Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25606 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 12/11/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 12/11/2020), n.25606

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19770/2018 R.G. proposto da:

NUOVA SO.FI.A. SRL IN A.S., (C.F. (OMISSIS)), in persona del

Commissario Straordinario pro tempore, rappresentato e difeso

dall’Avv. Prof. RICCARDO VIANELLO e dall’Avv. Prof. GIUSEPPE MARINI,

elettivamente domiciliato in Roma, Via di Villa Sacchetti n. 9;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia n. 5572/2017 depositata in data 21dicembre 2017.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 novembre 2019

dal Consigliere Filippo D’Aquino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale LUISA DE RENZIS che ha concluso per l’accoglimento dei

profili relativi alle spese, con rigetto dei restanti motivi;

udito l’Avv. NICOLLE PURIFICATI per il ricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento relativo a IVA 2004, con il quale si rettificava la dichiarazione IVA di gruppo della contribuente, disconoscendosi un credito IVA in quanto oggettivamente inesistente.

Il ricorso è stato rigettato dalla CTP di Milano ed è stato accolto dalla CTR della Lombardia, la quale aveva ritenuto non necessaria la prova della fittizietà del credito IVA. La sentenza della CTR della Lombardia è stata cassata con rinvio con sentenza della Corte di Cassazione del 19 aprile 2016, n. 10207. La CTR della Lombardia, con sentenza in data 21 dicembre 2017, ha rigettato in sede di rinvio l’appello della contribuente, ritenendo provata la contestazione dell’Ufficio circa l’inesistenza del credito IVA compensato. Ha rilevato il giudice di appello come il credito IVA era di pertinenza della controllata Cimmy SAS, per operazioni poste in essere con società portoghese che non aveva mai dichiarato le suddette operazioni, credito non riscontrato nè ai fini reddituali nè rispetto allo stato patrimoniale della società e oggetto di plurime cessioni di azienda non compatibili con logiche di mercato e, pertanto, finalizzate alla indebita compensazione in sede di dichiarazione IVA di gruppo. Ha ritenuto, infine, il giudice di appello corretta l’irrogazione della sanzione a carico della controllante, condannando la società contribuente anche alle spese del precedente grado di appello.

Propone ricorso per cassazione parte contribuente affidato a otto motivi, resiste con controricorso l’Ufficio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1 – Con il primo motivo si censura nullità della sentenza, con violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè violazione dell’art. 384 c.p.c., in punto condanna alle spese, per non avere il giudice del rinvio rispettato il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione. Evidenzia il ricorrente come il giudice del rinvio ha liquidato le spese non solo per il giudizio rescissorio di rinvio e per il giudizio rescindente di cassazione, ma anche per il grado di appello, laddove la sentenza della Cassazione ha disposto la liquidazione delle sole spese del grado di legittimità, con conseguente extrapetizione rispetto alla statuizione del giudizio rescindente.

Con il secondo motivo si deduce nullità della sentenza e violazione dell’art. 2909 c.c., per violazione del giudicato interno, nella parte in cui la sentenza di appello ha liquidato le spese del grado di appello. Evidenzia il ricorrente come tale capo non fosse stato oggetto di specifica censura, per cui il relativo capo deve ritenersi passato in giudicato.

Con il terzo motivo si deduce violazione di legge in relazione all’art. 91 c.p.c., nella parte in cui la sentenza del giudice del rinvio ha condannato alle spese del grado di appello la parte contribuente, che in quel grado di giudizio doveva ritenersi originariamente vittoriosa, per cui la riliquidazione delle spese a carico di parte contribuente contrasta con il principio della soccombenza.

Con il quarto motivo si deduce violazione di legge in relazione al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, e art. 132 c.p.c., sempre in relazione al capo della sentenza relativo alle spese, asserendo non esservi stata svolta alcuna motivazione in ordine a detto capo di pronuncia o, comunque, con motivazione apparente.

Con il quinto motivo si deduce violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, all’art. 91 c.p.c., e al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, sempre con riferimento al capo relativo alla condanna alle spese.

Con il sesto motivo si deduce nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63, e art. 394 c.p.c., sempre in relazione al capo sulle spese, essendo il giudizio di rinvio autonomo rispetto al giudizio di appello. Per cui il giudice del rinvio non potrebbe procedere alla riliquidazione anche delle spese del precedente grado di appello.

Con il settimo motivo si deduce violazione di legge in relazione alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto non esservi difetto di motivazione nell’avviso di accertamento impugnato. Rileva parte ricorrente come la violazione imputata alla contribuente derivi dalla traslazione di un credito originatosi in capo alla controllata Cimmy SAS nel 2003, supposto inesistente da parte dell’Ufficio, circostanza rispetto alla quale la contribuente è risultata estranea e rispetto alla quale non vi sarebbe stata alcuna allegazione degli atti impositivi emessi nei confronti dei terzi; il contenuto di tali atti non sarebbe stato riprodotto nell’atto impugnato.

Con l’ottavo motivo si deduce violazione di legge in relazione all’art. 2697 c.c., artt. 101 e 24 Cost., per avere il giudice di appello ritenuto che l’Ufficio abbia assolto all’onere probatorio. Evidenzia parte ricorrente come la contestazione svolta nei confronti della contribuente è il riflesso di contestazioni mosse nei confronti di soggetti terzi rispetto alla contribuente alle quali la ricorrente è risultata estranea.

2 – I primi tre motivi, i quali possono essere esaminati congiuntamente e unitamente al sesto, sono infondati.

Occorre partire dal principio espresso dall’art. 336 c.p.c., comma 1, (cd. effetto espansivo interno), secondo cui la caducazione del capo principale comporta anche la caducazione del capo di pronuncia dipendente interno alla decisione, come avviene per la condanna alle spese di lite. L’operatività di tale principio processuale comporta che la caducazione del capo principale investe anche quello del capo dipendente, ancorchè quest’ultimo non sia investito da specifica censura, quale eccezione al principio della formazione del giudicato. L’operatività di questo principio, interpretato dalla giurisprudenza più recente con particolare rigore, va inteso nel senso che ciò potrà e dovrà accadere solo ove sia imposto dal tenore della decisione relativa all’impugnazione, ossia quando tale ultima decisione si ponga in contrasto con quella sulla questione dipendente (Cass., Sez. III, 26 settembre 2019, n. 23985).

Sicchè, ad esempio, l’accoglimento parziale del gravame non comporta di per sè, in assenza di specifica impugnazione, la caducazione del capo sulle spese della precedente fase di merito, qualora il giudice del grado successivo abbia valutato la complessiva situazione sostanziale in senso più favorevole alla parte vittoriosa nel grado precedente (Cass., Sez. III, 29 ottobre 2019, n. 27606).

Al contrario, ove l’esito della lite in sede di impugnazione abbia completamente ribaltato la decisione precedente, non vi è alcun ostacolo all’applicazione del principio di cui all’art. 336 c.p.c., comma 1, posto che in questo caso non vi è alcuna ragione logico-giuridica perchè permanga una pronuncia sulle spese a carico di una parte che non ne avrebbe dovuto sopportare il costo secondo l’esito finale della causa (ossia, all’atto del conseguimento dei petitum formale, di accoglimento o di rigetto), onerando il giudice del grado successivo del potere-dovere di rinnovare totalmente, anche d’ufficio, il regolamento di tali spese, alla stregua dell’esito finale della causa (Cass., Sez. I, 25 agosto 2017, n. 20399). Nel qual caso il giudice, anche del rinvio, ha l’onere di rinnovare totalmente la regolamentazione delle spese alla stregua dell’esito finale della lite (Cass., Sez. I, 25 agosto 2017, n. 20399; Cass., Sez. III, 5 giugno 2007, n. 13059; Cass., Sez. Lav., 6 ottobre 2004, n. 19937).

Se, pertanto, l’esito finale della lite orienta il criterio di regolamentazione delle spese, altra cosa riguarda la liquidazione delle spese, le quali vanno liquidate dal giudice del rinvio (secondo il criterio di imputazione dato dell’esito della lite) partitamente per ogni grado di giudizio, provvedendo sulle spese dei gradi di appello e dei successivi gradi di impugnazione, liquidazione estensibile anche alle spese di prime cure ove sia stato ribaltato anche l’esito del giudizio di prime cure (Cass., Sez. III, 28 luglio 2015, n. 15868; sul punto anche Cass., Sez. II, 13 giugno 2018, n. 15506; Cass., Sez. V, 7 novembre 2019, n. 28698; Cass., Sez. Lav., 7 gennaio 2009, n. 50; Cass., Sez. I, 18 giugno 2007, n. 14053; Cass., Sez. III, 29 marzo 2006, n. 7243).

La sentenza impugnata dà atto che l’appello (in riforma della sentenza di primo grado) era stato originariamente accolto ed era stato applicato il principio della compensazione delle spese. Nel momento in cui la sentenza del giudice del rinvio ha rigettato l’appello, anche la originaria pronuncia in ordine alle spese deve ritenersi caducata ex art. 336 c.p.c., comma 1, per il richiamato effetto espansivo interno (Cass., Sez. I, 25 settembre 2018, n. 22776), quale il capo relativo alle spese processuali (Cass., Sez. Lav., 18 giugno 2003, n. 9783; Cass., Sez. III, 21 giugno 2004, n. 11490), con conseguente onere di nuova liquidazione, anche di ufficio (Cass., Sez. III, 12 aprile 2018, n. 9064; Cass., Sez. Lav., 1 giugno 2016, n. 11423; Cass., Sez. VI, 18 marzo 2014, n. 6259), in relazione a ciascun grado di giudizio in relazione al quale è stato applicato il principio della soccombenza.

Nè può il giudice liquidare globalmente i compensi, ma deve procedere alla liquidazione distinguendo spese ed onorari in relazione a ciascun grado del giudizio, per consentire alle parti di controllare i criteri di calcolo adottati (Cass., Sez. VI, 28 luglio 2017, n. 18905; Cass., Sez. VI, 30 settembre 2016, n. 19623; Cass., Sez. Lav., 25 novembre 2011, n. 24890).

Nè, infine, può dubitarsi che il giudizio di rinvio costituisca, quanto alla fase rescissoria, una nuova fase processuale, distinta dalle precedenti (Cass., Sez. VI, 20 aprile 2017, n. 10009), come lo stesso ricorrente afferma nel sesto motivo di ricorso, per la quale occorre una liquidazione distinta rispetto a quella dell’appello in conseguenza dell’esito della lite.

3 – Il quarto motivo è infondato, non sussistendo nullità della sentenza in quanto il giudice del rinvio ha motivatamente fatto applicazione del principio della soccombenza (“le spese del giudizio di appello, di cassazione e di questo giudizio di rinvio devono essere poste a carico della SPA contribuente rimasta soccombente e liquidate nella misura complessiva precisata in dispositivo, tenuto conto della natura e del valore della controversia e dell’entità delle questioni trattate”).

4 – Il quinto motivo è inammissibile, perchè non viene esplicitato in che termini la motivazione della sentenza, riprodotta in relazione al punto precedente, avrebbe violato le suddette disposizioni, non essendo stato adempiuto dal ricorrente l’onere di evidenziare, in rapporto al valore della controversia, in relazione a quali parametri la quantificazione delle spese sarebbe incorsa nella violazione delle suindicate norme di legge. La liquidazione delle spese processuali rientra, difatti, nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunziate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali, con obbligo, in tal caso, di indicare a pena di inammissibilità del ricorso le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (Cass., Sez. VI, 19 novembre 2014, n. 24635; Cass., Sez. I, 4 luglio 2011, n. 14542).

5 – Quanto al settimo motivo, va preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità del motivo articolata da parte del controricorrente, ove sostiene che non sarebbe stata impugnata una statuizione autonoma della sentenza impugnata, secondo cui il credito non poteva essere conferito alla controllante, essendo stato conferito in un momento posteriore al primo gennaio dell’anno solare precedente la presentazione della liquidazione di gruppo. Per quanto la sentenza impugnata abbia rilevato la circostanza in fatto dalla quale il controricorrente trae l’eccezione di inammissibilità del motivo (l’acquisto dell’azienda della Fantasy Fashion nello stesso anno al quale si riferiva la liquidazione di gruppo), non ne ha tratto un autonomo punto di motivazione.

Il motivo è, in ogni caso, infondato, avendo la sentenza impugnata ritenuto che nell’atto impugnato sono contenuti gli elementi ritenuti idonei a sorreggere la pretesa impositiva e che all’atto impositivo sono allegati atti relativi alle società controllate. Nel qual caso, ove l’atto di accertamento riproduca conclusioni contenute in altri atti, non è illegittimo l’atto impositivo per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (Cass., Sez. V, 20 dicembre 2018, n. 32957).

6 – L’ottavo motivo è inammissibile in quanto, attraverso la allegazione di una errata considerazione di un elemento istruttorio (l’esame di contestazioni mosse nei confronti di soggetti terzi), invoca una diversa rivalutazione dell’accertamento circa il disconoscimento di un credito IVA di pertinenza di una società controllata. Il che non costituisce propriamente controllo di logicità del giudizio del giudice di merito, bensì revisione del ragionamento decisori ossia revisione dell’opzione che ha condotto il giudice del merito a una determinata soluzione della questione esaminata, giudizio che impinge nel giudizio di fatto, precluso al giudice di legittimità (Cass., Sez. I, 5 agosto 2016, n. 16526); così come si collocano sul piano del merito la delibazione e individuazione del materiale probatorio, valutazioni che spettano al giudice del merito (Cass., Sez. Lav., 7 giugno 2013, n. 14463), nonchè essendo consolidato nella giurisprudenza della Corte che il principio del libero convincimento di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c., è situato interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940), salvo che si deduca che il giudice del merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o abbia disatteso, valutandole secondo prudente apprezzamento, prove legali (Cass., VI, 17 gennaio 2019, n. 1229).

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso, condanna il ricorrente NUOVA SO.FI.A. SRL IN A.S. al pagamento delle spese processuali in favore dell’AGENZIA DELLE ENTRATE, che liquida in complessivi Euro 20.000,00 oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

 

 

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