Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25620 del 27/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 27/10/2017, (ud. 14/06/2017, dep.27/10/2017),  n. 25620

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28099/2013 proposto da:

C.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA G PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato STEFANO DI MEO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIAMPIETRO

DANIELI;

– ricorrente e c/ricorrente incidentale –

contro

COMUNE MUSILE DI PIAVE, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO

MARIA PAGOTTO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 166/2013 del TRIBUNALE DI VENEZIA sezione

distaccata di SAN DONA’ DI PIAVE, depositata il 19/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/06/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 Con sentenza 30.4.2013 il Tribunale di Venezia sez. dist. San Donà di Piave, decidendo quale giudice di appello, sul gravame proposto da C.G. contro la decisione sfavorevole di primo grado (n. 114/2011) emessa dal locale Giudice di Pace, ha annullato, in riforma della sentenza impugnata, l’ordinanza ingiunzione 16.10.2009 per l’importo di 50,00 Euro emessa in danno del C. dal Comune di Musile di Piave per occupazione non autorizzata di suolo pubblico, ai sensi dell’art. 60 capo 6 del Regolamento comunale di Polizia Urbana (collocazione di una statua con due cartelli all’interno di uno stallo di sosta).

Secondo il Tribunale – e per quanto ancora interessa l’art. 60 del regolamento di Polizia urbana proibisce l’occupazione di suolo pubblico sia con sbarramenti, sia con deposito di materiali in assenza di autorizzazione dell’autorità comunale e senza aver prima provveduto alle esigenze della circolazione secondo gli ordini dell’autorità: la norma quindi si riferisce a “sbarramenti” e “deposito materiali” ai quali non è possibile ricondurre la breve sosta di una statua votiva peraltro in uno stallo di sosta e durante una processione religiosa che non si assume sia stato intralciato.

Sempre secondo il Tribunale, l’atteggiamento causidico dell’appellante, “che pretende si ponga nel nulla quanto egli stesso ha dichiarato e insiste nell’argomentare – come già in sede di contestazione diretta al Comune – su particolari del tutto marginali (il tipo di carrello usato, la questione se si trattasse di sosta o di trasporto)” giustificava la compensazione delle spese del doppio gado di giudizio.

2 Contro la pronuncia sulle spese il C. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi a cui resiste il Comune di Musile di Piave con controricorso contenente ricorso incidentale articolato su quattro motivi e contrastato, a sua volta, da controricorso del C..

Il Comune ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Ricorso incidentale.

1-2 Evidenti ragioni di priorità logica consigliano di partire dall’esame del ricorso incidentale proposto dall’ente territoriale che col primo motivo lamenta violazione dell’art. 112, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Secondo il Comune di Musile, poichè il ricorrente aveva impugnato l’ordinanza-ingiunzione facendo riferimento a norme ed argomenti che nulla hanno a che fare con l’art. 60 contestato, il giudice avrebbe dovuto semplicemente rilevare l’infondatezza dei motivi di impugnazione e respingerla.

Col secondo motivo il Comune denunzia violazione dell’art. 345 c.p.c.: secondo la tesi del Comune “il thema decidendum avversario era concentrato sugli artt. 1 e 30 del regolamento per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche”, mentre l’art. 60 è stato richiamato solo nella comparsa conclusionale di secondo grado.

Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato: al C. era stata contestata la specifica violazione dell’art. 60 del regolamento di polizia urbana e la parte aveva chiesto l’annullamento della relativa ordinanza ingiunzione. Entro tali limiti il giudice di appello si è mosso, per cui nessun vizio di ultrapetizione sussiste per aver il Tribunale individuato una diversa norma regolamentare rispetto a quella indicata nel ricorso: il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un “nomen juris” diverso da quello indicato dalle parti, purchè non sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio (tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 13945 del 03/08/2012 Rv. 623639). Ancora, in tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del “tantum devolutum quantum appellatum”, non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonchè in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica, diverse da quelle invocate dall’istante (v. tra le varie, Sez. 3, Sentenza n. 20652 del 25/09/2009 Rv. 609719; Sez. L, Sentenza n. 11039 del 12/05/2006 Rv. 589062).

Resta logicamente assorbito l’esame del secondo motivo.

3 Col terzo motivo il ricorrente incidentale deduce violazione dell’art. 60 del regolamento di Polizia Urbana. Dopo avere illustrato le differenti finalità tra il Regolamento per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche e il Regolamento di Polizia Urbana, il ricorrente incidentale rimprovera al Tribunale di avere utilizzato il concetto giuridico dell’occasionalità in un contesto normativo del tutto difforme perchè il secondo regolamento, a differenza del primo, non prevede ipotesi di occasionalità.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali “rationes decidendi”, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (v. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016 Rv. 639158; Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013 Rv. 625631).

Nel caso di specie, la ratio principale e del tutto autonoma si fonda sulla considerazione che la disposizione contestata si riferisce all’occupazione di suolo con “sbarramenti” e “deposito di materiali” “ai quali non è possibile ricondurre la breve sosta di una statua votiva, peraltro in uno stallo di sosta e durante una processione religiosa, che non si assume stata intralciata”. Detta ratio, frutto di un apprezzamento in fatto, non risulta specificamente censurata e quindi la lunga disquisizione sulla applicabilità o meno del concetto di occasionalità alla norma in esame si rivela inammissibile per difetto di interesse.

4 Col quarto motivo, infine, il Comune di Musile lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: il Tribunale non avrebbe considerato l’effettiva durata dell’occupazione, che non poteva definirsi brevissima, essendo durata almeno un’ora.

Il motivo è privo di fondamento perchè il fatto storico decisivo era il posizionamento temporaneo, durante una processione, di una statua votiva entro uno stallo di parcheggio: il giudice di appello l’ha valutato ed ha escluso la violazione contestata (riguardante invece l’occupazione con sbarramenti e materiali), anche perchè non risultava dedotto un intralcio della processione religiosa; stabilire se poi in concreto la sosta si sia protratta pochi minuti o un’ora, è un dettaglio su un apprezzamento di fatto che non incide sul fatto storico a cui fa riferimento l’art. 360, n. 5 (v. quanto sopra esposto nell’esame del ricorso principale).

RICORSO DEL C..

1 Passando all’esame del ricorso sulle spese proposto dal C., con la prima censura si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e art. 92 c.p.c., comma 2: ci si duole della compensazione delle spese del doppio grado che, invece, a dire del ricorrente, avrebbero dovuto essere poste interamente a carico del Comune di Musile di Piave risultato soccombente.

Il motivo è infondato sotto il profilo della violazione di norme di diritto.

Come costantemente affermato da questa Corte, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (tra le tante, Sez. 5 -, Ordinanza n. 8421 del 31/03/2017 Rv. 643477; Sez. 5, Sentenza n. 15317 del 19/06/2013 Rv. 627183): poichè nel caso di specie il C., certamente vittorioso nel merito, non è stato di certo condannato al rimborso delle spese, egli oggi non può dolersi sotto il profilo della violazione di legge.

2 Col secondo motivo si deduce, sempre con riferimento alla disposta compensazione delle spese, la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 e comunque omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo è anch’esso infondato.

La nullità della sentenza non emerge da nessun passaggio della stessa e d’altro canto, ciò che si contesta è – lo si ripete – solo la motivazione (definita contraddittoria) sulla compensazione: si rivela pertanto fuori luogo il richiamo all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Nè si ravvisa l’omesso esame circa un fatto decisivo di cui al nuovo art. 360 c.p.c., n. 5: come infatti puntualizzato dalle sezioni unite, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629831).

Nel caso di specie il fatto storico decisivo per il giudizio limitatamente alla questione della regolamentazione delle spese non era di certo il tipo di carrello su cui era posizionata la statua di Sant’Antonio, dovendo il giudice di merito unicamente applicare il principio della soccombenza o, come era in sua facoltà, la compensazione spiegandone le ragioni.

Non sussiste perciò neppure il vizio di cui all’art. 360, n. 5 (nel senso chiarito dalla giurisprudenza di legittimità).

In conclusione, entrambi i ricorsi vanno respinti con compensazione delle spese.

Considerata la loro proposizione successivamente al 30 gennaio 2013, ricorrono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, a carico del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte rigetta i ricorsi e dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

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