Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25607 del 14/12/2016

Cassazione civile, sez. III, 14/12/2016, (ud. 04/10/2016, dep.14/12/2016),  n. 25607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21961/2013 proposto da:

E.M.R. ed E.L., domiciliati ex lege in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati

e difesi dall’avvocato PASQUALE SCOGNAMIGLIO, MASSIMILIANO

SCOGNAMIGLIO, MARCO SCOGNAMIGLIO, giusta procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrenti –

contro

A.D.M.B., A.D.M.A.,

A.D.M.G., A.D.M.M.,

A.D.M.F., A.D.M.L.,

A.D.M.R., AM.DE.MA.AL., tutti n.q. di eredi di

L.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA BALDUINA

N. 289, presso lo studio dell’avvocato MARIA GLORIA DI LORETO,

rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONIO SCOTTI GALLETTA, MARCO

SCOTTI GALLETTA giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

E.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 11137/2012 del TRIBUNALE di NAPOLI, Sezione

Specializzata Agraria, depositata il 29/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2016 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità o, in

subordine, per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza resa pubblica il 29 ottobre 2012, il Tribunale di Napoli, sezione specializzata per le controversie agrarie, rigettava l’opposizione di terzo, ex art. 404 c.p.c., proposta da E.L. e E.M.R. avverso la sentenza n. 1206/2003 pronunciata dal medesimo Tribunale nella causa tra L.M. e E.M., quale erede di E.F., dolendosi che tale ultima decisione aveva dichiarato cessato il contratto di affitto agrario tra la L. ed E.F., al quale era succeduto come conduttore il figlio M., per l’intera consistenza del terreno, là dove invece parte del fondo, di circa 7000 mq., e il fabbricato rurale erano stati sempre posseduti prima da E.R., padre di essi opponenti, e poi da essi stessi opponenti, con conseguente acquisto per usucapione ventennale.

1.1. – Il Tribunale osservava che le deposizioni testimoniali raccolte erano “contrastanti sul punto se l’affittuario E.F. avesse coltivato o meno l’intero fondo con l’aiuto del fratello R. o se vi fosse stata una divisione di fatto del fondo tra i due fratelli ai fini della coltivazione”, là dove, anche in quest’ultimo caso, “la circostanza che l’intero fondo era stato concesso in affitto ad E.F.” conduceva “a ritenere che, se pure i fratelli” fossero “addivenuti ad una divisione di fatto del fondo per una coltivazione autonoma dello stesso, il presunto possesso da parte di E.R., peraltro mutuato dal fratello conduttore e, quindi, detentore del cespite, sarebbe stato viziato ab origine da clandestinità ex art. 1163 c.c. e il possesso utile per l’usucapione sarebbe decorso dalla cessazione della clandestinità”.

1.2. – Il giudice di primo grado rilevava, pertanto, che, avendo parte dei testi riferito che E.R. coltivava da solo parte del fondo ed altri testi affermato che lo stesso R. “aiutava solo il fratello Francesco nella coltivazione dell’intero fondo”, l’eventuale acquisto del possesso con clandestinità di parte del fondo e della casa colonica” non era “venuta meno a causa del mancato esercizio del possesso in modo visibile a tutti o quantomeno ad una apprezzabile ed indistinta generalità di soggetti”, altresì tenuto conto che la proprietaria del fondo stesso aveva conservato le facoltà dominicali “attraverso una disponibilità, sia pure solo animo, utilmente mediata dal rapporto con il detentore affittuario dell’intera consistenza”.

2. – Avverso tale decisione interponevano appello E.L. e E.M.R., “contestando l’asserita clandestinità del possesso di E.R. e dolendosi dell’anticipata chiusura dell’assunzione della prova testimoniale”.

2.1. – La Corte di appello di Napoli, con ordinanza depositata il 1 agosto 2013, dichiarava inammissibile il gravame ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., comma 1.

3. – Per la cassazione della sentenza del Tribunale di Napoli, sezione specializzata agraria, del 29 ottobre 2012 ricorrono E.L. e E.M.R., sulla base di tre motivi.

Resistono con controricorso gli eredi di L.M. ( A.D.M.B., L., G., R., M., Al., A. e F.).

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimato E.M..

Il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. “per mancata valutazione delle risultanze dell’espletata prova testimoniale e per omesso esame di taluni atti e documenti”.

I ricorrenti assumono non essere condivisibile il convincimento del giudice di primo grado in ordine alla ritenuta clandestinità del possesso esercitato su parte del fondo dal dante causa E.R., giacchè non sarebbero state effettivamente valutate le risultanze della prova testimoniale, lette sotto la luce condizionante del contratto di affitto (da reputarsi irrilevante) e di altra documentazione non esaminata (comparsa di costituzione del 16 aprile 1996, memoria di replica dell’8 aprile 1997, certificati di residenza storica del 12 novembre 2007), dovendosi, pertanto, ascrivere rilevanza decisiva alla deposizioni dei testi indotti dagli opponenti.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

Giova premettere che, alla luce del “diritto vivente” (tra le tante, più di recente cfr. Cass., 23 maggio 2014, n. 11511 e Cass., 10 giugno 2014, n. 13054), ove non si verta (come nella specie) nell’ambito specifico di una “prova legale”, nel procedimento civile la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, con la conseguenza che è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice.

In tal senso, è, quindi, da escludersi che possa ravvisarsi un error in iudicando su norma processuale nella violazione dell’art. 116 c.p.c., assunta in rapporto alla scelta ed alla valutazione dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione, rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorchè motivato, del giudice di merito.

Sicchè, le doglianze tendono, in modo evidente, a porre in discussione la sufficienza e la congruità della valutazione delle prove operata dal giudice del merito e ciò secondo la prospettiva dell’abrogato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., non più applicabile ratione temporis alla presente controversia, nella quale, invece, rileva la medesima norma siccome novellata dal legislatore del 2012, che delinea un vizio di “omesso esame circa un fatto decisivo”, che i ricorrenti non deducono affatto (neppure nella sostanza), insistendo soltanto su profili concernenti le prove (orali e documentali), i quali non attengono, di per sè, al perimetro del “fatto storico”, cui l’omesso esame anzidetto unicamente si riferisce (tra le altre, Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 209 c.p.c., u.p., “per immotivata chiusura anticipata dell’assunzione della prova testimoniale”.

Il Tribunale, nonostante avesse ammesso l’escussione di altri due testi intimati ritualmente dagli opponenti (come da verbale d’udienza del 17 ottobre 2012), non avrebbe fornito alcuna motivazione della chiusura dell’assunzione della prova orale, avvenuta senza l’escussione di detti testi.

3. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 24 Cost., commi 1 e 2, per la violazione del diritto di difesa, stante la chiusura dell’assunzione della prova testimoniale dopo l’escussione del “terzo teste avverso”, avendo ad essi opponenti consentito l’escussione di soli due testimoni.

3.1. – Il secondo e terzo motivo, da scrutinarsi congiuntamente perchè intimamente connessi, sono infondati.

Nel ritenere conclusa l’assunzione della prova testimoniale senza l’escussione di ulteriori testimoni intimati dalla parte opponente, il Tribunale ha fatto uso del potere discrezionale, ad esso riservato, di riduzione delle liste testimoniali sovrabbondanti, che è esercitabile anche nel corso dell’espletamento della prova, potendo il giudice non esaurire l’esame di tutti i testimoni ammessi qualora, per i risultati raggiunti, ritenga superflua l’ulteriore assunzione della prova, con giudizio che si sottrae al sindacato di legittimità se congruamente motivato anche per implicito dal complesso della motivazione (tra le altre, Cass., 9 giugno 2016, n. 11810).

Nella specie, traspare evidente dalla motivazione resa dal primo giudice (cfr. p. dei “Fatti di causa”, cui si rinvia) il convincimento sulla superfluità della ulteriore escussione dei due testimoni indotti dagli opponenti, stante il già acclarato contrasto delle deposizioni raccolte sul “fatto” da provare (ossia la clandestinità del possesso, la cui assenza è stata assunta dal Tribunale in relazione, quantomeno, “ad un’apprezzabile ed indistinta generalità di soggetti”, alla stregua di un assunto in diritto che neppure è stato fatto oggetto di censura) e la presenza di ulteriori elementi di segno contrario rispetto alle allegazioni a sostegno dell’utile possesso per l’usucapione ventennale.

4. – Il ricorso va, pertanto, rigettato e i ricorrenti condannati, in solido tra loro, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in conformità ai parametri introdotti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Nulla è da disporsi in punto di regolamentazione di dette spese nei confronti dell’intimato che non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sul raddoppio del contributo unificato, in quanto causa esente dal pagamento del contributo stesso ai sensi della L. n. 283 del 1957, art. 3 (Cass., 31 marzo 2016, n. 6227).

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 12.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2016

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