Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25605 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 12/11/2020, (ud. 26/06/2019, dep. 12/11/2020), n.25605

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23302 del ruolo generale dell’anno 2015

proposto da:

Sicor s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Mariarita Giommoni per procura

speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, via

Appia Nuova, n. 612, presso lo studio dell’Avv. Silvia Denora;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Toscana, n. 346/13/2015, depositata in data 19

febbraio 2015;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 giugno 2019

dal Consigliere Triscari Giancarlo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale Pedicini Ettore, che ha concluso chiedendo il rigetto del

primo motivo e l’accoglimento del secondo motivo di ricorso;

udito per la società l’Avv. Maria Rita Giommoni.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: Sicor s.r.l. aveva presentato una istanza di rimborso del credito Iva infrannuale relativo all’acquisto dalla società Sime s.r.l. di un immobile adibito ad uso industriale; l’Agenzia delle entrate non aveva dato seguito alla suddetta istanza, con conseguente formazione del silenzio-rifiuto; avverso il silenzio-rifiuto dell’amministrazione finanziaria la società contribuente aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Arezzo; avverso la sentenza del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello.

La Commissione tributaria regionale della Toscana ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: non aveva nessuna rilevanza ai fini della decisione l’esito del giudizio relativo all’avviso di accertamento che l’amministrazione finanziaria aveva emesso nei confronti della società contribuente, dopo la pronuncia di primo grado, tanto più l’annullamento era stato disposto solo per ragioni formali; alla luce dei fatti emersi e della documentazione prodotta in appello, era assorbente e decisivo, al fine di escludere la sussistenza del diritto al rimborso, il fatto che la società contribuente non aveva corrisposto l’Iva alla venditrice, che neppure la società venditrice aveva provveduto a versare l’Iva e, infine, che la società venditrice aveva una compagine societaria identica a quella della società acquirente.

Sicor s.r.l. ha, quindi, proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a due motivi di censura.

L’Agenzia delle entrate è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4), per difetto di motivazione della sentenza, avendo prima escluso la rilevanza dell’esito dell’altro giudizio, avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento notificato alla contribuente, e poi, comunque, fondato la decisione proprio sul contenuto del medesimo atto impositivo.

Il motivo è infondato.

Questa Corte (Cass. civ., 23 novembre 2018, n. 30346) ha più volte precisato che “In tema di ricorso per cassazione, è integrata l’ipotesi di assoluta carenza di motivazione, quando la sentenza, in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp att. c.p.c., comma 1, manca delle argomentazioni atte a palesare le ragioni della decisione, perchè una siffatta carenza, incidendo sul modello della sentenza descritto da tali disposizioni, costituenti attuazione del principio costituzionale secondo il quale tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati, ne determina la nullità, prevista come motivo di ricorso per cassazione dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

Nella fattispecie, il giudice del gravame si è pronunciato sulla questione della sussistenza del diritto della contribuente a ricevere il rimborso del credito Iva, fondando la decisione sulla circostanza, ritenuta decisiva, che dalla documentazione prodotta in appello si evinceva che nè la contribuente nè la società venditrice aveva versato l’Iva, oltre che sussisteva una identità della compagine societaria delle stesse società.

L’affermazione, contenuta in sentenza, della rilevanza dei fatti emersi in appello trova specifico riferimento in quanto contenuto in premessa nella stessa sentenza, in particolare sul fatto che, con un successivo avviso di accertamento, l’Agenzia delle entrate aveva contestato un presunto abuso del diritto relativamente alla operazione di compravendita per non avere la Sicor s.r.l. saldato totalmente la venditrice Sime s.r.l. entro il 16.03.2010.

Sicchè, sulla questione, quindi, posta alla sua attenzione, il giudice del gravame ha chiaramente illustrato il percorso logico seguito, non potendosi, quindi, seguire la linea difensiva di parte ricorrente di nullità della sentenza.

Nè è data rilevare la ritenuta illogicità della sentenza, come invece prospettato dalla ricorrente, tenuto conto del fatto che il giudice del gravame ha chiaramente precisato che non aveva alcuna rilevanza il fatto che in altro giudizio, pendente presso altra Commissione tributaria e avente ad oggetto l’impugnazione del successivo avviso di accertamento, era stato annullato l’atto impositivo, posto che il giudice del gravame ha precisato che l’avviso di accertamento era stato annullato per ragioni formali, sicchè ha comunque tenuto conto delle circostanze di fatto evidenziate con il suddetto atto;

in tal modo, il giudice del gravame ha chiaramente mostrato di volere comunque utilizzare, ai fini del decidere, quanto contenuto nel suddetto atto impositivo, quale produzione documentale offerta alla sua attenzione.

Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, comma 2, per avere erroneamente ritenuto che, la circostanza del mancato pagamento dell’Iva da parte sia della società contribuente che della società venditrice, potesse escludere il diritto al rimborso dell’Iva, dovendosi, invece, interpretare la disciplina normativa in esame alla luce del principio unionale di neutralità dell’Iva.

Il motivo è infondato.

Lo stesso, invero, non coglie la ratio decidendi della pronuncia censurata, la quale, ha chiarito, come già osservato in sede di esame del primo motivo di ricorso, che la decisione era resa alla luce dei fatti emersi e della documentazione prodotta in questo grado di giudizio, cioè tenuto conto del fatto che la ragione del diniego del rimborso dell’Iva era da ricondursi alla sussistenza di un abuso del diritto relativamente all’operazione per la quale era stato chiesto il suddetto rimborso.

Sicchè, è sulla base di tale premessa, innestata sulla contestazione di un comportamento abusivo, che il giudice del gravame ha, quindi, evidenziato che non aveva rilevanza il fatto che la ricorrente stava provvedendo a estinguere il proprio debito e che, in secondo luogo, assumeva rilievo il fatto che nè la società acquirente nè quella venditrice aveva versato l’Iva e, infine, che la compagine societaria delle due società risultava identica.

Così delineata, quindi, la ratio decidendi della sentenza censurata, il motivo di ricorso in esame non risulta ad essa conferente.

In realtà, parte ricorrente orienta la ragione di doglianza unicamente sul profilo del contrasto della pronuncia in esame con la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, laddove ha ritenuto che il rimborso Iva non può essere riconosciuto quando non sia stato accertato l’avvenuto pagamento.

E’ vero, come sostiene parte ricorrente, che il sistema comune dell’IVA mira a garantire la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, a condizione che tali attività siano soggette all’imposta, sgravando interamente l’imprenditore, attraverso il meccanismo della detrazione, dall’onere dell’IVA “dovuta od assolta” (Corte di Giustizia UE, 8 maggio 2019, En. Sa., C-712/17, punto 30; Corte di Giustizia UE, 29 ottobre 2009, NCC Construction Danmark, C-174/08, punto 27; Corte di Giustizia UE, 22 dicembre 2010, S DeutschlandHoldings, C-277/09, punto 38).

In questo contesto, questa Corte ha, altresì, precisato che il diritto del cessionario di beni alla detrazione di cui al D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, è esercitabile indipendentemente dall’effettivo pagamento del tributo da parte del cedente e dal versamento a quest’ultimo di pari importo, in via di rivalsa, da parte del cessionario” (Cass. civ., 15 gennaio 2014, n. 662).

Questo ulteriore profilo, relativo alla irrilevanza dell’effettivo pagamento, è stato precisato dalla Corte di giustizia che, con la pronuncia 29 marzo 2012 (causa c-414/10, Veleclair SA), ha avuto modo di chiarire che l’art. 17, paragrafo 2, lettera b), della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, deve essere interpretato nel senso che esso non consente ad uno Stato membro di subordinare il diritto a detrazione dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione all’effettivo previo pagamento di detta imposta da parte del soggetto passivo, qualora quest’ultimo sia del pari il titolare del diritto a detrazione.

Tuttavia, preme evidenziare che, con la suddetta pronuncia, la Corte di giustizia ha, altresì, precisato che la lótta contro la frode, l’evasione fiscale e gli eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e promosso dalla sesta direttiva, sicchè tocca a chi chiede la detrazione dell’Iva provare che ricorrono i presupposti per fruirne e l’amministrazione tributaria, qualora constati che il diritto a detrazione sia stato esercitato fraudolentemente, è autorizzata a chiedere, retroattivamente, il rimborso delle somme detratte. E’ compito peraltro del giudice nazionale negare il beneficio del diritto a detrazione se è provato, alla luce di elementi oggettivi del fascicolo, che lo stesso diritto è invocato fraudolentemente (v., in particolare, sentenza Kittel e Recolta Recycling, cit., punti 54 e 55 nonchè giurisprudenza ivi citata).

Ciò posto, non è conferente con la ratio della decisione il motivo di ricorso in esame con il quale si prospetta la sussistenza del diritto al rimborso dell’Iva a prescindere dall’effettivo versamento della stessa.

Lo stesso, sebbene in astratto corretto, non tiene conto del fatto che la decisione censurata ha negato il diritto al rimborso dell’Iva tenendo conto della documentazione sopravvenuta in giudizio, in particolare dell’accertamento con il quale, relativamente alla operazione in esame, si era contestato l’abuso utilizzo del diritto in esame e, sulla base del suddetto presupposto, il giudice del gravame ha ritenuto che i fatti riscontrati erano riconducibili a tale prospettazione.

Nessuna specifica doglianza, invero, è stata prospettata dalla ricorrente in ordine a tale ragione della decisione, sostanzialmente incentrata sul comportamento fraudolento della società e dunque basata su presupposti diversi da quelli presi in considerazione dalla ricorrente con il presente motivo.

In conclusione, i motivi sono infondati, con conseguente rigetto del ricorso. Nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione della intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

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