Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25610 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/09/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 22/09/2021), n.25610

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – M. –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Robert – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19329/2014 R.G. proposto da:

S.D., rappresentato e difeso giusta delega in atti dagli

avvocati Nicola Raimondo (PEC nicolarimondo.legalmail.it), Umberto

Raimondo (PEC umbertoraimondo.legalmail.it) e Carmela Carella (PEC

carella.carmela.avvocaribari.legalmail.it) e con domicilio eletto

presso l’avv. Vito Nanna in Roma, alla via del Tritone n. 102 (PEC

vito.nanna.postacertificata.gov.it)

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Puglia n. 146/10/14 depositata il 23/01/2014, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

16/12/2020 dal Consigliere Roberto Succio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con la sentenza impugnata la CTR ha respinto l’appello del contribuente e pertanto confermata la sentenza di primo grado che aveva dichiarata la legittimità dell’atto impugnato, avviso di accertamento per IRPEF, IVA e IRAP 2006;

ricorre a questa Corte il contribuente con atto affidato a quattro motivi e illustrato da memoria; l’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1 per non avere la CTR dichiarato illegittimo l’atto impugnato in quanto sottoscritto da funzionario delegato dal capo dell’Ufficio senza che ad esso avviso di accertamento fosse allegata la delega che autorizzava il sottoscrittore a firmare il provvedimento impositivo, delega che avrebbe dovuto anche indicare l’atto delegato ed esser precisa e non generica esplicitando anche le ragioni della stessa; in ogni caso non risultando sanato detto vizio dall’avvenuta produzione in giudizio di fronte alla CTP della delega in parola;

– il motivo in primo luogo pare invero porre questione diversa da quella affrontata in sentenza (non risultando in essa trattato il profilo della mancata allegazione della delega all’avviso di accertamento, ma quello, più generale e diverso, della mancata sottoscrizione dell’atto) e quindi è in primo luogo risulta privo di autosufficienza, in quanto difetta in ricorso la trascrizione degli atti di causa dei gradi del merito nei quali tal questione sarebbe stata in questi termini tempestivamente proposta;

– in ogni caso, il motivo è comunque infondato;

– il documento contenente la delega di firma, pur se prodotto tardivamente dall’Agenzia in sede di controdeduzioni di fronte alla CTP, proprio per l’inscindibilità dei fascicoli di parte con il fascicolo d’ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 546 del 1992, art. 25, comma 2 è entrato automaticamente e “ritualmente” nel procedimento di appello (con il deposito del fascicolo di primo grado in sede di gravame al momento della costituzione);

– esso ben poteva essere quindi esaminato e utilizzato dalla Commissione Regionale ai fini del decidere (Cass. n. 24398/2016, n. 5429/2018; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16652 del 25/06/2018); quanto poi alla specifica questione relativa alla tempestività della prova del potere di delega, questa Corte ritiene (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19190 del 17/07/2019) che in tema di avviso di accertamento, se il contribuente contesta la legittimazione del soggetto, diverso dal dirigente, alla sottoscrizione dell’atto, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare, in omaggio al principio di cd. vicinanza della prova, il corretto esercizio del potere producendo, anche nel corso del secondo grado di giudizio, la relativa delega, che pure è solo di firma e non di funzioni; inoltre, quanto al concreto contenuto della delega in parola, questa Corte ha già chiarito come (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8814 del 29/03/2019) essa delega conferita per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento dal dirigente D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 42, comma 1, è una delega di firma e non di funzioni;

– ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che però pur sempre individuino adeguatamente l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire sempre, anche se “ex post”, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto;

– inammissibile è anche l’ulteriore profilo del motivo, col quale si denuncia la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, in quanto s’infrange contro l’accertamento di fatto contenuto in sentenza d’inesistenza della violazione, facendo leva, peraltro, su considerazioni, come l’adesione pedissequa da parte dell’amministrazione finanziaria al processo verbale di constatazione, che questa Corte ha già ritenuto infondate (si veda, in particolare, Cass. n. 435/20);

– il secondo motivo di gravame censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la CTR fatto uso scorretto del principio di ripartizione dell’onere della prova, incombendo all’Ufficio dar prova della pretesa derivante dall’indeducibilità dei costi stante l’inesistenza delle operazioni, inesistenza in questo caso oggettiva, e non al contribuente dar prova del contrario;

– anche questo motivo è infondato;

– La Commissione tributaria regionale ha difatti valutato gli elementi sottoposti al suo giudizio, quali i flussi di danaro riscontrati, pari a complessivi Euro 157.370,00, dei quali è rimasta ignota la provenienza, sia, a fronte della contestazione delle fatture, la “mancata indicazione dei contratti, dei committenti e dei relativi luoghi”, in tal modo conformandosi all’orientamento di questa Corte in base al quale (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 26453 del 19/10/2018) in tema di IVA, con principio estendibile anche alle imposte reddituali e all’IRAP, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova, anche mediante elementi indiziari, dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente dimostrarne, di contro, l’effettiva esistenza, senza che, tuttavia, sia sufficiente a tal fine l’esibizione della fattura, documentazione di solito utilizzata proprio allo scopo di far apparire reale un’ operazione fittizia;

– il terzo motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la CTR ritenuto legittimo l’atto impugnato, che andava invece annullato in quanto fondato su elementi probatori di natura indiziaria non costituenti indizi né gravi né precisi né concordanti;

– il motivo è inammissibile;

– invero, la sussistenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza in capo agli elementi presuntivi dedotti in giudizio costituisce oggetto di una valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità se logicamente e congruamente motivato (ex plurimis, Cass.22/05/2002 n. 7487; Cass. 20/04/2007, n. 9402, Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza 13/02/2020 n. 3541): se ne desume che in sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso;

– ritiene qui la Corte che gli elementi dedotti dall’Ufficio, consistenti nella mancanza di prova in ordine alla provenienza dei flussi di denaro utilizzati per pagare per contanti fatture per un complessivo ammontare di oltre 150.000 Euro iva inclusa e nella mancata indicazione dei contratti, dei committenti e dei relativi luoghi di lavoro, siano stati correttamente ritenuti elementi indiziari gravi, precisi e concordanti da parte della CTR e oggetto di adeguato giudizio di sussunzione del caso di specie nel paradigma normativo corrispondente. Il giudice dell’appello infatti era tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio, e così in effetti ha operato;

– il quarto motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2 per avere la CTR ritenuto legittimo l’atto impugnato anche se nel PVC di acquisizione documenti del 13.5.2011 non erano state indicate le ragioni della verifica;

– il motivo non ha fondamento;

– va premesso come il contribuente deduca, nel motivo e nel ricorso, unicamente tal violazione senza in concreto denunciare neppure indirettamente la derivazione da essa di alcun concreto pregiudizio in capo al medesimo;

– come questa Corte ha già avuto modo di statuire (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13501 del 29/05/2018) in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il dovere previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2, identifica una condotta dovuta da parte dei verificatori la cui violazione e’, peraltro, priva di sanzioni;

– ancora, si è chiarito come (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 28692 del 09/11/2018) in tema di accertamento, ove non siano state indicate al contribuente, in sede di verifica, le specifiche ragioni per le quali la stessa è iniziata, motivando gli accessi con generici riferimenti agli indirizzi di programma annuali ovvero al settore economico di particolare interesse, non si configura la nullità dell’atto impositivo per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2, atteso che, non essendo tale sanzione espressamente prevista dalla legge, è onere del contribuente dedurre e dimostrare il concreto pregiudizio derivato alla sua difesa dalla denunciata violazione, il che non è qui avvenuto;

– in ultimo, questa Corte ritiene (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1299 del 22/01/2020) proprio in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, anche l’inosservanza della L. n. 212 del 2000, art. 12, commi 1 e 3 funzionali ad assicurare un’equilibrata composizione delle contrapposte esigenze delle parti nell’espletamento della verifica, garantendo, da un lato, la necessaria efficacia all’attività ispettiva dell’ufficio, e dall’altro, la tutela dei diritti del contribuente sia come persona sia come soggetto economico, può determinare, pur in assenza di espressa previsione, la nullità del provvedimento impositivo solo qualora i verbalizzanti abbiano eseguito un accesso nei locali della impresa in difetto delle indicate esigenze di ricerca e rilevazione “in loco” e, dunque, non anche nell’ipotesi di verifica condotta in luoghi diversi, dovendosi valutare nei casi in cui l’effetto invalidante non sia espressamente previsto dalla legge, e alla luce dell’interpretazione della giurisprudenza Europea – che impone di verificare se la prescrizione normativa si riferisca o meno a circostanza essenziale per il raggiungimento dello scopo dell’atto – se la violazione abbia comportato una mera irregolarità dell’atto ovvero se sia idonea a determinarne l’invalidità;

– pertanto, il ricorso è rigettato;

– non vi è luogo a provvedere sulle spese stante la mancata costituzione dell’intimata Agenzia delle Entrate;

– sussistono peraltro i requisiti per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato per atti giudiziari.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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