Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25623 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/09/2021, (ud. 26/05/2021, dep. 22/09/2021), n.25623

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23681/2014 R.G. proposto da:

N.A., con l’avv. Alberto Maria Sciacca e con domicilio

eletto presso il suo studio in Roma, via F. Satolli n. 45;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

e contro

Equitalia Gerit s.p.a., Agente per la Riscossione per la Provincia di

Roma, in persona del legale rappresentante p.t.;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per il

Lazio, Roma, n. 2396/38, pronunciata il 26 marzo 2014 e depositata

il 10 aprile 2014, notificata in data 26 giugno 2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 maggio

2021 dal Cons. Marcello M. Fracanzani.

 

Fatto

RILEVATO

1. Il contribuente era attinto da una cartella esattoriale, emessa dall’Agenzia della riscossione a seguito di un controllo automatizzato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e relativa alla dichiarazione Mod. Unico 2006 presentata per l’anno d’imposta 2005. L’Ufficio recuperava a tassazione l’Irpef sulla base del reddito dichiarato.

2. Il contribuente, socio accomandante e accomandatario al 30% di due distinte società, adiva pertanto il giudice di prossimità ivi rappresentando, da un lato, di non aver ricevuto alcun avviso bonario e, dall’altro, di aver correttamente indicato, nell’anzidetta dichiarazione del 2006, le perdite d’impresa degli esercizi precedenti, e segnatamente una perdita maturata nel 2004, ma disconosciuta dall’Ufficio non avendo il contribuente presentato la dichiarazione dei redditi per quel periodo d’imposta. Afferma, pertanto, che eventuali incongruenze della dichiarazione avrebbero dovuto essere oggetto di uno specifico avviso di accertamento.

3. I due gradi di merito erano favorevoli all’Amministrazione, con conseguente conferma della legittimità della cartella impugnata.

4. Insorge con ricorso avanti a questa Corte il contribuente, svolgendo cinque motivi di doglianza, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato con tempestivo controricorso. Rimane intimata l’Agenzia della Riscossione.

Diritto

CONSIDERATO

1. Con il primo motivo di ricorso il contribuente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., l’omessa pronuncia e l’omessa motivazione su fatti decisivi per il giudizio (omessa considerazione del motivo dedotto sulla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e sulla illegittimità di avanzare la pretesa con atto diverso da un avviso di accertamento) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

1.1 Afferma in buona sostanza che il Collegio di secondo grado avrebbe reso una motivazione meramente apparente, sì da integrare di fatto un’omessa pronuncia, in relazione alla censura svolta ed avente ad oggetto l’obbligo dell’Ufficio di inviare la comunicazione d’irregolarità nel caso in cui si renda necessario operare il disconoscimento della perdita connessa alla mancata presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno d’imposta competente.

Il motivo è infondato.

2.E’ ius receptum di questa Corte quello secondo cui “il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (in materia di processo civile ordinario) e del D.Lgs. n. 546 del 1992, omologo art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata” (Cass., V. n. 20414/2018). Parimenti, affinché possa dirsi integrato il vizio di omessa pronuncia, denunciabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cfr. Cass., n. 20311/2011)” (Cfr. Cass. V, n. 7662/2020).

2.1 Nel caso in commento la CTR ha rigetto espressamente la censura svolta dal contribuente sul presupposto del corretto disconoscimento della perdita, dichiarata nel 2006 dal contribuente ancorché in relazione al 2004, anno in cui il contribuente – è incontestato – non aveva presentato la dichiarazione.

2.2. Un tanto in disparte i profili di inammissibilità del presente motivo, proposto dal contribuente in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma denunziabile solo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in ragione della pretesa nullità della sentenza per omessa pronuncia.

Il motivo è dunque infondato e va respinto.

3.Con il secondo motivo la parte ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). In buona sostanza, con detto motivo, connesso al precedente, il contribuente lamenta che la CTR abbia erroneamente ritenuto che l’omessa comunicazione del cd. avviso bonario non determinasse la nullità della cartella di pagamento, nonostante il contestato disconoscimento della perdita dipendesse dalla mancata presentazione della dichiarazione per l’anno d’imposta di competenza, peraltro riconosciuta dal contribuente.

Il motivo è infondato.

4. La questione è stata affrontata più volte da questa Corte, a partire da Sez. U, Sentenza n. 17758 del 08/09/2016, Rv. 640942 01.

Come ribadito anche da recenti arresti giurisprudenziali, ancorché resi da questa Corte in tema di IVA, ma certamente applicabili al motivo in esame attendendo ai profili “procedurali” e non sostanziali dell’emissione della cartella, “… l’invio al contribuente della comunicazione di irregolarità è previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3 (in materia di tributi diretti) e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, comma 3 (in materia di IVA) nelle sole ipotesi in cui dai controlli automatici emergano “un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione” oppure “un’imposta o una maggiore imposta”, avendo la finalità di “evitare la reiterazione di errori e (…) consentire la regolarizzazione degli aspetti formali”; evenienza che nella specie non ricorre affatto, in quanto la cartella risulta essere stata emessa a seguito di disconoscimento di un credito IVA e di perdite relative a precedente anno di imposta in cui non risultava presentata la relativa dichiarazione, senza alcuna rettifica delle predette imposte e senza che emergessero errori, ovvero irregolarità nella dichiarazione; – che, peraltro, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 13759 e n. 11292 del 2016 e n. 12023 del 2015), l’omesso invio di tale comunicazione, anche ove dovuta, determina non l’invalidità della cartella ma una mera irregolarità e non preclude al contribuente, una volta ricevuta la notifica della stessa, di corrispondere quanto dovuto con riduzione della sanzione, sempre che non si tratti di omessi o tardivi versamenti (come è invece nel caso in esame), perché in tali ipotesi non spetta la riduzione delle sanzioni amministrative ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2″ (Cfr. Cass., V, n. 26450/2017; n. 26044/2016).

4.1 Ne’ coglie nel segno la richiamata pronuncia di questa Corte n. 4539/2013, vertendo quella decisione in un’ipotesi opposta a quella odierna: ivi l’Amministrazione finanziaria aveva infatti disconosciuto un credito ritualmente esposto nella dichiarazione.

4.2 La CTR ha dunque fatto buon governo della disciplina in commento, non avendo avvallato la domanda di nullità della cartella proposta dal contribuente.

5. Con la terza censura il contribuente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente (L n. 212/2000) in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Egli dubita della legittimità della sentenza nella parte in cui la CTR ha ritenuto non necessaria la motivazione in ragione dell’automatismo che caratterizza la liquidazione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis. Afferma poi che i richiami al tipo d’imposta, alle somme dovute a titolo d’imposta, interessi o sanzioni, e la causale indicata a fondamento del recupero concreterebbero dei meri dati citati formalisticamente.

Il motivo è infondato.

6.A margine il difetto di autosufficienza del motivo per non aver il contribuente trascritto la cartella impugnata, “in tema di motivazione della cartella di pagamento è fermo principio giurisprudenziale quello secondo cui, in ipotesi di controllo cartolare D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis com’e’ quello di specie, a seguito del quale si procede alla liquidazione dell’imposta in base ai dati contenuti nella dichiarazione o rinvenibili negli archivi dell’anagrafe tributaria, l’atto con cui siano rettificati i risultati della dichiarazione e, quindi, sia esercitata una vera e propria potestà impositiva, può essere motivato con il mero richiamo alla dichiarazione, poiché il contribuente è già in grado di conoscere i presupposti della pretesa (Cass. n. 25329 dei 2014; n. 26671 dei 2009, n. 15564 del 2016)” (Cfr. Cass., V, n. 26450/2017; V, n. 24555/2020).

6.1 La censura, peraltro, appare ancora più infondata tenuto conto che la sentenza impugnata riconosce, e il contribuente non contesta, la specifica indicazione degli elementi indicatori posta a fondamento della pretesa erariale, salvo qualificarli infondatamente come dei dati meramente formalistici.

La censura è dunque infondata e va disattesa.

7. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione delle norme sulla necessità di integrare il contraddittorio in sede amministrativa, nonché la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, (statuto del contribuente) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. In sostanza lamenta la violazione del contraddittorio preventivo, con conseguente nullità della cartella, giacché esso sarebbe stato erroneamente decretato come non necessario da parte della CTR, non rientrando nell’ipotesi di legge che lo impone nei soli casi in cui emergano dubbi o incertezze con riferimento al quantum del debito d’imposta da contestare.

Il motivo è infondato.

8. Occorre premette che la L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5 dispone che “prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari o produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta…”. Emerge pertanto, ed ictu oculi, l’inapplicabilità della disposizione in commento, come peraltro correttamente stabilito dalla CTR, tenuto conto che la quaestio iuris attiene alla dichiarazione dei redditi del 2004 non presentata.

8.1 Invero, in una fattispecie speculare a quella odierna, in cui l’Ufficio ha operato il disconoscimento di una perdita per omessa presentazione della dichiarazione, questa Corte ha stabilito che “nella specie non ricorre neppure l’ipotesi di cui all’art. 6, comma 5, dello Statuto dei diritti del contribuente (L. n. 212 del 2000), che prevede l’obbligo, questa volta a pena di nullità dell’iscrizione a ruolo, di invio della comunicazione di irregolarità della dichiarazione presentata dai contribuente, ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” (Cass., n. 7536 del 2011, n. 795 dei 2011, n, 8342 dei 2012, n. 459 del 2014, n. 12023 del 2015, n. 15740 del 2016), che è situazione che non ricorre (o comunque non necessariamente ricorre) nel caso di controlli automatizzati, che suppongono un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo”, come è nella specie in cui non emerge la sussistenza di una tale situazione; e’, peraltro, agevole affermare che, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione – come invece si desume dalla statuizione impugnata non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso (In termini, Cass. n. 4024 e 8342 del 2012; n. 459 del 2014)” (Cfr. Cass., V, n. 26450/2017; n. 13837/2020).

Il motivo va dunque respinto.

9.Con l’ultimo motivo di ricorso il contribuente censura l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio – sulle conseguenze del mancato invio dell’avviso bonario, quanto meno in tema di riduzione delle sanzioni – nonché la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, (Statuto del contribuente) e del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2, in parametro all’art. 360 c.p.c., n. 3. Il ricorrente prospetta l’omessa motivazione, tale da integrare una motivazione meramente apparente, in ordine alla sussistenza delle pretese incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione: incertezza che avrebbe dovuto indurre la CTR a ridurre le sanzioni e gli interessi.

10. L’ultimo motivo sconta i medesimi profili di inammissibilità del primo per aver la parte ricorrente censurato il profilo di motivazione apparente in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 anziché a termini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, aggravato dal difetto di autosufficienza per non aver il contribuente trascritto la specifica censura su cui la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi.

10.1 In ogni caso, è principio ormai cristallizzato di questa Corte quello secondo cui “Non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata, in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, non occorrendo una specifica argomentazione in proposito. E’ quindi sufficiente quella motivazione che fornisce una spiegazione logica ed adeguata della decisione adottata, evidenziando le prove ritenute idonee a suffragarla, ovvero la carenza di esse, senza che sia necessaria l’analitica confutazione delle tesi non accolte o la disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi” (Cfr. Cass., V, n. 7662/2020).

10.2 E da una coordinata e non parziale lettura della sentenza impugnata si deduce agevolmente come la CTR abbia inteso rigettare implicitamente la doglianza inerente gli interessi e le sanzioni, quale conseguenza del rigetto delle censure principali.

10.3 Occorre infatti considerare che “Nel giudizio tributario, la cartella emessa D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis non ha natura impositiva poiché deriva da una mera liquidazione dei tributi già esposti dal contribuente e, con riferimento alle sanzioni, da un riscontro meramente formale dell’omissione (senza alcuna autonomia e discrezionalità da parte dell’amministrazione (Cass. n. 9194 del 2011; conf. n. 9545 del 2011, nn. 19219. 9894 e 4093 del 2012; n. 8319 del 2013; n. 8529 del 2014)), sicché, nel caso in cui dai dati esposti dal contribuente emerga un tardivo versamento delle ritenute operate, incombe sullo stesso l’onere di dimostrare l’erroneità della dichiarazione, mediante prova della data effettiva e della tempestività dei pagamenti delle retribuzioni e delle contestuali ritenute (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 548 del 15/01/2016)”. Tanto premesso, può evincersi come la CTR si sia attenuta al detto principio, avendo ritenuto che – trattandosi di cartella esattoriale emessa ai sensi dell’art. 36bis cit. e a fronte di un riscontro meramente formale dell’omesso versamento dei tributi autoliquidati – le sanzioni fossero state legittimamente applicate (cfr. Cass., V, n. 13837/2020).

Il motivo merita dunque di essere respinto.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in Euro duemilatrecento/00, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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