dalla ricorrente – Cass. 21.10.2015 n. 21339 e 5667/2012 – attiene al lavoro interinale di cui alla L. n. 197 del 1996 e non è trasponibile alla somministrazione disciplinata dal D.Lgs. n. 276 del 2003. Con riguardo a tale ultima fattispecie l’orientamento giurisprudenziale di legittimità è nel senso che “oltre ai casi di nullità del contratto di somministrazione privo di forma scritta (art. 21, comma 4) o di somministrazione fraudolenta (art. 28 su relative sanzioni penali ed amministrative – per quest’ultima ipotesi la sanzione civile della nullità si desume dai principi generali di cui agli artt. 1344,1345 e 1418 c.c.), è contemplata la possibilità di costituzione del rapporto lavorativo in capo all’utilizzatore nell’ipotesi di somministrazione irregolare, che si verifica, così come previsto dal combinato disposto del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 1, artt. 20 e 21, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e), nei seguenti casi: ipotesi in cui il contratto di somministrazione venga concluso da un soggetto privo di autorizzazione o se gli estremi di tale autorizzazione non risultano indicati su contratto di somministrazione; se il ricorso alla somministrazione non rispetta le ragioni giustificative indicate all’art. 20, comma 4, per la somministrazione a termine; se si verifica al di fuori delle esigenze indicate all’art. 20, comma 3, per quella a tempo indeterminato o nel caso in cui tali giustificazioni non risultino dal contratto di somministrazione; in caso di violazione dei limiti quantitativi indicati dalla contrattazione collettiva (cd. clausole di contingentamento) per la somministrazione a tempo determinato o qualora il numero dei lavoratori da somministrare non risulti indicato nel contratto di somministrazione; qualora non venga indicata sul contratto di somministrazione la presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e le relative misure di prevenzione; qualora il contratto di somministrazione risulti privo dell’indicazione della data di inizio e della durata prevista. (….) il contratto che si viene ad instaurare con l’utilizzatore della prestazione non può che essere a tempo indeterminato” (cfr. Cass. 30273/2018, con richiamo a Cass. 15 luglio 2011, n. 15610 e Cass. 8 maggio 2012, n. 6933 ed anche Cass. 01/10/2012 n. 16642, nonchè Cass. 26654/2013).

3.1. Quanto agli ulteriori rilievi contenuti nella censura, va evidenziato che non risulta indicato in calce al ricorso l’avvenuto deposito del contratto collettivo nazionale richiamato nel corpo del motivo, nè se ne indica la sede di produzione nei gradi di merito al fine di consentirne il reperimento, e comunque non vi è riferimento alcuno alla circostanza che risulti nelle precedenti fasi del giudizio accertato in sede di assolvimento della prova, di cui era onerata parte datoriale, il mancato superamento dei limiti normativamente previsti.

4. Va, invero, disatteso anche il secondo motivo di impugnazione in adesione ai principi sanciti da questa Corte, da ultimo nelle pronunce n. 8918/2019 e n. 8307/2019, secondo cui “con riferimento all’onere della prova dell’osservanza della percentuale dei lavoratori da assumere a termine rispetto ai dipendenti impiegati dall’azienda con contratto di lavoro a tempo indeterminato, la stessa giurisprudenza di legittimità (cfr., in particolare, Cass. 19/1/2010 n. 839 e, più di recente, Cass. 19/1/2013 n. 701 cui adde Cass.13/3/2015 n. 6585) ha ripetutamente precisato che il relativo onere è a carico del datore di lavoro, in base alla regola esplicitata dalla L. n. 230 del 1962, art. 3, secondo cui incombe al datore di lavoro dimostrare l’obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro”.

4.1. Il principio è estensibile anche al caso in esame – in cui il ricorso alla somministrazione è consentito nei limiti indicati dal c.c.n.l. di settore – in vista della finalità di non rendere troppo difficile l’esercizio del diritto del lavoratore, il quale, a differenza del datore di lavoro, è privo della disponibilità dei fatti idonei a provare il numero dei lavoratori occupati nell’impresa (Cass. 19 aprile 2017, n. 9867; Cass., Sez. U., 10 gennaio 2006, n. 141) ed è sufficiente, dunque, che il lavoratore deduca l’avvenuto superamento della percentuale di contingentamento per far scattare l’onere probatorio della società (cfr. Cass. 29.3.2019 n. 8918 cit., nonchè, successivamente, negli stessi termini, Cass. 24.7.2020 n. 159289).

4.2. Infine, analoga infondatezza va rilevata con riguardo alla censura afferente al ricorso ai poteri officiosi. Ed invero, se è da ritenere ormai principio acquisito che nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 c.p.c., essi non hanno più carattere discrezionale, ma si presentano come un potere dovere, del cui esercizio o mancato esercizio il giudice deve dar conto (Cass. S.U. 17/6/ 2004, n. 11353), è però anche vero che al fine di poter censurare con il ricorso per Cassazione l’inesistenza di alcuna motivazione circa la mancata attivazione di tali poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio, poichè diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema totalmente nuovo rispetto a quelli dibattuti nelle fasi di merito. L’omesso esercizio dei poteri istruttori ufficiosi, da parte del giudice di merito, non può essere stigmatizzato in sede di legittimità ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori (vedi Cass. 25/10/2017 n. 25374, Cass. 23/10/2014 n. 22534); e nella specie, ciò non risulta essersi verificato, atteso che la ricorrente solo nel presente giudizio ha prospettato la necessità dell’integrazione istruttoria ad opera del giudice.

5. Alla stregua di tali osservazioni il ricorso deve essere complessivamente respinto.

6. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

7. Sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese generali in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

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