Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25626 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/09/2021, (ud. 11/06/2021, dep. 22/09/2021), n.25626

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2556/2015 R.G. proposto da:

Cad s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., corrente in

(OMISSIS), nella quale si è fusa per incorporazione Dqs Data

Quality Systems s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t.,

corrente in (OMISSIS), con i prof.i avv.i Loris Tosi e Giuseppe

Marini e con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma,

Villa Sacchetti n. 9;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per il

Lazio, Roma, n. 3672/29/14, pronunciata il 05 marzo 2014 e

depositata il 04 giugno 2014, non notificata;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 11 giugno

2021 dal Co: Marcello M. Fracanzani.

 

Fatto

RILEVATO

1. La società contribuente Dqs Data Quality Sistems s.r.l, controllata sin dal 2000 dalla società Cad It s.p.a., forniva servizi informatici principalmente in favore delle società del gruppo cui apparteneva, di banche e istituti di credito, nonché di altre società e professionisti: solo una minima parte di attività (0,07%) era infatti svolta in favore di privati.

2. In data 18.04.2011 la contribuente era attinta da un invito a comparire con cui l’Ufficio le contestava, in base allo studio di settore (TG66U), un’incongruenza pari ad Euro 443.164,00 rispetto ai ricavi dichiarati in relazione al periodo d’imposta 2006. Ritenendo insufficienti le ragioni addotte dalla contribuente, l’Ufficio notificava alla contribuente in data 21.12.2011 un avviso di accertamento ai fini Ires, Iva e Irap.

3. La contribuente adiva il giudice di prossimità, contestando principalmente l’inapplicabilità dello studio di settore per plurime ragioni e il difetto di motivazione dell’avvio di accertamento, nel quale non risultavano tenute in considerazioni le argomentazioni offerta dalla contribuente.

4. I due gradi di merito erano favorevoli all’Ufficio, con conseguente conferma della legittimità dell’originario atto impositivo.

5. Invoca la cassazione della sentenza la contribuente, affidandosi a cinque motivi di ricorso, cui replica l’Avvocatura con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. Con il primo motivo la contribuente denunzia la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.: la CTR non si è pronunciata sulle eccezioni di illegittimità dell’accertamento per difetto di motivazione e di prova (eccezioni discendenti dal mancato corretto adempimento degli obblighi di contraddittorio anticipato gravanti sull’ufficio).

1.1 In buona sostanza la ricorrente lamenta che la CTR non si sarebbe pronunciata sulle eccezioni di difetto di motivazione dell’atto impositivo, nel quale non erano state adeguatamente esposte le ragioni del rigetto delle argomentazioni offerte dalla contribuente, e del difetto di prova dell’avviso, per assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, avendo l’Ufficio ignorato le difese della società.

Il motivo è infondato.

2. La violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., sussiste quando il giudice attribuisce, o nega, ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno virtualmente, nella domanda, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda; tale violazione, invece, non ricorre quando il giudice non interferisca nel potere dispositivo delle parti e non alteri nessuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (cfr. Cass. 17 gennaio 2018, n. 906; Cass. 22 marzo 2007, n. 6945).

2.1 Nel caso in commento la CTR ha respinto la censura della ricorrente con una decisione che non risulta basata su fatti o situazioni estranei alla materia del contendere, essendo sempre circoscritta all’applicabilità degli studi di settore e alle difese del contribuente svolte durante la fase del contraddittorio, né da essa risulta che il giudice abbia attribuito o negato ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto o non compreso nelle rispettive domande.

Il motivo è pertanto infondato e va respinto.

3. Con il secondo motivo la contribuente protesta l’illegittimità della sentenza di seconde cure, che meriterebbe di essere cassata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per mera apparenza della motivazione. Sull’eccezione di inapplicabilità dello studio di settore al caso concreto, la sentenza di seconde cure avrebbe argomentato in maniera inidonea a rivelare la ratio della decisione.

3.1 Segnatamente, la parte ricorrente prospetta la nullità della sentenza per aver la CTR reso una motivazione meramente apparente in ordine alle ragioni addotte a sostegno dell’inapplicabilità dello studio di settore, tra cui spiccavano: l’esercizio di un’attività specifica e differente dalle tipologie considerate dallo studio di settore considerato (TG66U); l’appartenenza della contribuente ad un gruppo quotato in borsa, sì da rendere impossibile l’individuazione di una persona fisica deputata a non contabilizzare i ricavi; la circostanza che quasi tutti i clienti fossero possessori di partita IVA, interessati pertanto alla relativa deduzione.

4. Con la terza censura si profila doglianza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: la sentenza di seconde cure meriterebbe di essere cassata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per mera apparenza della motivazione. Sull’eccezione di inidoneità della presunta antieconomicità dell’attività di DSQ a confermare i dati dello studio di settore, la sentenza di seconde cure avrebbe infatti argomentato in maniera inidonea a rivelare la ratio della decisione.

4.1 In particolare, la parte ricorrente lamenta la nullità della sentenza per aver la CTR reso una motivazione meramente apparente in ordine alla presunta antieconomicità contestata dall’Ufficio, la quale avrebbe potuto assumere valore probatorio solo se fosse stata abnorme ed irragionevole e solo qualora non fosse stata oggetto di chiarimento da parte della contribuente: da un lato, invero, l’antieconomicità non era né abnorme né irragionevole, dall’altro la contribuente aveva illustrato le ragioni della asserita antieconomicità. A fronte di tali deduzioni il giudice di secondo grado si era limito a “rilevare” la rilevante “discrasia rappresentata dai ricavi rispetto ai costi con particolare riferimento a quanto evidenziato per le spese del personale”, senza spiegare per quale motivo la predetta discrasia avrebbe dovuto assumere rilievo nella fattispecie in esame.

5. Con la quarta doglianza la ricorrente chiede la cassazione della sentenza di seconde cure, che meriterebbe di essere cassata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per mera apparenza della motivazione. Sulla circostanza che, nel corso del contraddittorio pre-accertativo, la contribuente, non aveva superato le contestazioni dell’Ufficio, la sentenza di seconde cure avrebbe argomentato in maniera inidonea a rivelare la ratio della decisione.

5.1 In sostanza la contribuente lamenta che la CTR si sarebbe appiattita sugli assunti dell’Ufficio, senza specificare per quali ragioni le prove contrarie da costei fornite nel corso del contraddittorio pre-accertativo dovevano ritenersi insufficienti a superare i rilievi e le contestazioni mosse dall’Amministrazione finanziaria.

6. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo, strettamente connessi tra loro, possono essere trattati congiuntamente e meritano di essere tutti accolti.

6.1 Occorre premettere che in materia di studi di settore questa Corte, con la pronuncia resa a Sezioni Unite n. 26635/2009, ha avuto modo di affermare che “L’onere della prova, cui nemmeno l’Ufficio è sottratto in ragione della peculiare azione di accertamento adottata, è così ripartito: a) all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento; b) al contribuente, che può utilizzare a suo vantaggio anche presunzioni semplici, fa carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce. L’esito del contraddittorio endoprocedimentale non condiziona, tuttavia, la impugnabilità dell’accertamento innanzi al giudice tributario, al quale il contribuirne potrà proporre ogni eccezione (e prova) che ritenga utile alla sua difesa, senza essere vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo, e anche nel caso in cui egli all’invito al contraddittorio non abbia risposto, restando inerte. In quest’ultimo caso, naturalmente, il giudice potrà valutare nel quadro probatorio questo tipo di comportamento (la mancata risposta), mentre l’Ufficio potrà motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione dei parametri dando conto della impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito….(…)… Si può, pertanto, affermare il seguente principio di diritto: “La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente (che può tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano state disattese. Il contribuente ha, nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente” (cfr. Cass., Sez. Un., n. 26635/2009).

6.2 Dalla richiamata pronuncia di questa Corte, pertanto, si evince sia che il contraddittorio preventivo correttamente svoltosi costituisce il momento in cui le presunzioni invocate dall’Amministrazione finanziaria assurgono al rango di circostanze gravi, precise e concordanti, sia che il giudice del merito può liberamente valutare le presunzioni offerte dall’Ufficio così come le prove contrarie prodotte dal privato.

6.3 Orbene, se è ben vero che è precluso a questa Corte una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (Cfr. Cass., III, 17036/2018), non è men vero che sia invece consentito al giudice di legittimità il sindacato sulla violazione dell’obbligo, che compete al giudice di merito, di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali delle prove offerte in giudizio egli ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata (Cfr. Cass., V, n. 20414/2018).

7. Da quanto sopra espresso consegue che il giudizio di legittimità non è la sede per esaminare la fondatezza, nel merito, delle prospettazioni offerte dalla contribuente, peraltro tutte contrastate dall’Agenzia delle Entrate. Ciò nondimeno, occorre però rilevare come la CTR abbia espresso le ragioni sottese al rigetto del gravame con formule talmente stilistiche e sibilline, da risultare vuote sotto il profilo argomentativo. La Commissione Tributaria Regionale afferma infatti che “Il Giudice di prime cure, come risulta dalla sentenza impugnata, ha valutato invece con attenzione sia la pertinenza dello studio di settore all’attività svolta dal contribuente (peraltro proprio l’attività connesso alla informatica ha formato oggetto di approfonditi aggiornamenti seguiti all’evoluzione del settore), sia la peculiarità della clientela dell’azienda, circostanza, questa, che trova conferma in quanto osservato dall’Agenzia delle Entrate circa le percentuali di fatturato rivolto ai soggetti e ai non soggettivi IVA. Rileva, invece, la rilevante discrasia rappresentata dai ricavi dichiarati rispetto ai costi con particolare riferimento a quanto evidenziato per le spese del personale. Peraltro, come ancora rilevato dal Giudice di prime cure, alla fase istruttoria hanno attivamente assistito, in contraddittorio, rappresentanti del contribuente che non sono stati in grado di fornire idonee giustificazioni alle contestazioni mosse che costituiscono, anche a parere di questo Collegio, presunzioni gravi, precise e concordanti, tali da giustificare la correttezza dell’operato dell’Ufficio.”.

7.1 In sostanza nella decisione impugnata il Collegio di secondo grado si è limitato a richiamare le valutazioni effettuate dal giudice di primo grado, senza miglior specificazione, nonché un rilievo opposto dall’Agenzia (percentuale di fatturato rivolto ai soggetti e non soggetti IVA), senza però chiarire per quali motivi gli argomenti sostenuti dai contribuenti e la documentazione che essi avevano allegato, peraltro neppure richiamata, siano stati ritenuti inadeguati a giustificare, se del caso anche in parte, i minori ricavi dichiarati dalla società (Cfr. Cass., V, 1495/2020), La CTR non ha infatti spiegato i motivi che l’hanno indotta a ritenere applicabile lo studio di settore e a respingere le contestazioni del contribuente, limitandosi ad affermare che la CTO aveva “valutato con attenzione” la sua pertinenza. In ordine al profilo attinente alla clientela si è poi limitata ad invocare, con un richiamo meramente stilistico, le percentuali – peraltro nemmeno indicate – richiamate dall’Agenzia. Infine, con specifico riguardo alle prove contrarie la CTR si è nuovamente limitata a citare le conclusioni cui era pervenuta la CTP, secondo cui i rappresentanti del contribuente “non sono stati in grado di fornire idonee giustificazioni alle contestazioni mosse che costituiscono, anche a parere di questo Collegio, presunzioni gravi, precise e concordanti”, senza però specificare le ragioni effettive e concrete di tale reiezione rispetto alle varie prove contrarie offerte, per vero nemmeno sinteticamente illustrate.

7.2 La motivazione adottata in merito dalla CTR si rivela pertanto soltanto apparente, sicché il secondo, il terzo ed il quarto motivo debbono essere accolti.

8. Con l’ultimo motivo la ricorrente avanza censura dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giacché la sentenza di seconde cure meriterebbe di essere cassata per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, e dell’art. 2729 c.c., comma 1. Le presunzioni derivanti dagli studi di settore assumono infatti i caratteri di gravità, precisione e concordanza solo qualora il contraddittorio pre-accertativo sia svolto in maniera corretta. La contribuente lamenta pertanto l’illegittimità della sentenza per aver la CTR considerato le presunzioni invocate dall’Ufficio come gravi, precise e concordanti in sé, di tal via dimostrando di non aver considerato che dette presunzioni potevano essere considerate tali solo dopo aver accertato la regolarità del contraddittorio, regolarità non ravvisabile nel caso di specie.

8.1 Le contestazioni di cui al quinto ed ultimo profilo, relative alla violazione e falsa applicazione di legge, rimangono assorbite dall’accoglimento del secondo, terzo e quarto motivo.

9. In conclusione il ricorso merita di essere accolto.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, il terzo ed il quarto motivo e dichiara assorbito l’ultimo, cassa la sentenza impugnata in ordine ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 11 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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