Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25605 del 27/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 27/10/2017, (ud. 25/05/2017, dep.27/10/2017),  n. 25605

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14932-2016 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

R.S., + ALTRI OMESSI

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositato il

15/12/2015 (R.G. 629/15);

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/05/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA.

Fatto

IN FATTO

Con decreto del 15.12.2015 la Corte d’appello di Firenze accoglieva l’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter proposta dagli odierni intimati, meglio indicati in epigrafe, contro il decreto emesso dal consigliere designato, ai sensi dell’art. 3 stessa legge, che aveva accolto parzialmente la loro domanda in relazione alla durata irragionevole di un precedente procedimento, anch’esso di equa riparazione. Pertanto, condannava il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 2.400,00 a titolo di equo indennizzo.

Per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, la Corte fiorentina riteneva inammissibile l’eccezione sollevata dal Ministero, che aveva sostenuto l’applicabilità al procedimento presupposto del termine triennale di durata ragionevole previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 2-bis e 2-ter, in quanto detta Amministrazione avrebbe dovuto a sua volta proporre opposizione nel termine perentorio di 30 gg.

Per la cassazione di tale decreto ricorre il Ministero della Giustizia, sulla base di un motivo.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis c.p.c., comma 1 inserito, a decorrere dal 30 ottobre 2016, dal D.L.31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f), convertito, con modificazioni, in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo di ricorso il Ministero della Giustizia deduce la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter in relazione al n. 3 (rette, 4) dell’art. 360 c.p.c.. Essendo stata accolta parzialmente la domanda all’esito della fase monitoria, il Ministero non è stato destinatario della notifica del decreto, sicchè il termine di opposizione non è mai iniziato a decorrere. Non solo, ma sarebbe stata ad ogni modo ammissibile l’impugnazione incidentale tardiva, normalmente ammessa dalla giurisprudenza nei procedimenti camerali, come quello di opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter.

2. – Il ricorso va respinto, anche se per ragioni diverse da quelle poste a base del provvedimento impugnato, la cui motivazione va dunque corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

2.1. – E’ ben vero, infatti, che nel procedimento di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, in caso di mancata notificazione all’amministrazione del decreto emesso dal presidente della corte d’appello, o dal magistrato da questo delegato, la stessa amministrazione, convenuta in sede di opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter dal ricorrente, il quale si dolga dell’accoglimento parziale della domanda, può limitarsi ad eccepire l’integrale infondatezza della pretesa di indennizzo e la violazione dell’art. 2-bis della medesima legge, senza necessità di proporre opposizione in via incidentale (Cass. n. 16110/15).

Soluzione, quest’ultima, necessitata dall’accoglimento parziale della domanda in sede monitoria, situazione che pone il ricorrente dinanzi all’alternativa tra la notifica di detto provvedimento, con conseguente acquiescenza alla pronunzia di rigetto parziale della domanda in esso contenuta, e la proposizione dell’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter onde ottenere il riconoscimento dei capi di domanda non accolti, senza tuttavia procedere, in tal caso, alla notificazione del ricorso e del decreto – che renderebbe improponibile l’opposizione stessa – e dovendo, piuttosto, depositare l’atto di opposizione nel termine ex art. 5-ter, comma 1, della legge citata (v. Cass. n. 187/17).

2.2. – Tuttavia, l’applicabilità della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-ter come introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, anche ai procedimenti di equa riparazione, è ormai esclusa dalla dichiarazione d’illegittimità costituzionale di detta norma, nella parte in cui si applica(va) alla durata del processo di primo grado, giusta Corte cost. n. 36/16.

Infatti, in base a quest’ultima pronuncia del giudice delle leggi, è costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 111 Cost., comma 2 e art. 117 Cost., comma 1, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 2-bis, nella parte in cui – stabilendo che il termine è considerato ragionevole se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado – si applica alla durata del primo e unico grado di merito del processo previsto dalla citata legge per assicurare un’equa riparazione a chi abbia subito un danno conseguente all’irragionevole durata di un (altro, precedente) processo. Per consolidata giurisprudenza europea, lo Stato è tenuto a concludere il procedimento volto all’equa riparazione del danno da ritardo maturato in altro processo in termini più celeri di quelli consentiti nelle procedure ordinarie, che nella maggior parte dei casi sono più complesse e, comunque, non sono costruite per rimediare ad una precedente inerzia nell’amministrazione della giustizia. L’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo preclude al legislatore nazionale, che abbia deciso di disciplinare legalmente i termini di ragionevole durata dei processi ai fini dell’equa riparazione, di consentire una durata complessiva del procedimento regolato dalla L. n. 89 del 2001 pari a quella tollerata con riguardo agli altri procedimenti civili di cognizione, anzichè modellarla sul calco del più breve termine biennale indicato dalla Corte di Strasburgo e recepito dalla giurisprudenza nazionale, in caso di celebrazione sia del grado di merito che di quello di legittimità. Pertanto, la disposizione impugnata, imponendo di considerare ragionevole la durata del procedimento di primo grado regolato dalla L. n. 89 del 2001, quando la stessa non eccede i tre anni, viola i predetti parametri, posto che questo solo termine comporta che la durata complessiva del giudizio possa essere superiore al limite biennale adottato dalla Corte europea e dalla giurisprudenza nazionale per un procedimento regolato da tale legge, che si svolga invece in due gradi.

3. – Il ricorso va, pertanto, respinto.

4. – Nulla per le spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

5. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del contributo unificato, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

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