Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25621 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/09/2021, (ud. 19/05/2021, dep. 22/09/2021), n.25621

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALSAMO Milena – Presidente –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13404-2017 proposto da:

M.S. GOLF & COUNTRY CLUB, elettivamente domiciliata in

ROMA, FORO TRAIANO 1-A, presso lo studio dell’avvocato DARIO OVIDIO

SCHETTINI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

2021

3500contro

TRE ESSE ITALIA SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PANISPERNA, 95, presso lo studio dell’avvocato STEFANO GUIDOTTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato RENATO CICERCHIA;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI GUIDONIA MONTECELIO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 167/2017 della COMM.TRIB.REG.LAZIO, depositata

il 26/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/05/2021 dal Consigliere Dott. RAFFAELE MARTORELLI.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

” M.S. Golf & Country Club spa” impugnava l’avviso di accertamento, con cui il Comune di Guidonia Montecelio aveva richiesto il versamento dell’imposta Comunale sugli Immobili relativamente all’anno 2010, per la somma di Euro 54.919,51 di quota capitale, oltre sanzioni ed interessi.

L’avviso di accertamento veniva emesso nonostante la società M.S. avesse promosso, precedentemente, istanza di interpello L. n. 212 del 2000, ex art. 11, nei confronti del Comune di Guidonia Montecelio, avente ad oggetto proprio la richiesta di esenzione in ragione dell’attività svolta e del proprio statuto, interpello che non aveva avuto risposta.

La società impugnava il predetto avviso innanzi alla C.T.P. di Roma, ritenendo di essere esente dal versamento dell’imposta ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1 in quanto soggetto esercente attività sportiva a livello dilettantistico di golf senza fini di lucro, essendo peraltro irrilevante che tale attività fosse svolta in forma di società di capitali ai sensi e per gli effetti della L. n. 289 del 2002, art. 90.

La ricorrente dichiarava di aver sempre ottemperato alle previsioni statutarie utilizzando i terreni e gli impianti sportivi essenzialmente per far svolgere ai propri soci attività sportiva dilettantistica e che non erano mai state svolte altre attività, salvo quella di ristorazione e bar nei confronti dei propri soci, attività da ritenersi accessorie e strumentali rispetto a quella principale.

Nel giudizio di primo grado interveniva la società Tre Esse Italia, in quanto concessionaria per l’accertamento e la riscossione dell’ICl per il Comune di Guidonia Montecelio, che chiedeva che lo stesso fosse dichiarato “inammissibile improcedibile e infondato”.

La C.T.P. di Roma rigettava il ricorso ritenendo che, dagli atti di causa emergesse una realtà che mal si conciliava con la normale attività sportiva esercitata a livello dilettantistico e decisivo, al fine del mancato accoglimento del ricorso, era il rilievo che, nello statuto dell’ente ricorrente fosse previsto, in caso di scioglimento, la distribuzione dell’attivo ai soci, mentre la normativa impone il requisito imprescindibile della destinazione dell’attivo societario, in caso di scioglimento della società, ad altro ente non commerciale svolgente analoga attività istituzionale.

Impugnava il contribuente che censurava la sentenza, nella parte relativa all’assenza dei presupposti per l’esenzione e la CTR Lazio, con sentenza n. 167/17 sez. 10, respingeva l’appello.

Proponeva ricorso innanzi a questa Corte la società ” M.S. Golf & Country Club spa” svolgendo tre motivi.

La TRE ESSE Itala srl si costituiva con controricorso. Il ricorrente depositava memoria difensiva e nota spese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con la prima censura si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7 e della L. n. 289 del 2002, art. 90, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3); per avere il decidente escluso che la Società M.S. avesse come scopo principale quello dello svolgimento dell’attività sportiva in forma dilettantistica e la diffusione e promozione del golf, senza rilevare che l’attività commerciale, bar e ristorante, era non solo marginale e limitata, ma destinata e riservata comunque agli associati come attività strumentale alla principale attività sportiva dilettantistica.

Assume la ricorrente che né lo Statuto, né gli elementi di fatto accertati in giudizio (e richiamati in sentenza) dimostravano che la società ricorrente svolgesse in via autonoma altre attività imprenditoriali, ma proprio l’art. 4 dello Statuto consentiva di svolgere dette attività in termini di complementarità e di mero supporto – come effettivamente era stato – rispetto all’attività sportiva svolta. Inoltre, anche con riferimento all’art. 27 dello statuto, la sentenza impugnata risultava errata, posto che proprio l’art. 27 in questione prevedeva che, in caso di liquidazione, “la società determinerà le modalità di liquidazione” con ciò non prevedendo in alcun modo la destinazione del patrimonio ai soci.

2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. omessa pronuncia su un motivo di appello, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La ricorrente faceva presente di aver presentato, in data 14.10.2009, istanza di interpello al Comune di Guidonia Montecelio, al fine di avere chiarimenti in ordine all’obbligo di denuncia ai fini ICI, tenuto conto della propria qualità di associazione sportivo-dilettantistica.

Nel caso in esame, nell’istanza di interpello si dichiarava che “oggetto dell’interpello è la richiesta di esenzione dall’Ici per aver adibito il proprio terreno a servizio dell’attività golfistica svolta dai propri soci senza scopo di lucro” (cfr atto di interpello, fascicolo di parte di primo grado del ricorrente, doc. 5, pag. 1, righi 12-14) e, allegando lo statuto della società, si proponeva infine la seguente soluzione interpretativa: “… secondo l’istante società, anche sulla base dell’art. 12 in tema di disp. gen. e di applicazione delle norme giuridiche per relationem, non può non farsi rientrare la società Golf M.S. nelle disposizioni di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i) per equiparazione vuoi per legge, vuoi in punto di fatto, tra società dilettantistiche, enti non commerciali e società per azioni dilettantistiche senza scopo di lucro le quali abbiano le caratteristiche della società istante. Ne conseguirebbe, sempre a parere dell’istante, la totale esenzione dal tributo ICI – imposta comunale sugli immobili” (cfr atto di interpello, fascicolo di parte del ricorrente di primo grado, doc. 5, pag. 2, righi 21-27).

L’amministrazione non aveva dato risposta all’istanza proposta.

La sentenza era quindi, nulla in parte qua, ad avviso della ricorrente, per avere omesso di pronunciarsi sul motivo di appello con cui la ricorrente deduceva, oltre alla sussistenza dei presupposti dell’esenzione ICI, anche la consolidazione del silenzio assenso sulla istanza di interpello, eccependo, pertanto, la nullità integrale dell’avviso di accertamento, quanto meno quale motivo di esclusione delle sanzioni.

E poiché il giudicante non aveva preso posizione su tale ulteriore motivo di nullità integrale dell’atto impositivo, limitandosi a dichiarare infondato il motivo relativo ai presupposti di fatto (soggettivo e oggettivo) dell’esenzione, era incorsa nella violazione dell’art. 112, c.p.c., per avere omesso di pronunciarsi sul motivo di appello relativo all’omesso accertamento del silenzio assenso sull’istanza di interpello, che, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 11, determina la nullità di tutti gli atti contrari al parere formulato dal contribuente nella medesima istanza, o quanto meno, in via subordinata, osta all’applicazione di tutte le sanzioni.

3. Con il terzo mezzo si lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Si assume, in via subordinata, nell’eventualità in cui possa ritenersi che la sentenza abbi implicitamente rigettato il motivo relativo al silenzio assenso sull’istanza di interpello, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 11, come riportato nel ricorso introduttivo del presente giudizio.

4. Il primo motivo è destituito di fondamento.

Da quanto emerge dalla sentenza di primo grado, che ha compiutamente ricostruito la situazione di fatto, dallo statuto della società risultano assegnati alla società “scopi ulteriori” (di ristorazione ecc.), di affiliazione commerciale (il franchising), di partecipazione in altre società ed imprese aventi oggetto analogo, affine, complementare strutturale o connesso al proprio, per la realizzazione di utili di gestione da contabilizzare separatamente. Inoltre, in base all’art. 27 dello Statuto, risulta la previsione di ripartizione tra i soci del patrimonio sociale, in caso di liquidazione o di scioglimento della società.

Lo statuto societario non prevede inoltre l’obbligo di devoluzione del patrimonio ad altro ente non commerciale svolgente analoga attività istituzionale per il perseguimento delle medesime finalità, obbligo che si contrappone alla distribuzione tra i soci del patrimonio sociale e che risulta essenziale ai fini dell’identificazione di una società senza scopi di lucro.

4.1 Occorre, innanzitutto, effettuare una ricognizione della normativa rilevante nella specie.

Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), stabiliva, nel testo vigente nel periodo rilevante nel presente giudizio, che fossero esenti dall’ICI “gli immobili utilizzati dai soggetti di cui al testo unico delle imposte sui redditi”, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, art. 87, comma 1, lett. c), destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui alla L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 16, lett. a)”.

L’art. 87, comma 1, lett. c), del TUIR del 1986 menzionava, nel testo da prendere in considerazione ai fini dell’esenzione de qua, “gli enti pubblici e privati, diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”.

Inoltre, l’art. 7 in esame è stato oggetto di alcuni interventi legislativi.

Per l’esattezza, la L. n. 248 del 2005, di conversione del D.L. n. 203 del 2005, ha inserito nel D.L. convertito, all’art. 7, il comma 2 bis, il quale recita: “l’esenzione disposta dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i), si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse”.

In seguito, la L. n. 266 del 2005, art. 2, comma 133, ha aggiunto, in fine al comma 2 bis detto, il seguente periodo: “con riferimento ad eventuali pagamenti effettuati prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto non si fa comunque luogo a rimborsi e restituzioni d’imposta”.

Il D.L. n. 223 del 2006, art. 39 convertito in L. n. 248 del 2006, specificamente rubricato “modifica della disciplina di esenzione dall’ICI”, ha, quindi, sostituito il testo originario del summenzionato comma 2 bis con il seguente: “l’esenzione disposta dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera che non abbiano esclusivamente natura commerciale”.

Il T.U. n. 917 del 1986, art. 148 ha stabilito, infine, che:

“Non è considerata commerciale l’attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo.

Si considerano tuttavia effettuate nell’esercizio di attività commerciali, salvo il disposto dell’art. 143, comma 1, secondo periodo le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto (…)

Per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati.

La disposizione del comma 3 non si applica per le cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita, per le somministrazioni di pasti, per le erogazioni di acqua, gas, energia elettrica e vapore, per le prestazioni alberghiere, di alloggio, di trasporto e di deposito e per le prestazioni di servizi portuali e aeroportuali né per le prestazioni effettuate nell’esercizio delle seguenti attività:

a) gestione di spacci aziendali e di mense;

b) organizzazione di viaggi e soggiorni turistici;

c) gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale;

d) pubblicità commerciale;

e) telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari.

Quanto al profilo soggettivo costituito dalla natura giuridica dell’ente, va in effetti rilevato come le società sportive dilettantistiche (SSD) siano state equiparate per legge alle associazioni sportive dilettantistiche (ASD), alle quali la stessa amministrazione finanziaria riconosce l’esenzione Ici D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 7, comma 1, lett. i). Così, in particolare, prevede la Circolare 2/DF del 26 gennaio 2009, secondo cui: “(…) H) Le attività sportive.

L’esenzione deve essere riconosciuta agli immobili dove vengono esercitate le attività sportive rientranti nelle discipline riconosciute dal CONI, a condizione che siano svolte dalle associazioni sportive e dalle relative sezioni non aventi scopo di lucro, affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 90”. Per quanto concerne la richiamata equiparazione normativa, rileva la L. n. 289 del 2002, art. 90 (Disposizioni per l’attività sportiva dilettantistica), secondo cui: “1. Le disposizioni della L. 16 dicembre 1991, n. 398, e successive modificazioni, e le altre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche si applicano anche alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro”. L’art. 90, comma 17″ stabilisce che: “Le società e associazioni sportive dilettantistiche devono indicare nella denominazione sociale la finalità sportiva e la ragione o la denominazione sociale dilettantistica e possono assumere una delle seguenti forme: c) società sportiva di capitali o cooperativa costituita secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono le finalità di lucro”. Al comma 18 la medesima disposizione prescrive quanto deve essere previsto nello statuto delle società sportive dilettantistiche (e delle associazioni); così quanto, tra il resto, a: “(…) d) l’assenza di fini di lucro e la previsione che i proventi delle attività non possono, in nessun caso, essere divisi fra gli associati, anche in forme indirette; (..) h) l’obbligo di devoluzione ai fini sportivi del patrimonio in caso di scioglimento delle sodetà e delle associazioni”.

Va poi aggiunto come l’equiparazione tra associazioni e società sportive dilettantistiche sia dalla legge previsto anche quanto a rapporto di accreditamento e certificazione con il CONI, posto che il D.L. n. 136 del 2004, art. 7 conv. in L. n. 186 del 2004, stabilisce “Disposizioni in materia di attività sportiva dilettantistica. 1. In relazione alla necessità di confermare che il CONI è unico organismo certificatore della effettiva atti vità sportiva svolta dalle società e dalle associazioni dilettantistiche, le disposizioni di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, art. 90, commi 1, 3, 5, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 si applicano alle società ed alle associazioni sportive dilettantistiche che sono in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI, quale garante dell’unicità dell’ordinamento sportivo nazionale ai sensi del D.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242, e successive modificazioni, art. 5, comma 1. 2. Il CONI trasmette annualmente al Ministero dell’economia e delle finanze – Agenzia delle entrate, l’elenco delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi”.

Dunque, le esenzioni si applicano a condizione che le associazioni interessate si conformino alle seguenti clausole, da inserire nei relativi atti costitutivi o statuti redatti nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata:

a) divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge;

b) obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, sentito l’organismo di controllo di cui alla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 190, e salvo diversa destinazione imposta dalla legge;

c) disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d’età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione;

d) obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie;

e) eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all’art. 2532 c.c., comma 2, sovranità dell’assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti; è ammesso il voto per corrispondenza per le associazioni il cui atto costitutivo, anteriore al 1 gennaio 1997, preveda tale modalità di voto ai sensi dell’art. 2532 c.c., u.c., e sempreché le stesse abbiano rilevanza a livello nazionale e siano prive di organizzazione a livello locale;

f) intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa.

Omissis”.

Sul punto, si rileva che, in tema di agevolazioni tributarie, l’esenzione d’imposta prevista dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 148 in favore delle associazioni non lucrative e, dunque, anche delle associazioni sportive dilettantistiche, dipende non solo dall’elemento formale della veste giuridica assunta, ma anche dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sulla contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato, del tutto estrinseco e neutrale, dell’affiliazione al Coni, essendo invece rilevante che le associazioni interessate si conformino alle clausole relative al rapporto associativo, che devono essere inserite nell’atto costitutivo o nello statuto (Cass., Sez. 6-5, n. 10393 del 30 aprile 2018; Cass., Sez. 5, n. 4872 dell’11 marzo 2015; n. 4051/2019; n. 9614/2019, in motiv.).

In assenza dei requisiti previsti dalla normativa di settore, la censura deve essere disattesa.

5.Il secondo e terzo motivo – che possono essere trattati congiuntamente in quanto involgono questioni intimamente connesse – sono infondati.

In base alla L. n. 212 del 2000, art. 11, comma 3: “L’amministrazione risponde alle istanze di cui al comma 1, lett. a) nel termine di novanta giorni e a quelle di cui al medesimo comma 1, lett. b) e c) ed a quelle di cui al comma 2 nel termine di centoventi giorni. La risposta, scritta e motivata, vincola ogni organo della amministrazione con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente. Quando la risposta non è comunicata al contribuente entro il termine previsto, il silenzio equivale a condivisione, da parte dell’amministrazione, della soluzione prospettata dal contribuente. Gli atti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio difformi dalla risposta, espressa o tacita, sono nulli. Tale efficacia si estende ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa da parte dell’amministrazione con valenza esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri dell’istante”.

E’ chiaro come la finalità della norma, sia quella di favorire lo spirito di leale collaborazione tra amministrazione e contribuente e la presenza di un tale istituto, in cui il cittadino deduce una questione (rilevante per il fisco) al fine di attuare un comportamento corretto e rispettoso della legge, così richiedendo alla amministrazione finanziaria una guida interpretativa in tal senso, rispetta tale finalità.

Ma a questo punto e’, altresì, evidente che la rilevanza della questione deve risaltare sotto il profilo dell’obbiettiva incertezza giuridica della questione, nel senso che il contribuente può inoltrare per iscritto all’amministrazione finanziaria, che risponde entro centoventi giorni, circostanziate e specifiche istanze di interpello concernenti l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse.

Detta incertezza interpretativa, nel caso in esame, non è ravvisabile, per la chiarezza delle disposizioni contenute nella L. n. 289 del 1992. Sul punto va richiamata la giurisprudenza con cui questa Corte ha precisato – in maniera del tutto esaustiva – i profili della normativa citata, precisando (Cass. n. 9416/19) che l’esenzione dall’ICI prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), per le associazioni sportive dilettantistiche può essere estesa, in quanto alle stesse equiparate ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 90 alle società sportive dilettantistiche costituite in forma di società di capitali senza scopo di lucro, salvo che, al di là della veste formale, queste ultime svolgano in concreto attività commerciale avente scopo lucrativo.

In particolare il disposto dell’art. 90, comma 17, citato è chiaro nel prevedere che: “Le società e associazioni sportive dilettantistiche devono indicare nella denominazione sociale la finalità sportiva e la ragione o la denominazione sociale dilettantistica e possono assumere una delle seguenti forme: c) società sportiva di capitali o cooperativa costituita secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono le finalità di lucro”. Al comma 18, la medesima disposizione prescrive quanto deve essere previsto nello statuto delle società sportive dilettantistiche (e delle associazioni); così quanto, tra il resto, a: “(…) d) l’assenza di fini di lucro e la previsione che i proventi delle attività non possono, in nessun caso, essere divisi fra gli associati, anche in forme indirette; (..) h) l’obbligo di devoluzione ai fini sportivi del patrimonio in caso di scioglimento delle società e delle associazioni”.

Sul punto, poi, anche con riferimento alla norma della L. n. 212 del 2000, art. 11, il comma 1, è stato, nello stesso senso precisato che la risposta all’interpello sull’applicabilità di determinate disposizioni sia vincolante per l’Amministrazione che l’ha fornita “qualora vi sia obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse”.

Nella fattispecie, violando il dovere di leale collaborazione, la contribuente ha formulato il quesito soffermandosi su circostanze fattuali, prescindendo del tutto dai requisiti statutari che l’ente deve possedere per poi verificare se nel concreto svolga o meno attività commerciale, con la conseguenza che non può invocare l’affidamento di cui parla l’art. 11 cit. che deriva soltanto dall’interpretazione che l’Amministrazione abbia dato di disposizioni normative (Cass. n. 21376/2020). Del resto, vertendo l’incertezza su circostanze fattuali, non può essere invocato l’affidamento di cui parla l’art. 11, che deriva soltanto dall’interpretazione che l’Amministrazione abbia dato di disposizioni normative.

6. Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della concessionaria che liquida in Euro 4.400,00, oltre Euro 200,00 per rimborsi, rimborso forfettario ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della quinta sezione della Corte di cassazione, tenuta da remoto, il 19 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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