Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25615 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 12/11/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 12/11/2020), n.25615

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

SMA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 76, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCA COLELLI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANNARITA AMMIRATI;

– ricorrente –

contro

G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso lo studio dell’avvocato RICCARDO FARANDA, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato PASQUALE MARIA CRUPI;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1580/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/03/2016, R.G.N. 517/2013.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza del 17.3.16, la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza del tribunale della stessa sede dell’8.11.12, ordinava al datore di lavoro SMA spa di assegnare alla dipendente G.A.M. – in adempimento di quanto disposto dalla ASL RM (OMISSIS) – un turno unico giornaliero in orari identificabili con il servizio di cassa.

2. In particolare, la corte territoriale: rilevava che la ASL aveva accertato – con diversi e successivi atti – l’idoneità della lavoratrice alle mansioni con limitazioni, essendo escluso il sollevamento di carichi e la stazione eretta prolungata, ed essendo richiesta l’assegnazione di orari di lavoro identificabili con i turni al servizio di cassa, precisandosi altresì che l’orario di lavoro interrotto era fonte di stress per la lavoratrice; prendeva atto che il datore aveva assegnato la lavoratrice a doppio turno giornaliero (orario spezzato); concludeva quindi, sulla scorta di CTU, che l’orario assegnato non era compatibile con la patologia di cui soffriva la ricorrente (sindrome depressiva endoreattiva di grado medio-grave) e si poneva in contrasto con gli obblighi datoriali ex art. 2087 c.c.

3. Ricorre per la Cassazione della detta sentenza la società SMA, con unico motivo, articolato in più doglianze, cui resiste con controricorso la lavoratrice. Le parti hanno presentato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

4. Con unico motivo, la ricorrente lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 41 Cost., art. 2087 c.c., D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 41 e artt. 115 e 116 c.p.c., deducendosi che le dette norme non consentono di modificare l’organizzazione del lavoro stabilita dal datore, che l’idoneità alla mansione non include le modalità di espletamento delle stesse e la tempistica del lavoro, e che la decisione si è basata su documenti di parte e su ctu censurabile.

5. Il motivo è infondato.

6. Occorre infatti rilevare che la corte territoriale ha basato la sua decisione non solo su documentazione medica di parte ma soprattutto sulle risultanze di CTU disposta in appello, le cui conclusioni sono state condivise motivatamente dalla corte con giudizio qui non impugnato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 In tema di valutazione delle prove, risulta poi inappropriato il richiamo agli artt. 115 e 116 c.p.c., posto che il principio del libero convincimento del giudice che è a fondamento delle richiamate norme opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme, bensì al più un errore di fatto, che deve essere censurato secondo il paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei ristretti limiti oggi consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. con modif. in L. n. 134 del 2012 (tra le altre, Cass. 23940/2017).

7. L’ordine della corte al datore di lavoro di assegnare alla dipendente un turno unico giornaliero in orari identificabili con il servizio di cassa non solo è reso in adempimento di quanto disposto dalla ASL ma non implica alcuna incidenza sulla organizzazione del lavoro, rilevando soltanto sull’assegnazione delle mansioni e sull’orario di lavoro della lavoratrice in questione, in applicazione proprio degli obblighi di protezione datoriale che discendono dalla norma di cui all’art. 2087 c.c. che il ricorrente assume come violata.

8. Apodittico ed infondato è poi l’assunto della ricorrente che l’idoneità alla mansione prescinda dalle modalità e dalla tempistica del lavoro, essendo questi fattori che obiettivamente possono incidere sulla salute del lavoratore.

9. Le spese seguono la soccombenza.

10. Si dà inoltre atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in Euro 5000 per competenze professionali, oltre Euro 200 per esborsi, spese forfettarie al 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

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