Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25623 del 27/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 27/10/2017, (ud. 15/06/2017, dep.27/10/2017),  n. 25623

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11592/2014 proposto da:

D.D., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato RICCARDO RAVERA;

– ricorrente –

contro

Società CASELLA S.r.l., (p.iva (OMISSIS)) in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ASIAGO 8, presso lo studio dell’avvocato SILVIA VILLANI,

rappresentata e difesa dagli avvocati ILARIA GRECO, RICCARDO

SALVADORI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 212/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 17/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2017 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SILVIA VILLANI, con delega dell’Avvocato ILARIA

GRECO difensore della controricorrente, che ha chiesto il rigetto

del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Il geom. D.D. conveniva in giudizio la Casella s.r.l. per sentire, in via principale, dichiarare la risoluzione di diritto ex art. 1454 c.c. del preliminare sottoscritto in data 21.10.2005 dalle parti e condannare la convenuta, ex art. 1385 c.c., al pagamento della somma pari al doppio della caparra confirmatoria versata; in via subordinata, per sentir dichiarare la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. per inadempimento della convenuta e condannare quest’ultima al pagamento della somma pari alla caparra confirmatoria, nonchè al risarcimento del danno nella misura di Euro 15.000,00.

A sostegno della domanda adduceva:

– di aver stipulato con la Casella s.r.l. un contratto preliminare di vendita in data 21.10.2005, avente ad oggetto un appartamento sito in (OMISSIS), e porzione di terrazzo esterna per Euro 197.000,00, oltre IVA; che con il predetto contratto in suo favore era stato previsto il conferimento dell’uso esclusivo e perpetuo di una porzione del soprastante terrazzo di superficie pari all’appartamento; che la scelta dell’immobile era stata da lui effettuata, affinchè vi andasse ad abitare la figlia, proprio in funzione della garanzia di disporre del terrazzo soprastante, al quale sarebbe stato possibile accedere installando una scala nella porzione di terrazzo al piano, e dalla quale si godeva una stupenda vista a 360 sul golfo di Genova; che era stata prevista la stipulazione del rogito notarile entro il 30.11.2005 e, comunque, non prima dell’ultimazione dei lavori da eseguirsi espressamente indicati nel contratto, ultimazione anch’essa prevista per il 30.11.2005; che nelle more dell’esecuzione dei lavori era stato informato dalla Casella s.r.l. che il terrazzo di copertura non era nella disponibilità della prominente venditrice, come invece risultava dal preliminare, in quanto di proprietà della CONSAP s.p.a. che, a propria volta, si era obbligata a trasferirne l’uso alla Casella s.r.l.; che detta circostanza era stata ribadita per iscritto nel febbraio 2006, con contestuale proposta della società di immettere l’attore nel possesso dell’immobile e di differire la stipula del rogito entro un termine perentorio, prevedendo altresì che, nell’ipotesi in cui entro tale termine la Consap s.p.a. non avesse conseguito il diritto di uso del terrazzo soprastante, egli avrebbe avuto diritto ad uno sconto sul prezzo, fatto salvo l’obbligo di versare il prezzo originariamente pattuito ove entro due anni la Consap s.p.a. avesse adempiuto al suo obbligo, con esclusione di ogni forma di risarcimento; di non aver accettato tale proposta; che nel marzo 2006 aveva inviato lettera di diffida ad adempiere alla controparte e, quindi, perdurando l’inadempimento di quest’ultima, aveva comunicato il proprio recesso; che prima di essere informato che la proprietà del terrazzo soprastante era in capo ad altro soggetto, aveva fatto eseguire lavori nell’immobile ed aveva acquistato mobili su misura.

Si costituiva la convenuta, opponendo di non aver promesso di trasferire l’uso del terrazzo entro la data del rogito, e che, anzi, nel preliminare era previsto che il trasferimento di detto uso sarebbe avvenuto successivamente, all’atto della redazione delle tabelle millesimali da parte della società proprietaria dell’intero edificio; che il contrato definitivo non era stato stipulato solo perchè il D. non aveva comunicato il nominativo del notaio che avrebbe dovuto rogare l’atto; che l’attore aveva ottenuto le chiavi dell’appartamento nei primi giorni successivi alla stipula del preliminare dalla ditta esecutrice dei lavori, entrando nel possesso dell’immobile senza l’autorizzazione di essa convenuta; che, pertanto, aveva occupato indebitamente l’alloggio dal novembre 2005 al 3 maggio 2006; che l’appartamento era stato modificato su espressa richiesta dell’attore con maggiori esborsi da parte di essa convenuta; che, comunque, l’inadempimento lamentato era di scarsa importanza; che anche dopo l’invio della bozza di transazione l’attore aveva continuato a detenere l’immobile ed a sollecitare l’ultimazione dei lavori; che, dunque, il contratto doveva risolversi per grave inadempimento del D.; che, in ogni caso, essa convenuta, in quanto esente da ogni responsabilità, doveva essere condannata alla restituzione solo della somma di Euro 30.000,00. In via riconvenzionale, instava per la dichiarazione di risoluzione del preliminare per grave inadempimento dell’attore, con dichiarazione del suo diritto di trattenere la caparra ricevuta, e per sentir condannare la controparte al pagamento dell’indennità di indebita occupazione; in via subordinata, per sentir condannare l’attore al versamento di Euro 6.620,00, eventualmente da compensare con il credito ex adverso vantato.

All’esito dell’istruttoria, il Tribunale, con sentenza n. 782 del 23.2.2009, dichiarava la risoluzione di diritto del contratto preliminare intercorso tra le parti, rigettava la domanda dell’attore di condanna della Casella s.r.l. al pagamento del doppio della caparra confirmatoria, dichiarava di non esaminare la domanda risarcitoria formulata dall’attore in via subordinata, in quanto proposta per la sola ipotesi, non realizzatasi, di mancato accoglimento di quella principale di risoluzione di diritto, condannava la convenuta alla restituzione, in favore dell’attore, della somma di Euro 30.000,00 e rigettava la domanda riconvenzionale della Casella s.r.l..

Avverso questa pronunzia proponeva impugnazione D.D..

La Casella s.r.l. si costituiva, chiedendo il rigetto dell’appello.

La Corte d’appello di Genova, con sentenza del 17.2.2014, ha rigettato l’appello sulla base, per quanto qui ancora rileva, delle seguenti considerazioni:

1) alla luce di quanto chiarito dalle Sezioni Unite della Cassazione con la pronuncia n. 533/2009 (secondo cui, qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione, alla quale consegue il risarcimento del danno – da provarsi nell’an e nel quantum -, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra, essendovi incompatibilità strutturale e funzionale tra la domanda di risarcimento e la ritenzione della caparra), la originaria domanda attorea di risoluzione del contratto ex art. 1454 c.c. non poteva essere trasformata in grado d’appello in una irrituale domanda di recesso;

2) pertanto, l’appellante non poteva chiedere il doppio della caparra, spettandogli solo, quale effetto della risoluzione, la restituzione della caparra versata già attribuitagli dal primo giudice;

3) non poteva essere accolta la domanda subordinata, essendo stata accolta quella principale;

4) il D. non aveva, invece, provato di aver subito ulteriori danni.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.D., sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria. La Casella s.r.l. ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1385,1453 e 1454 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la corte territoriale considerato che il diritto al pagamento del doppio della caparra confirmatoria ricorre quando la parte non inadempiente, come nel caso di specie, eserciti un’azione di accertamento della risoluzione di diritto del contratto già stragiudizialmente verificatasi e chieda, ai sensi dell’art. 1385 c.c., comma 2, che il risarcimento del danno sia quantificato e contenuto nell’ammontare predeterminato in forza della pattuizione concernente la dazione della caparra medesima, senza invocare il risarcimento di un danno ulteriore rispetto a quest’ultima.

1.1. Il motivo è fondato.

Nella fattispecie in esame l’attore ha, nell’atto di citazione introduttivo del primo grado di giudizio, chiesto (cfr. pag. 37 del ricorso), in via principale, dichiararsi la risoluzione di diritto ex art. 1454 c.c. del contratto preliminare stipulato in data 21.10.2005 per inadempimento grave e, comunque, di non scarsa importanza della Casella s.r.l. e condannarsi, per l’effetto, quest’ultima al pagamento, in suo favore, della somma di Euro 60.000,00, pari al doppio della caparra confirmatoria; in via subordinata (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata), ha chiesto dichiararsi la risoluzione ex art. 1453 c.c. del contratto per inadempimento della convenuta e condannarsi la stessa al pagamento della somma pari alla caparra confirmatoria (ammontante ad Euro 30.000,00) ed al risarcimento del danno nella misura ulteriore di Euro 15.000,00.

Non è contrastato il principio generale enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, a mente del quale, in tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione (giudiziale o di diritto) ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra (o pagamento del doppio), avuto riguardo – oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all’irrinunciabilità dell’effetto conseguente alla risoluzione di diritto – all’incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento: la funzione della caparra, consistendo in una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l’instaurazione di un giudizio contenzioso, risulterebbe infatti frustrata se alla parte che abbia preferito affrontare gli oneri connessi all’azione risarcitoria per ottenere un ristoro patrimoniale più cospicuo fosse consentito – in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che vieta qualsiasi forma di abuso processuale – di modificare la propria strategia difensiva, quando i risultati non corrispondano alle sue aspettative (Sez. U, Sentenza n. 553 del 14/01/2009; conf. Sez. 2, Sentenza n. 20798 del 10/10/2011).

Trova, invece, applicazione l’orientamento, ormai consolidato, per cui la risoluzione del contratto di diritto per inosservanza del termine essenziale (art. 1457 c.c.) non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facoltà di recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c. per ottenere, invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, poichè dette domande hanno una minore ampiezza rispetto a quella di risoluzione e possono essere proposte anche nel caso in cui si sia verificata di diritto la risoluzione stessa; in tal caso, però, si può considerare legittimo il recesso solo quando l’inadempimento dell’altra parte non sia di scarsa importanza avuto riguardo all’interesse del recedente (Sez. 2, Sentenza n. 21838 del 25/10/2010).

Ne consegue che il promissario acquirente di un contratto preliminare di vendita, dopo avere inutilmente formulato, nei confronti del promittente venditore, diffida ad adempiere, ed aver instaurato il conseguente giudizio per l’accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto del contratto, ben può, ove non abbia contestualmente avanzato richiesta di risarcimento ai sensi dell’art. 1453 c.c., instare per il semplice conseguimento del doppio della caparra versata, secondo la previsione dell’art. 1385 c.c., e sul presupposto della risoluzione di diritto verificatasi ex art. 1454 stesso codice (Sez. 1, Sentenza n. 319 del 11/01/2001).

Invero, la risoluzione di diritto del contratto per diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 1454 c.c., non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facoltà di ottenere, secondo il disposto dell’art. 1385 c.c., invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, con la conseguenza che, sebbene spetti al giudice di accertare che l’inadempimento dell’altra parte non sia di scarsa importanza, non è poi onere della parte adempiente provare anche il danno nell’an e nel quantum debeatur (Sez. 3, Sentenza n. 2999 del 28/02/2012).

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver la corte territoriale considerato che nei due gradi di giudizio il petitum e la causa petendi della domanda principale erano rimasti identici e che non vi era un interesse giuridico per impugnare la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva accolto la sua domanda di declaratoria della intervenuta risoluzione di diritto del contratto preliminare ex art. 1454 c.c..

2.1. Il motivo resta assorbito nell’accoglimento del primo.

3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non essersi la corte locale pronunciata sulla sua richiesta subordinata di risarcimento del danno da inadempimento secondo le regole generali, nonostante egli l’avesse proposta in forza sia dell’art. 1385 c.c., comma 2, che dell’art. 1453 c.c. e la domanda principale fosse stata accolta limitatamente al profilo dell’avvenuta risoluzione di diritto del contratto, e non con riferimento al profilo, strettamente connesso, del risarcimento del danno secondo il meccanismo semplificato disciplinato dall’art. 1385 c.c., comma 2.

3.1. Il motivo resta assorbito nell’accoglimento del primo.

4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per aver la corte di merito ritenuto che egli non avesse fornito la prova di aver subito ulteriori danni, laddove il giudice di primo grado non gli aveva accordato alcun risarcimento non già perchè non era stato provato, bensì in quanto era stata già accolta la domanda principale.

4.1. Anche tale motivo resta assorbito nell’accoglimento del primo.

5. Con il quinto motivo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per aver la corte locale omesso di valutare, nel pronunciarsi sulla domanda risarcitoria, le prove documentale e le istanze istruttorie (prove testimoniali), rispettivamente, prodotte ed articolate.

5.1. Anche tale motivo resta assorbito nell’accoglimento del primo.

6. In definitiva, il ricorso è meritevole di accoglimento, con la conseguenza che la sentenza va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Genova, anche per la pronuncia sulle spese processuali.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Genova, altra sezione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 15 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

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