Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25622 del 14/11/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 25622 Anno 2013
Presidente: MASSERA MAURIZIO
Relatore: BARRECA GIUSEPPINA LUCIANA

SENTENZA
sul ricorso 7270-2010 proposto da:
CHINAPPI

MARCO

CHNMRC67E14L120F,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo
studio dell’avvocato PANICI PIER LUIGI, rappresentato
e difeso dall’avvocato DI CIOLLO FRANCESCO giusta
delega in atti;
– ricorrente contro

FAIOLA

SILVIO

FLASLV45T281892C,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ANASTASIO II 442, presso lo
studio dell’avvocato MOIO ALBERTO MARIO, rappresentato

Data pubblicazione: 14/11/2013

e difeso dall’avvocato GUIDI MICHELE giusta delega in
atti;
– controricorrente nonchè contro

FAIOLA RAFFAELLA, LA ROCCA GIUSEPPINA, FAIOLA LEONE,

– intimati –

avverso il provvedimento n. 1255/2009 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/03/2009 R.G.N.
5665/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 02/10/2013 dal Consigliere Dott.
GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

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FAIOLA ROCCO, FAIOLA MARIA CARMINA;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.-

Silvino Chinappi propose opposizione all’esecuzione avverso

il precetto notificatogli ad istanza di Silvio Faiola, Rocco
Faiola, Raffaella Faiola, Maria Carmina Faiola, Leone Faiola e
Giuseppina La Rocca per il rilascio di un terreno sito in

Latina, confermata dalla Corte d’Appello e dalla Corte di
Cassazione.
L’opponente dedusse che l’esecuzione della sentenza era già
avvenuta, come da verbale di rilascio dell’ufficiale giudiziario
del 6 aprile 1984, e che egli, successivamente a tale
esecuzione, era stato reintegrato nel possesso del terreno con
provvedimento del Pretore di Fondi, sul presupposto che fosse
stato compiuto uno spoglio ai suoi danni, quale custode
giudiziario. Pertanto, il titolo esecutivo azionato aveva
esaurito i suoi effetti e sulla base di esso gli intimanti il
precetto non avrebbero potuto agire nuovamente nei suoi
confronti per il rilascio del fondo. Dedusse altresì la pendenza
di un giudizio da lui introdotto dinanzi al Commissario per gli
usi civici.
1.1.- Gli opposti si costituirono, rilevando che il Chinappi
aveva ottenuto la reintegrazione nel possesso nella qualità di
custode giudiziario, ma che tale qualità era cessata a seguito
di sentenza della Corte di Cassazione; che il titolo esecutivo
costituito dalla sentenza del Tribunale di Latina era ancora
valido ed efficace e, non avendo avuto esecuzione, era stato

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Sperlonga, in forza della sentenza n. 505/1980 del Tribunale di

validamente posto a fondamento del precetto. Chiesero il rigetto
dell’opposizione e la condanna dell’opponente al risarcimento
dei danni per il mancato godimento dell’immobile e per lite
temeraria ex art. 96 cod. proc. civ.
1.2.-

Il Tribunale di Latina, con sentenza n. 969/02, rigettò

quantificati in C 18.600,00.
2.- Silvino Chinappi propose appello nei confronti dei La Rocca
– Faiola.
Costituitisi gli appellati, all’udienza del 20 febbraio 2008 il
processo venne interrotto per la morte dell’appellante. Quindi,
venne riassunto da Marco Chinappi, quale erede di Silvino
Chinappi, con atto notificato agli appellati il 31 ottobre 2008.
Dopo la riassunzione, gli appellati rimasero contumaci.
2.1.-

Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 19 marzo

2009, la Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’appello,
compensando tra le parti le spese del grado.
3.-

Avverso la sentenza Marco Chinappi ha proposto ricorso

affidato a quattro motivi.
Silvio Faiola si è difeso con controricorso.
Gli altri intimati non si sono difesi.

moTrvI
l.-

DELLA DECISIONE

Il ricorso va dichiarato inammissibile, essendo molteplici

le ragioni che inducono a siffatta statuizione.
Col primo motivo di ricorso si deduce

«nullità della sentenza,

ai sensi dell’art. 360 n. 1, 2, 3, 4 e 5 cloc. Illogicità della

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l’opposizione e condannò l’opponente al risarcimento dei danni,

motivazione. Omessa valutazione del difetto di giurisdizione e/o
competenza giudice ordinario ai sensi della legge 1766 del
16.06.1927>>.
Vi si sostiene che sarebbe stato provato e riconosciuto sia
dalle parti che dai giudici di primo e di secondo grado che il

del comune di Fondi; che pertanto sia il giudice dell’esecuzione
che il Tribunale e la Corte d’Appello avrebbero dovuto rilevare
d’ufficio «la demanialità del bene e sospendere il giudizio>>,
con ordine di

«riassunzione della controversia relativa

all’accertamento della

qualitas soli

innanzi al Commissario

Regionale degli Usi Civici per il Lazio>>.
Si chiede pertanto la cassazione della sentenza con rinvio alla
Corte d’Appello perché provveda nel senso appena detto.
1.1.- Il motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata afferma che vi è stato un giudizio dinanzi
al Commissario agli usi civici -come d’altronde sostenuto anche
dal resistente nel controricorso (che di tale giudizio dà conto
riferendosi, in particolare, alla sentenza di appello in
materia di usi civici, depositata dal Commissario in data 17
aprile 2009)- e che questo giudizio si è concluso con la
negazione al Chiappini di qualsiasi diritto (cfr. pag. 4 della
sentenza).
Orbene,

il ricorrente avrebbe dovuto impugnare la statuizione

del giudice d’appello contestando che quanto dalla Corte
affermato, sulla base della pronuncia del Commissario Regionale

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terreno oggetto di giudizio è gravato da uso civico in favore

per la Liquidazione degli Usi Civici, fosse corretto in diritto
e/o in fatto. Invece, il motivo di ricorso prescinde del tutto
dall’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, trascura
completamente il dato di fatto che ne è a fondamento (vale a
dire la «definizione del giudizio davanti al Commissario agli
cfr. pag. 4 cit.) ed addirittura invoca la

cassazione della sentenza onde ottenere dal giudice di rinvio la
sospensione del presente giudizio in vista di un pronunciamento
del Commissario in ordine al gravame di uso civico.
Il motivo è privo di pertinenza rispetto al decisum.
A tale inconferenza del motivo corrisponde quella del quesito
di diritto (formulato a pag. 7, ai sensi dell’art. 366 bis cod.
proc. civ., applicabile, come si dirà, al caso di specie),
poiché anche in questo si prescinde del tutto dal riferimento
alle ragioni della decisione impugnata, che, come detto, ha dato
conto dell’intervenuto accertamento, da parte del Commissario
per gli Usi Civici, della libertà del fondo da rilasciare
dall’ (asserito) gravame di uso civico.
2.-

Col secondo motivo di ricorso si deduce

sentenza al sensi dell’art. 360 n. 3

«nullità della

e 5 c.p.c. Violazione e/o

falsa applicazione delle norme di legge. Omissione, carenza e/o
insufficienza della motivazione».
Il motivo si conclude con i seguenti due quesiti di diritto,
trattandosi, come già detto, di ricorso soggetto, quanto alla
formulazione dei motivi, al regime dell’art. 366

bis

c.p.c.

(inserito dall’art. 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2006 n.

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usi civici»:

40, ed abrogato dall’art. 47, comma l, lett. d, della legge 18
giugno 2009 n. 69), applicabile in considerazione della data di
pubblicazione della sentenza impugnata (19 marzo 2009):
«Fermo restando che l’ordine di rilascio contenuto in una
sentenza di condanna al rilascio di un immobile spiega efficacia

momento in cui la sentenza stessa venga coattivamente eseguita,
si chiede di affermare il principio in forza del quale, a
seguito dell’immissione in possesso del bene a mezzo
dell’Ufficiale Giudiziario nel giorno e nell’ora indicata nel
preavviso, vengono esauriti gli effetti tipici del titolo
esecutivo per cui si procede ed a seguito di successiva
apprensione materiale del bene da parte dell’esecutato lo stesso
possa essere qualificato alla stregua del nuovo possessore con
la conseguenza che la sua condotta materiale non può essere
rimossa attraverso una rinnovazione dell’esecuzione con il
medesimo titolo esecutivo bensì con un’autonoma e tempestiva
azione di spoglio ex art. 1168 c.c. e art. 703 cpc entro l’anno
dall’accertata interversio possessionis>> (pag. 12 del ricorso);
«…affermazione del principio che la parte vittoriosa che ha
visto riconosciuto il proprio diritto di proprietà nel momento
in cui, in sede di trasferimento del possesso in suo favore -per
formale

atto

di

in possesso

immissione

dell’Ufficiale

Giudiziario- nel momento in cui resta inerte e inattiva, pone in
essere atti idonei a far maturare l’usucapione ordinaria e/o
abbreviata per la piccola proprietà rurale a favore del colono

7

nei confronti di chiunque si trovi a detenere il bene nel

miglioratario, che ha posto in essere un atto di interversíone
del possesso,

non

contestato

nella

sede

sua propria

dall’istante, non potendo la pendenza di un giudizio di
opposizione all’esecuzione interrompere i termini idonei a far
decorrere il possesso ad usucapionem a favore dell’occupante».

Col primo quesito di diritto si vorrebbe affrontare la

questione che sta a fondamento della decisione presa dalla
sentenza impugnata.
La Corte d’Appello ha confermato il rigetto del motivo di
opposizione all’esecuzione da parte del primo giudice,
escludendo che il titolo esecutivo costituito dalla sentenza di
condanna al rilascio del fondo avesse esaurito i suoi effetti
per essere stato portato ad esecuzione ai danni di Silvino
Chinappi. Infatti, la Corte ha ritenuto che, di fatto, questi
non ebbe mai a rilasciare il fondo perché, ottenuto
dall’ufficiale giudiziario un termine per liberare il terreno,
nelle more conseguì un provvedimento di reintegrazione nel
possesso da parte del Pretore di Fondi, sul presupposto che egli
fosse custode giudiziario e che, in tale qualità, fosse stato
vittima di un’azione di spoglio a mezzo di ufficiale
giudiziario. La Corte d’Appello ha sottolineato come al Chinappi
fu consentito di rimanere nella detenzione del terreno, non in
forza di «un diritto autonomo>>, bensì <> (successivamente
venuta meno), e come, comunque, lo stesso terreno non fosse mai
stato concretamente rilasciato dal Chinappi in favore dei Faiola

8

3.

sulla base del titolo esecutivo costituito dalla sentenza del
Tribunale di Latina n. 505/80.
3.1.- Il quesito di diritto sopra riportato non coglie affatto

(così come, peraltro, il corrispondente motivo) la
decidendi

ratio

appena sintetizzata, onde formulare riguardo a

legge.
In particolare, il quesito di diritto finisce per equiparare la
permanenza nella detenzione del bene da parte del Chinappi, in
qualità di custode giudiziario, ed in forza di provvedimento
giudiziario (cui la Corte d’Appello ha dato, come detto,
fondamentale rilievo), ad una <>,

in ragione della quale si

sostiene che gli aventi diritto al rilascio avrebbero dovuto
esperire «una autonoma e tempestiva azione di spoglio ex art.
1168 c.c. e art. 703 cpc entro l’anno dall’accertata

interversio

possessionis>>.
Esso è formulato in modo tale da non precisare la questione di
diritto sottoposta all’esame della Corte, poiché espresso senza
tenere conto di quanto affermato nella sentenza impugnata:
quest’ultima

muove dal presupposto che non vi sia stato mai

alcun rilascio del fondo da parte del Chinappi; il ricorrente
trascura questo presupposto di fatto e vi “sostituisce” quello
della materiale apprensione del bene da parte dell’esecutato,
«successiva» ad un rilascio che si assume come già avvenuto.

9

quest’ultima la critica volta ad evidenziare la violazione di

Il quesito di diritto non consente di contrapporre le ragioni di
critica sollevate dal ricorrente

alla

ratio decidendi

della

sentenza impugnata e rende perciò il motivo inammissibile.
In particolare, va qui ribadito che il quesito di diritto di cui
all’art.

366 bis cod. proc. civ. deve comprendere l’indicazione

del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si
sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza
anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il motivo
inammissibile (così Cass. n. 24339/08; cfr. anche Cass. n.
4044/09, per l’affermazione che il quesito di diritto deve
investire

la

ratio decidendi

della sentenza impugnata,

proponendone una alternativa).
3.2.-

Oltre al profilo di inammissibilità per violazione

dell’art.

366

bis

cod. proc. civ., lo stesso motivo, con

riferimento alla sua prima parte, non risulta nemmeno conforme
al paradigma normativo di cui all’art.

366 n. 4 cod. proc. civ.

In particolare, manca sia nell’epigrafe che nell’illustrazione,
oltre che nel quesito di diritto, l’indicazione delle norme di
diritto su cui il motivo è fondato; né le stesse si desumono dal
tenore delle argomentazioni svolte alle pagine da 8 a 12 del
ricorso.
4.- Ulteriore profilo di inammissibilità del secondo motivo, per

la parte in cui si conclude col secondo dei quesiti di diritto
sopra enunciati, è dato dal fatto che, con esso, il ricorrente
pone questioni del tutto nuove, che non risultano aver formato

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sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia

oggetto di dibattito processuale nei pregressi gradi di
giudizio, per di più fondate su fatti, non accertati né discussi
in sede di merito.
Sono nuove, poiché di esse non vi è cenno nella sentenza
impugnata, le questioni concernenti 1′ (asserito) mancato

ed il compimento da parte loro di

«atti idonei a far maturare

l’usucapione ordinaria e/o abbreviata per la piccola proprietà
rurale a favore del colono miglioratario, che ha posto in essere
un atto di interversione del possesso».
Poiché non risulta affatto dalla sentenza impugnata che dette
questioni siano state oggetto di domande e/o eccezioni di parte,
sarebbe stato onere del ricorrente, non solo allegare di avere
posto le questioni con i motivi d’appello, ma anche riportarne o
richiamarne il contenuto, al fine di consentire a questa Corte
di controllare la veridicità dell’assunto, prima di esaminare
nel merito le questioni stesse.
In proposito, va richiamato il principio per il quale, ove una
determinata questione giuridica – che implichi un accertamento
di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza
impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di
legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di
inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare
l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di
merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio
precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di

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esperimento dell’azione di spoglio da parte dei Faiola-La Rocca

Cassazione di controllare

ex actis

la veridicità di tale

asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa
(Cass. n. 15422/05, n. 22540/06, n. 20518/08 ed altre).
Il secondo motivo di ricorso è perciò inammissibile, con
riguardo ad entrambi i profili ivi enunciati.
motivi terzo e quarto sono inammissibili per violazione

dell’art. 366 bis cod. proc. civ.
Il quarto motivo è del tutto privo di quesiti ai sensi di tale
ultima norma, mancando sia il quesito di diritto riferito alla
censura svolta ai sensi del n. 3 dell’art. 360, comma primo,
cod. proc. civ., sia il quesito c.d. di fatto riferito alla
censura svolta ai sensi del n 5 dell’art. 360, comma primo,
cod. proc. civ.
Anche il terzo motivo, per la parte in cui denuncia il vizio di
motivazione, è inammissibile perché mancante del momento di
sintesi, o c.d. quesito di fatto, richiesto dalla norma
dell’art. 366

bis,

seconda parte, cod. proc. civ., così come

interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte, che qui si
ribadisce (cfr. Cass. S.U. n. 20603/07, secondo cui, in tema di
formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i
provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 2
febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione, poiché secondo l’art. 366

bis cod.

proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto
dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’illustrazione di ciascun
motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara

12

5.- I

indicazione del fatto controverso in relazione al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le
ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione
la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa
censura deve contenere, un momento di sintesi -omologo del

maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del
ricorso e di valutazione della sua ammissibilità; nello stesso
senso, tra le altre, Cass. n. 24255/11).
5.1.

Col terzo motivo è denunciato anche il vizio di

violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3
cod. proc. civ., con riferimento alla conferma, da parte del
giudice d’appello, della statuizione di primo grado di condanna
del Chinappi al risarcimento dei danni in favore dei Faiola-La
Rocca.
Il motivo si conclude col seguente quesito di diritto:
«accerti la Suprema Corte adita se il soggetto che si pretende
leso da una condotta illecita altrui -consistente nel rifiuto di
riconsegnare il bene a seguito di

interversio possessionis-

perda il diritto a richiedere il risarcimento del danno nei
confronti del possessore del bene nel momento in cui rinuncia ad
introdurre la tipica azione di reintegrazione nel possesso,
consentendo in tal modo l’esercizio di un possesso
ultradecennale da parte dello spoliator>>.
Si tratta di quesito che enuncia in maniera assolutamente
generica le questioni di diritto sottoposte all’esame della

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quesito di diritto- che ne circoscriva puntualmente i limiti, in

Corte, non consentendo l’individuazione dell’errore di diritto
nel quale, a giudizio del ricorrente, sarebbe incorsa la Corte
territoriale, né l’enunciazione di una

regula iuris applicabile

anche in casi ulteriori rispetto a quello da decidere, poiché di
questo non fornisce valida sintesi logico-giuridica (cfr., per

S.U. n. 26020/08 e n. 28536/08).
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
6.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da

dispositivo.
Per questi motivi

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il
ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese del
giudizio di cassazione, che liquida complessivamente in C
1.700,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre accessori come per
legge.
Così deciso in Roma, in data 2 ottobre 2013.

la funzione riservata ai quesiti di diritto, tra le altre Cass.

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