Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25612 del 10/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 10/10/2019, (ud. 23/01/2019, dep. 10/10/2019), n.25612

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 787-2018 proposto da:

M.M.F., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato NICOLA LONOCE;

(ammessa p.s.s. Delib. 14 febbraio 2018 Cons. Ord. Avv. Lecce);

– ricorrente –

contro

ASL AZIENDA SANITARIA LOCALE BR DI BRINDISI, in persona del Direttore

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE

GIOACCHINO BELLI 36, presso lo studio dell’avvocato LUCA PARDINI,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1122/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 06/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DE MARINIS

NICOLA.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 6 giugno 2017, la Corte d’Appello di Lecce confermava la decisione resa dal Tribunale di Brindisi e rigettava la domanda proposta da M.M.F. nei confronti dell’Azienda Sanitaria Locale Brindisi/(OMISSIS), avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del contratto a termine in virtù del quale era stata originariamente assunta dalla ASL BR/(OMISSIS), con il profilo professionale di operatore tecnico autista, inquadramento nella categoria B del CCNL per il comparto Sanità e decorrenza dal 3.10.2008 all’8.10.2009, fatto poi oggetto di successive proroghe fino al 31.12.2010, allorchè veniva formalmente sciolto, senza, tuttavia, che a tale scioglimento seguisse l’interruzione di fatto del rapporto, che, anzi, veniva nuovamente formalizzato con una successiva proroga dell’originario contratto, con scadenza il 7.10.2011, comunicata soltanto l’8.4.2011 e, conseguentemente, la conversione in contratto di lavoro a tempo indeterminato, la condanna della ASL alla riammissione in servizio nelle medesime mansioni, con riconoscimento della maggiorazione del 20% per ogni giorno di prosecuzione oltre la scadenza fino al decimo successivo e del risarcimento del danno per l’illegittima apposizione del termine commisurato alle retribuzioni globali di fatto maturate dalla data della cessazione del rapporto fino all’effettiva riammissione in servizio e, in estremo subordine, la condanna della ASL al risarcimento del danno D.Lgs. n. 165 del 2001 ex art. 36, comma 5;

che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto infondata, trattandosi di rapporto di impiego pubblico, la pretesa alla conversione a tempo indeterminato dell’originario contratto a termine ed alle richieste conseguenze sanzionatorie anche in materia di retribuzione ed infondata altresì la pretesa al risarcimento del danno per abuso da parte dell’ASL datrice del contratto a termine, evenienza non verificabile nè nel momento genetico, per essere l’iniziale assunzione giustificata dall’esigenza invocata, nè nel momento funzionale, non risultando, anche in considerazione del difetto di prova in ordine alla circostanza di aver la M. reso la prestazione lavorativa anche nel periodo di interruzione di fatto del rapporto compreso tra il 31.12.2010 e l’8.4.2011, essersi il rapporto protratto oltre i trentasei mesi;

che per la cassazione di tale decisione ricorre la M., affidando l’impugnazione a cinque motivi, cui resiste con controricorso la ASL BR/(OMISSIS);

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

– che, con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 5, anche in relazione alla direttiva 1999/70/CE ed all’allegato Accordo quadro, lamenta la non conformità al diritto interno e comunitario della pronunzia della Corte territoriale circa l’infondatezza della domanda di conversione a tempo indeterminato dell’originario contratto a termine, configurandosi già in relazione al momento genetico di quel contratto l’abuso del medesimo;

– che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, commi 1 e 2, e del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, la ricorrente ribadisce, con riguardo alla specifica disciplina dell’istituto, la non conformità, sotto diversi profili, al diritto interno della pronunzia resa dalla Corte territoriale, intesa a disconoscere l’illegittimità nella specie del ricorso al contratto a termine e l’applicabilità delle richieste conseguenze sanzionatorie della medesima;

– che nel terzo motivo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, commi 4-quater e 4-sexies e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5 bis, è dalla ricorrente prospettata in relazione al mancato riconoscimento da parte della Corte territoriale del diritto di prelazione spettante a fronte dell’esigenza, di fatto insorta, di dar corso all’assunzione a tempo indeterminato di altri lavoratori nelle medesime mansioni nei dodici mesi successivi alla cessazione del rapporto;

– che, con il quarto motivo, rubricato con riferimento al vizio di contraddittoria motivazione, la ricorrente lamenta da parte della Corte territoriale la mancata considerazione della documentazione attestante la prosecuzione di fatto del rapporto già risolto alla data del 31.12.2010 per il periodo successivo fino all’8.4.2011, allorchè alla ricorrente veniva comunicata la proroga dell’originario contratto a termine;

– che con il quinto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, e del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis, per aver la Corte territoriale negato, a fronte della ribadita illegittimità del contratto a termine in questione, il richiesto risarcimento del danno in difetto di prova sul punto, stante il carattere sanzionatorio della misura;

– che, tenuto conto della complessiva impostazione dell’impugnazione proposta, emergente dai cinque motivi in cui la stessa si articola, suscettibili, pertanto di essere qui trattati congiuntamente – impostazione per la quale si sarebbe nella specie di fronte ad una assunzione a termine illegittima in quanto effettuata e gestita nel suo svolgersi in violazione di molte delle norme interne che disciplinano l’istituto, illegittimità implicante, anche ai sensi della normativa comunitaria, l’adozione di misure sanzionatorie che, a quella stregua, dovrebbero identificarsi, in via principale, nella stessa conversione a tempo indeterminato del contratto a termine o, in subordine, nel risarcimento del danno, concepito, peraltro, quale misura sanzionatoria svincolata da qualsiasi onere probatorio – l’impugnazione stessa si rivela del tutto infondata alla stregua degli orientamenti accolti da questa Corte, cui si è puntualmente conformata la Corte territoriale, orientamenti per i quali, esclusa in linea di principio, data la natura pubblica del soggetto datore e, dunque, a prescindere dall’illegittimità del contratto a termine stipulato – del resto negata dalla Corte territoriale sulla base del rilievo, qui neppure fatto oggetto di specifica censura, per il quale l’assunzione a termine sarebbe stata, nella specie, giustificata dal suo essere stata disposta in esecuzione di uno specifico progetto regionale – la misura della conversione a tempo indeterminato del contratto a termine (la cui applicabilità è viceversa ribadita nel primo motivo), ciò che rileva ai fini del riconoscimento del c.d. danno comunitario, da determinarsi, a prescindere da qualsiasi onere probatorio, in base al disposto della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, secondo il principio posto da questa Corte a sezioni unite con la sentenza 15.3.2016 n. 5072, non è l’illegittimità del singolo contratto a termine (su cui, viceversa, si incentrano il secondo ed il quarto motivo), bensì la ravvisabilità di un abuso del ricorso ad esso nei confronti del singolo lavoratore, ipotesi che la Corte territoriale ha ritenuto di escludere per essere stato l’unico contratto a termine stipulato tra le parti contenuto nella sua durata entro i 36 mesi previsti dalla legge, circostanza da ritenersi accertata, non avendo la ricorrente provato di aver reso la propria prestazione anche nel periodo compreso tra il 31.12.2010 e l’8.4.2011 in cui l’originario contratto tra le parti sarebbe stato sciolto per poi essere ripristinato ed ulteriormente prorogato, pronunciamento, questo, relativo alla non ravvisabilità di un’ipotesi di abuso del contratto a termine, che la ricorrente non ha specificatamente impugnato, non potendo leggersi in tal senso tanto il terzo motivo, in cui, peraltro, in ammissibilmente, non essendo più deducibile in questa sede un vizio di motivazione a fronte della conforme pronunzia dei giudici di entrambi i gradi di merito, si censura, per insufficienza e contraddittorietà della motivazione, il convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine al difetto di prova della prosecuzione dell’attività lavorativa da parte della ricorrente nel periodo sopra indicato, quanto il quinto motivo in cui la pronunzia della Corte territoriale di rigetto della domanda relativa al risarcimento del danno comunitario è censurata solo sotto il profilo della non conformità a diritto di quel diniego che si assume motivato dal mancato assolvimento di un insussistente onere della prova, quando invece, quel diniego conseguiva all’esclusione della ricorrenza nella specie dell’abuso del contratto a termine che ne legittimava il riconoscimento;

– che, pertanto, conformandosi alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;

– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

– che non compete l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002 ex art. 13, quater, stante l’ammissione della parte al gratuito patrocinio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019

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