Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25609 del 22/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/09/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 22/09/2021), n.25609

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – M. –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Robert – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 364/2014 R.G. proposto da:

FANOEDIL s.r.l. in fallimento in persona del suo legale

rappresentante pro tempore rappresentata e difesa giusta delega in

atti dall’avv. Paolo Montanari (PEC

baolomontanari.sicurezzapostale.it) e con domicilio eletto presso

l’avv. prof. Giuseppe Marini in Roma, via di Villa Sacchetti n. 9

(PEC giuseppemarini.ordineavvocatiroma.org);

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle

Marche n. 130/04/12 depositata il 31/10/2012, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

16/12/2020 dal Consigliere Roberto Succio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza impugnata la CTR ha accolto l’appello dell’Ufficio e pertanto in riforma della sentenza di primo grado ha dichiarata la legittimità dell’atto impugnato, avviso di accertamento per IVA, IRPEG ed IRAP 2003, limitatamente alle imposte dirette;

– ricorre a questa Corte la società contribuente con atto affidato a sei motivi; resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per non avere la CTR dichiarato inammissibile l’appello dell’Ufficio che nel proprio atto di gravame si sarebbe limitato a chiedere l’accoglimento dell’appello senza instare, quanto a petitur n, per la conferma della legittimità dell’atto impositivo;

– il secondo motivo censura la sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la CTR erroneamente non dichiarato inammissibile l’appello dell’Ufficio, alla luce delle ragioni di cui al primo motivo, avendo l’appellante omesso di indicare l’oggetto della domanda spiegata nel giudizio di secondo grado D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 54;

– i motivi possono esaminarsi congiuntamente, e vanno entrambi rigettati;

– ritiene questa Corte che la regola stabilita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 secondo cui le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado e non specificamente riproposte in appello s’intendono rinunciate, deve essere coordinata col principio regolatore del processo tributario, che per quanto riguarda la sua introduzione è certamente un processo d’impugnazione degli atti autoritativi dell’amministrazione finanziaria indicati nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19. E’ quindi l’atto impugnato che contiene l’enunciazione della pretesa tributaria e dei suoi presupposti e che stabilisce, nel contempo, i limiti dell’oggetto del giudizio ove tale atto sia oggetto di ricorso al giudice. Pertanto, le ragioni poste a base dell’atto impositivo impugnato s’intendono acquisite al giudizio potendo peraltro in ogni momento esse oggetto di rinuncia da parte dell’Ufficio che come le ha espresse può abdicarvi (si vedano Sez. 5, Sentenza n. 16049 del 29/07/2005; Sez. 5, Sentenza n. 3330 del 12/02/2008; Sez. 5, Sentenza n. 12181 del 26/05/2009);

– va ricordato infatti che l’appello, così nel rito ordinario come nel contenzioso tributario, è pur sempre un mezzo d’impugnazione pienamente devolutivo ed interamente rescissorio; diretto, cioè, non al mero controllo della decisione di primo grado, ma al pieno e completo riesame della controversia nei limiti in cui questa è stata devoluta al giudice superiore, e la sentenza del giudice d’appello, sia essa di conferma o di riforma, si sostituisce e. si sovrappone totalmente alla sentenza di primo grado sui capi investiti dall’impugnazione, ne può il secondo giudice limitarsi ad annullare la decisione appellata, dovendo invece in ogni caso, salve le tassative ipotesi di rimessione al primo giudice previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c., trattenere la causa e decidere nel merito. E allora la devoluzione, come si è accennato, può non essere totale, ma solo nel senso che, se la decisione di primo grado si articoli in una pluralità di capi o statuizioni distinte, l’atto di impugnazione il quale investa specificamente solo alcune di dette statuizioni limita la devoluzione al giudice d’appello di prendere in esame quelli non impugnati, sui quali viene a formarsi il giudicato;

– ecco quindi che la specificazione dei motivi d’appello ha appunto la funzione di circoscrivere l’estensione dell’impugnazione e del riesame nel senso appena precisato, ma sui capi specificamente impugnati nondimeno – la cognizione del giudice d’appello è piena e completa, tanto che egli può decidere la controversia sui punti devolutigli anche in base a ragioni od argomentazioni non specificamente prospettate o diverse da quelle prospettate dalle parti;

– in ogni caso, allora, qualora si lamenti l’erroneità di una determinata statuizione con esclusivo riguardo ad uno degli argomenti svolti dal primo giudice, la mancata formulazione di critiche in ordine ad ulteriori argomenti, nonostante l’autonoma idoneità di questi ultimi a sorreggere detta statuizione, non implica inammissibilità del gravame, a differenza di quanto si verifica con riguardo ai mezzi di impugnazione limitata, come il ricorso per Cassazione, ma o è del tutto irrilevante – se concernente ragioni giuridiche – o è liberamente apprezzabile dal giudice, ai sensi dell’art. 116 c.p.c. – ove si tratti di ragioni di fatto – in occasione del rinnovato giudizio che gli si richiede. (Cass. n. 5388 del 14/05/1991);

– nel presente caso, poiché l’impugnazione proposta certamente chiedeva di esser accolta, essa era diretta a ottenere la riforma della sentenza di primo grado; e tal domanda ha prodotto adeguatamente l’effetto devolutivo tipico dell’appello, teso a riottenere un completo nuovo esame dei fatti di causa da parte del secondo giudice;

– il terzo motivo denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 per avere la CTR confermato la pretesa impositiva nonostante la stessa si fondasse su dati ed elementi riferibili a soggetti diversi dal contribuente, in concreto ai risultati delle indagini finanziarie operate sui conti bancari degli acquirenti gli immobili oggetto delle compravendite sottoposte a controllo;

– il motivo è infondato;

– come si evince dalla sentenza impugnata, la CTR ha in realtà considerato le risultanze delle indagini finanziarie come meri indizi, che ha ritenuto debitamente suffragati da altri elementi istruttori, quali le dichiarazioni rese dagli acquirenti alle banche (elementi che ben possono avere rilevanza probatoria sia pur indiziaria, come insegna Cass. 16711/2016, tra le molte);

– ma soprattutto, dal punto di vista meramente logico, la censura in parola risulta viziata da contraddittorietà perché da un lato in essa si sostiene che la società contribuente (essendo intestati a terzi i rapporti bancari) non ha potuto adeguatamente difendersi, dall’altro (pag. 19 del ricorso) il ricorrente denuncia contemporaneamente che (proprio trattandosi di conti di terzi) questi comunque non avrebbe potuto dedurre o provare alcunché; a questo punto è chiaro come le due affermazioni insorgendo l’una contro l’altra risultino incompatibili e in concreto si elidano tra di loro, annullandosi;

– il quarto motivo di ricorso si incentra sulla violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 nonché degli art. 115 e 116 c.p.c. nella parte in cui la CTR ha stabilito che la congruità in relazione ai valori medi indicati dall’OMI sia un elemento non valutabile in favore del contribuente al fine della prova dell’effettività dei prezzi dichiarati;

– il motivo è in primo luogo inammissibile, in quanto difettoso di collegamento con la ratio decidendi;

– dalla lettura della sentenza gravata, infatti, si evince come la CTR abbia ritenuto provata la sussistenza di maggior imponibile anche in forza di altri elementi, complessivamente valutandoli, dotati da maggior forza probante delle mere risultanze OMI il contenuto delle quali, sia a favore dell’Ufficio sia a favore del contribuente, è stato valutato di minore e soccombente rilevanza rispetto a tali più forti elementi;

– invero, detti ulteriori e migliori elementi di prova sono anche puntualmente indicati e valutati, complessivamente e nel confronto con le risultanze OMI, nella sentenza impugnata; si tratta delle perizie di stima redatte in occasione della istruttoria di fido necessaria per la concessione di mutui per l’acquisto degli immobili (indicanti valori superiori a quelli fatturati), ma soprattutto delle risultanze delle indagini finanziarie dalle quali risultavano prelievi dai conti degli acquirenti ed emissioni di assegni “a se stessi” incassati apparentemente dallo stesso emittente che per modalità anche temporali ed importi sono stati ritenuti traccia della provvista finanziaria resa disponibile per le compravendite oggetto del controllo; a ciò si sono aggiunte anche alcune dichiarazioni di acquirenti alle banche attestanti l’esecuzione degli acquisti a prezzi superiori a quanto indicato in atto notarile, in alcuni casi il pagamento di acconti non oggetto di contabilizzazione da parte della società ricorrente e l’emissione da parte della stessa di fatture per acconti non riferite a specifici pagamenti;

– pertanto, la censura diretta a colpire l’omessa valutazione delle risultanze OMI non coglie la ratio decidendi della sentenza, che resta quindi immune, poiché non scalfita, da tal aggressione;

– inoltre, quanto ai profili di censura relativi agli artt. 115 e 116 c.p.c., questa Corte ritiene (per tutte, Cass. Sez. U., Sentenza n. 20867 del 30/09/2020) che in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.;

– il quinto motivo denuncia l’omessa o insufficiente motivazione circa fatti controversi e rilevanti ai fini della decisione, per avere la CTR, con difettosa motivazione, in concreto non preso posizione su plurimi fatti dedotti nel giudizio; il sesto motivo svolge analoga censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omesso esame degli stessi;

– i motivi costituiscono frammentazione di un medesimo mezzo di impugnazione articolato in due profili e sono entrambi inammissibili;

– quanto al quinto motivo, lo stesso costituisce censura motivazionale; poiché la sentenza gravata è stata depositata in data successiva all’11 settembre 2012 trova applicazione quanto ai motivi di ricorso e ai vizi deducibili per cassazione, il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, cosiddetto “Decreto Sviluppo”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 187 del 11-08-2012);

– tal disposizione, applicabile per l’appunto alle sentenze pubblicata a partire dall’11 settembre 2012, quindi anche alla pronuncia qui gravata, consente di adire la Suprema Corte per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

– conseguentemente, poiché formulata con riferimento al previgente testo del n. 5 di cui sopra, la censura in esame avente per oggetto il difetto di motivazione non è consentita va dichiarata inammissibile;

– inoltre, per giurisprudenza costante (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014) ritiene la Corte che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione;

– comunque, la CTR ha in concreto preso in esame i profili di cui si denuncia, l’omesso esame, valutandoli singolarmente e nel loro complesso; pertanto, i motivi ridetti nel sollecitare una ulteriore considerazione e disamina del meritus causae risultano inammissibili anche per tale ulteriore ragione;

– infatti (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29404 del 07/12/2017; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 19547 del 04/08/2017; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 6519 del 06/03/2019) il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti;

– pertanto, il ricorso è rigettato;

– le spese sono regolate dalla soccombenza;

– sussistono i requisiti processuali per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato per atti giudiziari.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; liquida le spese in Euroit00,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte soccombente. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2021

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