Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25625 del 27/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 27/10/2017, (ud. 20/06/2017, dep.27/10/2017),  n. 25625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2837/2014 proposto da:

P.C., ((OMISSIS)), domiciliata ex lege in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI PETRONE;

– ricorrente –

contro

R.S., R.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 271/2012 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 16/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/06/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

Fatto

RILEVATO

che la signora P.C. ha proposto ricorso, su cinque motivi, per la cassazione della sentenza della corte d’appello di Potenza che, confermando quasi interamente la sentenza del tribunale della stessa città, ha parzialmente accolto la domanda proposta dai signori R.S. e A., avente ad oggetto la condanna dell’odierna ricorrente al pagamento del corrispettivo per i lavori di costruzioni di un immobile sito in (OMISSIS), per un importo complessivo di Lire 61.000.000;

che tali lavori formavano oggetto di due distinti contratti che la signora P. aveva stipulato separatamente, il primo con il signor R.S. ed il secondo con il sig. R.A.;

che, costituendosi in primo grado, la convenuta aveva eccepito di aver già effettuato diversi pagamenti che non erano stati indicati in citazione e aveva proposto domanda riconvenzionale avente ad oggetto la riduzione del corrispettivo contrattuale, in ragione dei vizi presenti nell’opera consegnata, ed il pagamento della penale pattuita per il ritardo nella consegna dei lavori;

che la corte ha riconosciuto come effettuati alcuni dei pagamenti dedotti dalla convenuta e dei quali il primo giudice non aveva tenuto conto (conseguentemente riducendo da Euro 10.953, 52 ad Euro 9.920,61 l’importo del credito riconosciuto agli attori), ma ha disatteso la domanda riconvenzionale della sig.ra P. sotto entrambi i profili in cui la stessa si articolava;

che i signori R.S. ed A. non hanno spiegato attività difensive in questa sede;

che la causa è stata chiamata all’adunanza di Camera di consiglio del 20 giugno 2017, per la quale il Procuratore Generale ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1667 e 1668 c.c., in cui la corte distrettuale sarebbe incorsa accogliendo l’eccezione di decadenza sollevata in primo grado dagli attori (ma dai medesimi non riproposta con l’appello incidentale) avverso la domanda riconvenzionale della sig.ra P. avente ad oggetto il corrispettivo dell’appalto per vizi dell’opera;

che il motivo va giudicato inammissibile, perchè il rigetto della domanda di riduzione del prezzo della sig.ra P. è stato motivato dalla corte distrettuale non solo in ragione dell’intervenuta decadenza dell’appaltante, ma anche per la mancanza di prova dei vizi dell’opera (per l’inadeguatezza delle risultanze peritali sul punto, vedi paragrafo 4.1 della sentenza) e questa ratio decidendi non è stata attinta dalla ricorrente (per il principio che l’omessa impugnazione di una tra più autonome rationes decidendi rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, cfr., tra le tante, Cass. 9752/17);

che peraltro il motivo è comunque infondato, sia laddove imputa alla sentenza gravata il vizio di ultrapetizione per essersi pronunciata sull’eccezione di decadenza della sig.ra P. dalla garanzia per vizi in assenza di appello incidentale degli attori, sia laddove assume che la corte distrettuale, accogliendo detta eccezione, avrebbe trascurato che l’opera non era stata ultimata;

che al riguardo va rilevato, quanto alla prima censura, che gli attori, essendo rimasti vittoriosi in primo grado, non avevano necessità di svolgere appello incidentale, potendo limitarsi a riproporre la suddetta eccezione ai sensi dell’art. 346 c.p.c. e, quanto alla seconda censura, che la stessa è inammissibile, perchè si risolve in una richiesta di rivisitazione del merito e delle emergenze istruttorie (la circostanza della mancata consegna dei certificati liberatori, il contenuto della deposizione del direttore dei lavori) che esula dall’ambito del giudizio di legittimità;

che col secondo motivo, riferito alla violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed alla violazione dell’art. 9 del contratto d’appalto del 18.03.1987 e dell’art. 29/5 del capitolato generale d’appalto, si censura la statuizione con cui la corte territoriale ha ritenuto non provato il ritardo nell’ultimazione dei lavori da parte di R.A., trascurando che la prova di tale ritardo emergerebbe dalla mancata comunicazione della fine dei lavori (cui l’appaltatore era tenuta in forza dell’art. 29/5 del capitolato generale d’appalto) e dalla deposizione del direttore dei lavori;

che il secondo motivo è inammissibile perchè, nonostante la rubrica riferita al vizio di violazione di legge, non contiene alcuna denuncia di violazione di legge, ma si risolve nella prospettazione di doglianze di merito, formulata in termini generici e non autosufficienti;

che col terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 191 c.p.c. e segg., in cui la corte distrettuale sarebbe incorsa liquidando in favore degli appaltatori un importo per l’esecuzione di opere non previste nel capitolato senza considerare i relativi vizi;

che anche questo motivo è inammissibile per difetto di specifiche censure nei confronti della sentenza gravata, giacchè si risolve nella richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie da parte della Corte di cassazione;

che col quarto motivo si lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo provata l’esecuzione di lavori extra capitolato in base alle sole risultanze della c.t.u., senza che l’impresa appaltatrice abbia offerto al riguardo alcuna prova;

che il quarto motivo va pur esso rigettato perchè, da un lato, prospetta questioni di merito il cui esame richiederebbe accertamenti di fatto inammissibili in questa sede e, d’altro lato, non tiene conto del principio, più volte affermato da questa Corte (tra le tante, Cass. 6155/09) che il giudice può affidare al consulente tecnico di ufficio non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche;

che con il quinto motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame, da parte della corte distrettuale, della comparazione della somma effettivamente da lei versata agli appaltatori con quanto previsto dalla L. n. 219 del 1981, art. 15, deducendo che l’impresa appaltatrice avrebbe ricevuto complessivamente la somma di Lire 27.387.541 (su lire 30.104.785 di lavori eseguiti) e, dunque, in ragione della mancata ultimazione di tali lavori, una somma maggiore rispetta a quella prevista dalla suddetta disposizione;

che il motivo è inammissibile perchè pone una questione nuova, non trattata nella sentenza gravata e di cui nel ricorso non si precisa se e quando sia stata dedotta davanti al giudice di appello;

che quindi in definitiva il ricorso va rigettato in relazione a tutti i motivi nei quali esso si articola;

che non vi è luogo al regolamento delle spese del giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede;

che deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater e D.Lgs. n. 546 del 1992.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, D.Lgs. n. 546 del 1992, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

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