Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25622 del 30/11/2011

Cassazione civile sez. VI, 30/11/2011, (ud. 07/10/2011, dep. 30/11/2011), n.25622

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 6

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GOLDONI Umberto – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 26180/2010 proposto da:

R.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

LARGO DI TORRE ARGENTINA 11, presso lo studio dell’avvocato

LAZZARETTI ANDREA, rappresentato e difeso dagli avvocati CAPRIOLI

LUCIO, CAPRIOLI VINCENZO giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio dell’avvocato STICCHI

DAMIANI ERNESTO (Studio BDL), che la rappresenta e difende giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 443/2009 della CORTE D’APPELLO di LECCE del

5/05/09, depositata il 10/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. VINCENZO MAZZACANE;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato l’1-9-1978 R.A. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce A.C. chiedendone la condanna al pagamento della somma di lire 7.500.000 oltre interessi e maggior danno ex art. 1224 c.c. dal 28-6-1978 al soddisfo a titolo di saldo per i lavori di costruzione di un fabbricato in (OMISSIS), eseguiti dall’esponente su incarico della convenuta.

La A. costituendosi in giudizio contestava la domanda attrice e, in via riconvenzionale, chiedeva la riduzione del corrispettivo in maniera proporzionale ai vizi riscontrati e la conseguente condanna dell’attore alla restituzione della somma dallo stesso indebitamente percepita, da determinarsi a mezzo di consulenza tecnica d’ufficio, tenuto conto che il corrispettivo pattuito era pari a L. 29.772.935, e che era già stato versato un acconto di L. 25.604.000.

Il Tribunale adito con sentenza n. 3774/2001 dichiarava l’ A. tenuta a corrispondere al R. L. 3.782.945 a titolo di saldo per le opere commissionate ed eseguite, dichiarava il R. tenuto a risarcire alla A. danni quantificati in complessive L. 8.681.450 e lo condannava al pagamento della differenza, pari a L. 4.898.505 oltre interessi legali e maggior danno da svalutazione monetaria.

Proposto gravame da parte del R. cui resisteva l’ A. formulando altresì appello incidentale la Corte di Appello di Lecce con sentenza del 10-9-2009 ha dichiarato l’ A. tenuta al pagamento in favore del R. di Euro 293,69, somma a questi dovuta a titolo di saldo in pagamento delle opere eseguite, ha dichiarato il R. tenuto al pagamento di Euro 5.013,46 in favore della A. a titolo di risarcimento dei danni, ed ha condannato per l’effetto il R. al pagamento in favore della A. della differenza pari ad Euro 4719,77 oltre gli interessi legali ed il maggior danno da svalutazione monetaria.

Per la cassazione di tale sentenza il R. ha proposto un ricorso articolato in otto motivi cui l’ A. ha resistito con controricorso.

Il Consigliere designato con relazione ex art. 380 bis c.p.c., del 2- 7-2011 ha concluso per il rigetto del ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c.; le parti hanno successivamente depositato delle memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il R., denunciando nullità della sentenza per la violazione delle norme che regolano la valutazione delle prove raccolte (art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c.), assume che il giudice di appello ha ignorato le acquisizioni probatorie dalle quali era emerso che l’ A. era sempre presente nel cantiere per verificare e dirigere l’esecuzione dei lavori;

pertanto non si poteva pensare ad eventuali responsabilità del R., poichè l’appalto doveva essere considerata a regia.

Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo insufficiente ed omessa motivazione, sostiene che la Corte territoriale ha affermato con metodo tautologico che l’appalto non era a regia, e che quindi il R. non era esonerato dall’osservanza delle regole dell’arte, confondendo così i due piani, quello delle scelte operative (impedite all’imprenditore rigidamente diretto dal committente) e quello della corretta esecuzione del contratto.

Il R. rileva di aver pienamente provato di aver prestato ossequio alle direttive della A. e del di lei marito nell’eseguire l’obbligazione di edificare la loro abitazione secondo un progetto che presentava misure di massima, con pattuizione dei prezzi a misura; non per questo l’esponente era stato esonerato dall’osservare le regole dell’arte, cui si era puntualmente attenuto, come confermato dall’assenza di rilievi in proposito da parte del direttore dei lavori.

Secondo la menzionata relazione (che ha esaminato unitamente gli enunciati motivi per ragioni di connessione) la sentenza impugnata ha rilevato che dalle dichiarazioni dei testi era emerso che la saltuaria presenza della A. nel cantiere era determinata da una mera casualità, ossia dal fatto che l’appellata gestiva un negozio di alimentari di fronte al cantiere, dove si recava per portare panini agli operai o per seguire l’andamento dei lavori; ha quindi aggiunto che l’ A. non aveva certo la competenza tecnica per dirigere i lavori; pertanto non poteva essere attribuita a quest’ultima la direttiva di realizzare pareti più sottili rispetto a quanto previsto in progetto o di ridurre l’altezza del vano scala in modo da pregiudicare una futura sopraelevazione della costruzione;

la relazione ha quindi ritenuto che, avendo la Corte territoriale puntualmente indicato le fonti del proprio convincimento, si era in presenza al riguardo di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede, considerati per altro verso i presupposti rigorosi che caratterizzano l’appalto a regia, nel quale il controllo esercitato dal committente sull’esecuzione dei lavori esula dai normali poteri di verifica, ed è così penetrante da privare l’appaltatore di ogni margine di autonomia, riducendolo a strumento passivo dell’iniziativa del committente, sì da giustificarne l’esonero da responsabilità per difetti dell’opera, una volta provato che abbia assunto il ruolo di “nudus minister” del committente (Cass. 11-2-2005 n. 2752).

Con il terzo motivo il R., denunciando erronea motivazione e violazione dell’art. 2697 c.c., e art. 112 c.p.c., rileva l’insussistenza di un progetto esecutivo dell’immobile per cui è causa, essendo stato redatto solo un progetto di massima accompagnato poi dalle indicazioni esecutive di volta in volta impartite dalla A. e dal suo direttore geometra P.; poichè quindi il progetto non era dettagliato, quanto a spessore dei muri, larghezza dei pilastri, qualità e quantità dei materiali, non potevano sussistere responsabilità dell’esponente in assenza della prova delle obbligazioni a carico dell’appaltatore.

Con il quarto motivo il ricorrente, deducendo omessa motivazione e violazione degli artt. 1218 e 1321 c.c., e art. 112 c.p.c., assume che, in presenza soltanto di un progetto di massima, ed in mancanza di una definizione circostanziata dei lavori oggetto dell’appalto, il R. aveva adempiuto all’obbligo di realizzare una costruzione funzionale ed utilizzabile dalla A., che invero usufruiva della casa di abitazione da oltre trent’anni.

La suddetta relazione, esaminando contestualmente i suddetti motivi per ragioni di connessione, premesso come elemento pacifico in causa che l’ A. aveva commissionato al R. la costruzione di un immobile destinato ad abitazione, ha osservato che secondo la sentenza impugnata la committente aveva consegnato all’appaltatore un progetto allegato al contratto con l’indicazione dei lavori da realizzare (vedi pagine 5-6 e 8 della sentenza impugnata), cosicchè l’indagine effettuata per verificare l’adempimento o meno del R. alle obbligazioni assunte aveva dovuto necessariamente fare riferimento alle pattuizioni al riguardo indicate nella richiamata documentazione; del resto neppure risultava che il R. nel giudizio di merito avesse specificatamente sollevato la questione di una indeterminatezza dell’oggetto del contratto di appalto intercorso tra le parti.

Con il quinto motivo il R., denunciando omessa motivazione e violazione degli artt. 115 e 132 c.p.c., sostiene che la Corte territoriale ha aderito alle conclusioni del CTU nominato nel giudizio di secondo grado ingegner C. senza tener conto delle contestazioni al riguardo mosse dal consulente di parte ingegner M..

Con il sesto motivo il ricorrente, deducendo violazione degli artt. 115, 194 e 195 c.p.c., rileva che il giudice di appello ha omesso qualsiasi indagine sulla fonte delle obbligazioni a carico del R., ed ha omesso del tutto la verifica in ordine al rispetto delle misure previste nel progetto da parte dell’appaltatore, progetto comunque privo delle misure di dettaglio.

Con il settimo motivo il R., denunciando contraddittoria motivazione e violazione degli artt. 194 e 195 c.p.c., e art. 1218 c.c., rileva che la CTU espletata in appello, avendo recepito acriticamente le conclusioni raggiunte dalla CTU svolta nel primo grado di giudizio, non ha considerato, come dedotto dall’esponente con l’atto di appello, che la vantazione dei danni operata dal Tribunale non era rispondente al vero, attesa la mancanza di un progetto e tenuto conto delle continue direttive della A..

Con l’ottavo motivo il ricorrente, deducendo vizio di motivazione e violazione dell’art. 2697 c.c., e art. 112 c.p.c., sostiene che l’assunto della Corte territoriale secondo cui le opere realizzate dall’esponente avrebbero impedito la sopraelevazione del’immobile in questione era privo di alcun supporto probatorio, posto che l’ A. non aveva provato che le norme urbanistiche consentissero la sopraelevazione del bene.

La menzionata relazione, esaminando unitamente gli enunciati motivi in quanto connessi, ha osservato che la Corte territoriale, all’esito della CTU espletata nel giudizio di appello, aveva detratto dall’importo contabilizzato sulla base del progetto allegato al contratto la complessiva somma di L. 4.058.620 per le opere pattuite e non realizzate, ed aveva determinato in complessive L. 9.707.428 l’entità dei danni procurati alla A. per difetti di costruzione, e precisamente lire 5.000.000 per danni derivanti dalla riduzione dello spessore di alcune murature e di alcuni tratti della fondazione, L. 3.336.120 per riportare il vano scala all’altezza prevista nel progetto e L. 1.371.308 per danni derivanti dalla ricostruzione di una parte del muro di recinzione che presentava vistosi cedimenti dovuti alla mancanza di fondazioni poggianti su roccia.

Rilevato che quindi il convincimento espresso dalla Corte territoriale è frutto di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, con corretto riferimento alle pattuizioni intercorse tra le parti (vedi ad esempio l’altezza del vano scala come prevista nel progetto ed evidentemente non rispettata dal R.), la suddetta relazione ha osservato, con particolare riguardo ai profili di censura sollevati nell’ottavo motivo, che il danno liquidato non aveva alcuna attinenza con la facoltà di sopraelevazione (alla quale invero la sentenza impugnata non fa riferimento), ma era rappresentato, come si è visto, dalla spesa necessaria per riportare il vano scala all’altezza prevista nel progetto; ha poi rilevato, quanto alla doglianza relativa al mancato esame delle deduzioni del consulente di parte, che la consulenza di parte costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio, con la conseguenza che il giudice di merito, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne ed a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con esso incompatibili e conformi al parere del proprio consulente (Cass. 29-1-2010 n. 2063).

Infine la relazione suddetta ha evidenziato che per altro verso il ricorrente ha riproposto profili di censura (come quelli riguardanti l’asserita mancanza di un progetto e la ricorrenza di un appalto a regia) già sollevati nei precedenti motivi e ritenuti infondati.

Il Collegio ritiene di aderire pienamente a tutte le argomentazioni svolte nella citata relazione, considerato altresì che esse non sono state minimamente confutate dal ricorrente nella memoria illustrativa depositata.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 3500,00 per onorari di avvocato.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2011

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