Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2561 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 31/01/2017, (ud. 17/11/2016, dep.31/01/2017),  n. 2561

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28701-2015 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ITALO CARLO

FALBO 10, presso lo studio dell’avvocato BARBARA PALOMBI,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA CARMELA CASANOVA, giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

REALE MUTUA ASSICURAZIONI S.P.A., C.A., C.S.,

D.V.;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. cronol. 1124/2015 della CORTE DI APPELLO di

Bari del 5/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“1. S.M. ha proposto ricorso per cassazione nei confronti di Reale Mutua Assicurazioni S.p.a., D.V., C.A. nonchè C.S. e avverso l’ordinanza n. 1124/2015 del 5 maggio 2015, con cui la Corte di appello di Bari ha dichiarato inammissibile ex art. 348 bis c.p.c., per difetto di ragionevole probabilità di accoglimento, l’appello proposto dalla stessa S. avverso la sentenza di primo grado n. 1825/2014 emessa dal Tribunale di Foggia in relazione alla domanda di risarcimento dei danni che la predetta assumeva di aver riportato a seguito di un sinistro stradale.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

2. Osserva il relatore che il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto appare destinato ad essere rigettato.

3. Col ricorso per cassazione, premesso lo svolgimento del processo di primo e secondo grado e dato atto dei motivi di appello proposti avverso la sentenza del Tribunale, la S. dichiara espressamente di voler impugnare “l’ordinanza N. CRON. 1124/15” sulla base di quattro motivi.

3.1. Con il primo motivo, rubricato “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di fatti decisivi del giudizio e per motivazione apparente ed errata”, la ricorrente sostiene che l’impugnata ordinanza difetterebbe “di elementi convincenti circa il rifiuto di procedere alla liquidazione del danno morale e del danno da ridotta capacità lavorativa specifica”, che “la Corte d’Appello avrebbe dovuto procedere alla liquidazione delle predette voci di danno sulla scorta della documentazione (medica e fotografica) già depositata sin dall’inizio del giudizio di primo grado nonchè sulla scorta delle risultanze della c.t.u., senza necessità della produzione di ulteriore documentazione da parte dell’appellante”, sicchè la medesima Corte avrebbe “errato nell’addebitare all’appellante la mancata produzione (di) ulteriore documentazione” ed avrebbe “fornito una motivazione apparente ed errata su punti decisivi del giudizio”.

3.2. Con il secondo motivo, rubricato “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione del principio di integralità del risarcimento del danno per aver ritenuto non dovuto il danno morale ed il danno da ridotta capacità lavorativa”, assume la ricorrente che “l’omissione del risarcimento del danno da ridotta capacità lavorativa nonchè del danno morale” avrebbe “determinato la violazione del diritto della odierna ricorrente ad ottenere la riparazione integrale delle lesioni personali”.

3.3. Con il terzo motivo, rubricato “violazione dell’art. 360, n. 5, per omesso esame della documentazione relativa alle spese mediche sostenute e conseguente errata riduzione del risarcimento relativo alle spese mediche documentate”, la S., premesso di aver documentato con fattura tutte le spese mediche sostenute, censura l’ordinanza impugnata per avere “la Corte d’Appello di Bari… ritenuto che la valutazione di congruità e compatibilità delle stesse era stata effettuata dal consulente medico-legale e che l’appellante non aveva svolto censure specifiche, limitandosi a richiamare genericamente la documentazione prodotta in primo grado”. Sostiene la ricorrente che la motivazione addotta sul punto dalla Corte territoriale sarebbe “avulsa dai dati probatori offerti e dalle risultanze processuali”.

3.4. Con il quarto motivo, rubricato “Violazione dell’art. 360, sub 3, per violazione alla L. n. 794 del 1942, art. 24 – inderogabilità dei minimi di tariffa e mancato esame degli atti di causa”, la S., con riferimento al motivo di appello relativo alla liquidazione delle spese processuali operata dalla sentenza di primo grado perchè, a suo avviso, inferiore ai minimi tariffari, nonostante la produzione della nota spese sia in primo grado che nel corpo dell’atto di appello, lamenta che la Corte di merito abbia ritenuto che il Tribunale abbia correttamente operato la liquidazione delle spese con riferimento alla fascia di valore corrispondente al valore della domanda, come accertato in giudizio, piuttosto che alla somma richiesta e che abbia fornito congrua motivazione dell’operata riduzione dell’importo della tariffa pari a Euro 6.615,00 a quello di Euro 5.5. 000,00 (rectius 5.500,00), laddove, invece, ad avviso della ricorrente, l’importo delle spese liquidate avrebbe dovuto essere commisurato alla complessità del caso, alla durata della causa, all’attività istruttoria espletata e all’importo della domanda.

4. Con i motivi di ricorso sopra illustrati (ad esclusione di quanto rappresentato nella seconda parte del primo motivo e di cui si dirà appresso), la S. propone doglianze riguardanti il “merito” della controversia, il che deve escludersi, con conseguente inammissibilità di tali censure, giusta – come espressamente affermato nella motivazione dalla recente sentenza della Sezioni Unite di questa Corte n. 1914 del 2 febbraio 2016 – “la previsione di ricorribilità per cassazione della sentenza di primo grado e quindi la non definitività, sotto questo profilo, dell’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.”.

5. Con la medesima sentenza è stato pure affermato il principio, che va ribadito in questa sede, secondo cui avverso l’ordinanza pronunciata dal giudice d’appello ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., è sempre ammissibile ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi propri della medesima costituenti violazioni della legge processuale che risultino compatibili con la logica (e la struttura) del giudizio sotteso all’ordinanza in questione, dovendo in particolare escludersi tale compatibilità in relazione alla denuncia di omessa pronuncia su di un motivo di appello, attesa la natura “complessiva” del giudizio prognostico, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza nonchè a tutti i motivi di ciascuna impugnazione, e potendo, in relazione al silenzio serbato in sentenza su di un motivo di censura, eventualmente porsi (nei termini e nei limiti in cui possa rilevare sul piano impugnatorio) soltanto un problema di motivazione.

Se, alla luce di tale principio, deve ritenersi ammissibile la censura proposta con la seconda parte del primo motivo, con cui si lamenta “motivazione apparente”, trattandosi di vizio proprio dell’ordinanza impugnata, nondimeno tale censura va rigettata.

Come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, la rifotiriulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134 – applicabile ratione temporis al caso di specie -, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Alla stregua di tale principio, risulta infondata la censura all’esame, in quanto nella specie oggettivamente sussiste, dal punto di vista materiale e grafico, una motivazione della ordinanza impugnata e tale motivazione – benchè sintetica ma in linea con le caratteristiche di un provvedimento come l’ordinanza ed in relazione alle precipuità di un giudizio complessivo di tipo prognostico quale quello disciplinato dagli artt. 348 bis e ter c.p.c. – non risulta di per sè illogica, contraddittoria o perplessa o comunque obiettivamente incomprensibile.

Si evidenzia, infine, che la doglianza, pure proposta, in ordine alla lamentata “erroneità” della motivazione dell’ordinanza impugnata non può che attenere al merito della controversia e, pertanto, tale censura, alla luce di quanto sopra evidenziato, non può che essere ritenuta inammissibile.

6. Conclusivamente si ritiene che il ricorso debba essere rigettato”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio, rimarcato che la ricorrente, pur avendo fatto riferimento a p. 1 del ricorso alla sentenza n. 182572014 del Tribunale di Foggia, depositata in cancelleria il 10/08/2014, ha, come evidenziato nella relazione, espressamente precisato in ricorso (v. p. 5) di proporre ricorso avverso “l’ordinanza N. CRON 1124/15” e preso atto che non sono state depositate memorie, ritiene di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella sopra riportata relazione e dispone la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.

2. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

3. Non vi è luogo a provvedere per le spese del giudizio di cassazione nei confronti degli intimati, non avendo gli stessi svolto attività difensiva in questa sede.

4. Pur essendo stato il ricorso per cassazione proposto dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la ricorrente, essendo stata ammessa al gratuito patrocinio, risulta esente dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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