Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25606 del 21/09/2021

Cassazione civile sez. I, 21/09/2021, (ud. 15/09/2021, dep. 21/09/2021), n.25606

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

M.H.F., rappr. e dif. dall’avv. Nicoletta Maria Mauro,

mauro.nicolettamaria.ordavvle.legalmail.it, come da procura allegata

in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e difeso

ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– costituito –

per la cassazione del decreto Trib. Lecce 4.8.2020, n. 3935/2020, in

R.G. 3201/2019;

vista la memoria del ricorrente;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 15.9.2021.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. M.H.F. impugna il decreto Trib. Lecce 4.8.2020, n. 3935/2020, in R.G. 3201/2019 di rigetto del ricorso avverso il provvedimento di diniego della tutela invocata dinanzi alla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e da tale organo disattesa;

2. il tribunale, per quanto qui di interesse, ha dato atto di poter esaminare la vicenda del richiedente anche senza disporne l’audizione, posto che nessuna questione nuova era stata addotta dal difensore e dunque, all’esito dell’udienza, ha ritenuto infondato il ricorso, poiché: a) i fatti narrati (“anche qualora veritieri”) non integrano i requisiti della dedotta persecuzione, avendo la parte rappresentato il mero timore di essere punito dal nonno paterno (musulmano), avendogli disobbedito con il rifiuto alla conversione dalla praticata fede cristiana (già professata dal padre, deceduto) e considerando che lo zio che l’aveva ospitato era stato per questa ragione ucciso, circostanze alla base dell’espatrio ma oggetto di giudizio di non credibilità ed anzi inverosimiglianza (pag. 8); b) nessun danno grave, ai sensi delle prime due lettere del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, risulta correlato a sanzioni provvedimentali prospettate, così come inesistente è il conflitto armato in Ghana secondo la lett. c) dell’art. cit.; c) non sussistevano patologie rilevanti idonee a determinare una situazione di “elevata vulnerabilità” o povertà assoluta e perciò, nonostante l’avvio di un percorso d’integrazione sociale (con lavoro, almeno nel 2019), non emergeva una sicura compromissione del godimento di diritti fondamentali al rimpatrio coattivo;

3. il ricorrente propone tre motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. si deducono: a) la nullità del decreto per apparenza della motivazione, quanto allo status; b) la erroneità del giudizio di credibilità del richiedente, non inquadrata nel contesto della situazione socio-politica del Ghana, senza disamina adeguata delle fonti, specie sulla libertà religiosa; c) l’assenza di motivazione quanto alla protezione umanitaria, avendo invece il richiedente svolto un’attività lavorativa ed essendo integrato sul piano linguistico e abitativo, con problemi di salute;

2. l’inammissibilità delle censure proposte dal ricorrente, giustificando la conseguente preliminare reiezione del ricorso, in applicazione del criterio della ragione più liquida, esclude (conf. Cass. 22495/2021) la necessità di soffermarsi, in questa sede, sulla questione concernente l’invalidità della procura ad litem per mancanza di certificazione della data di rilascio, in conformità ad una recente pronuncia di questa Corte (cfr. Cass., Sez. Un., 1/06/2021, n. 15177), seguita dalla rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 13, introdotto del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g), convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46 (cfr. Cass., Sez. III, 23/06/2021, n. 17970);

3. il primo motivo è inammissibile, per eccentricità delle doglianze rispetto alla più complessa motivazione, posto che essa si sostanzia almeno in due rationes decidendi, la prima delle quali – l’estraneità dei fatti prospettati rispetto ai requisiti della persecuzione rilevante – non appare impugnata se non in modo apodittico, limitandosi la doglianza a contrapporre la critica di apparenza della motivazione rispetto alla sussunzione dei fatti esposti (e per quanto non creduti) ai requisiti di persecuzione (esclusa per ogni tipologia di pericolo); la seconda, il giudizio di esclusione della credibilità del ricorrente (oggetto anche di un profilo del terzo motivo, parimenti inammissibile sul punto), riflette a sua volta un apprezzamento di fatto, non rimeditabile in questa sede, postane la evidente e diffusa articolazione argomentativa per plurimi fatti convergenti nel giudizio finale (Cass. s.u. 8053/2014 e, nello specifico, Cass. 20580/2019);

4. il secondo motivo, in parte assorbito dai limiti del primo e dal profilo illustrato del terzo quanto alla credibilità, è a sua volta inammissibile laddove da un lato il contrasto del decreto rispetto ad un assunto diverso di fonti alternative è meramente reclamato, senza alcuna indicazione specifica di esse con almeno riproposizione del rispettivo contenuto essenziale; dall’altro lato, il motivo non coglie il superamento della necessità di trattazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), in ragione della esclusa credibilità e, comunque, nulla oppone in termini circostanziati sul diniego di riscontro del conflitto armato ai sensi della lettera c) art. cit., così evidenziandosi per difetto di completezza della stessa impugnazione quanto alla protezione sussidiaria;

5. manca infine del tutto, quanto alla protezione umanitaria e all’altezza del terzo motivo, oltre al profilo ricordato, l’impugnazione delle articolate ragioni di esclusa comparabilità per supposta compromissione dei diritti fondamentali al rimpatrio coattivo eventuale, avendo in realtà il tribunale esaminato anche la posizione lavorativa e la competenza linguistica del richiedente (Cass. s.u. 24413/2021), rispettivamente dando atto di una documentazione relativa al 2019 e della frequentazione di un corso, mentre il diverso assunto di un contratto a tempo indeterminato e di un uso corrente dell’italiano appaiono meri elementi allegati in ricorso, con radicale difetto di autosufficienza relativamente a prove di diverse condizione occupazionale e abilità; a sua volta, analogo limite riguarda la situazione sanitaria, in questa sede affermata, senza altro riferimento istruttorio a quanto dedotto avanti al giudice di merito e, soprattutto, senza indicazione della indispensabilità anche solo in astratto di terapie o cure incompatibili con il rientro coattivo, laddove – anche su questo punto – la valutazione complessiva del tribunale è di insufficiente esito della comparazione per quanto attenuata con gli standards minimi di godimento dei diritti fondamentali;

6. il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per la condanna al cd. doppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

 

 

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