Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2560 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. I, 04/02/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 04/02/2020), n.2560

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – rel. Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34195/2018 proposto da:

R.M., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Mazzini n.

8, presso lo studio dell’avvocato Salvatore Fachile che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Daniele Valeri;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno domiciliato per legge in Roma Via Dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 17/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/12/2019 dal Cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Ancona, con decreto pubblicato il 25 ottobre 2018, respinge il ricorso proposto da R.M., cittadino del Bangladesh, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente non ha allegato di essere affiliato politicamente o di aver preso parte ad attività di associazioni per i diritti civili, nè di appartenere ad una minoranza etnica e/o religiosa oggetto di persecuzione come richiesto per la protezione internazionale nè lo stesso risulta compreso nelle categorie di persone esposte a violenze, torture o altre forme di trattamento inumano;

b) pertanto, i fatti riferiti non sono riconducibili alle previsioni della Convenzione di Ginevra, in quanto dal racconto dell’interessato non risulta che egli corra il rischio di atti persecutori diretti e personali come richiesti;

c) neppure sussistono i presupposti per la protezione sussidiaria, visto che le notizie raccolte da aggiornate fonti internazionali affidabili evidenziano che la generica gravità della situazione socio-economica del Bangladesh e la mancata possibilità di esercitare le libertà democratiche non si traducono in timori di grave persecuzione per il richiedente nè possono dirsi presenti situazioni di violenza indiscriminata o di conflitto armato – pur nell’ampia accezione indicata dalla giurisprudenza – che possano coinvolgere il ricorrente non si registrandosi una situazione tale per cui la sola presenza dei civili metta in pericolo la loro vita o la loro incolumità;

d) peraltro le dichiarazioni del ricorrente anche laddove credibili restano confinate nei limiti di una vicenda della vita privata avente carattere soltanto economico atteso che, anche dal ricorso, emergono esclusivamente timori relativi all’impossibilità di mantenere economicamente la famiglia d’origine che vive in Bangladesh e all’incapacità di pagare il debito contratto per espatriare;

e) neppure può essere concessa la protezione umanitaria perchè la situazione del Paese di provenienza esclude la sussistenza di una condizione di elevata vulnerabilità all’esito del rimpatrio, le condizioni individuali di vulnerabilità rappresentate dal ricorrente non consentono da sole il rilascio del permesso per motivi umanitari e, d’altra parte, dai documenti prodotti non emerge alcuno sforzo serio compiuto dall’interessato per una effettiva integrazione nel tessuto socio-economico nazionale, non potendo bastare la sola titolarità di un rapporto di lavoro;

f) nè la problematica di salute evidenziata dal ricorrente giustifica, da sola, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, visto che l’interessato è stato finora iscritto al SSN e, comunque, non è in pericolo di vita nè necessita di farmaci ritenuti indisponibili nel Paese di origine inoltre il rigetto del permesso di soggiorno per motivi umanitari non impedisce al richiedente di chiedere permessi specifici per la tutela della propria salute;

3. il ricorso di R.M., illustrato da memoria, domanda la cassazione del suddetto decreto per sei motivi;

4. il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il ricorso è articolato in sei motivi;

1.1. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, motivazione soltanto apparente o perplessa del decreto impugnato nel suo complesso, con violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, che rende impossibile l’individuazione delle rationes decidendi;

1.2. con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per inadeguata valutazione degli elementi di fatto e di diritto posti a base della domanda e per mancata applicazione da parte del Tribunale dei principi in materia di attenuazione dell’onere della prova;

1.3. con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3, per avere il Tribunale seguito l’orientamento ermeneutico – non condiviso dal ricorrente – secondo cui diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3;

1.4. con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e segg., in riferimento al mancato riconoscimento dello status di rifugiato che sarebbe stato disposto senza considerare che il ricorrente ha espresso il timore di essere perseguitato in caso di rientro nel Paese di origine perchè facente parte di un gruppo sociale determinato cioè quello delle persone non abbienti spesso spinte dalla povertà a contrarre debiti di importi molto superiori alle loro possibilità economiche;

1.5. con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in riferimento al mancato riconoscimento della sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, avendo il ricorrente espresso chiaramente di avere fondato timore di non riuscire a mantenere economicamente la propria famiglia d’origine che vive in Bangladesh e di riuscire a pagare il debito contratto per espatriare;

1.6. con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per avere il Tribunale respinto la domanda del richiedente volta ad ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari senza dare la dovuta considerazione alla situazione attuale del Paese di provenienza dell’interessato, alla vita che egli dovrebbe ivi svolgere in caso di rimpatrio e alla stabile attività lavorativa svolta dall’istante;

2. l’esame congiunto dei motivi di censura – reso opportuno dalla loro intima connessione – porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, per le ragioni di seguito esposte;

2.1. in linea generale va rilevato che le censure proposte, nella sostanza, si risolvono nella denuncia, di per sè inammissibile, di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti sulla cui base sono state respinte le domande di protezione internazionale e di protezione umanitaria, esse pertanto finiscono con l’esprimere un mero – e, di per sè, inammissibile – dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze processuali effettuate dal Tribunale a proposito della condizione personale del ricorrente sulla base sia dei dati tratti da fonti accreditate sia delle dichiarazioni dell’interessato;

3. in particolare, poi, risulta del tutto inammissibile per genericità la censura – proposta nel primo motivo e che ha un ruolo centrale nel ricorso – di motivazione apparente del decreto impugnato con riguardo al rigetto delle domande di protezione internazionale e di protezione umanitaria;

3.1. invero, in base alla costante giurisprudenza di legittimità, la “motivazione apparente” ricorre allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente – come parte del documento in cui consiste la sentenza (o altro provvedimento giudiziale) – non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice. In questo senso possono citarsi numerose pronunce che convergono nella indicata nozione, talora variamente accentuandone i diversi elementi (ex plurimis, Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009; n. 4488 del 2014; sezioni unite n. 8053 e n. 19881 del 2014);

3.2. nella specie sia per quel che riguarda il rigetto della protezione internazionale sia per quanto si riferisce al rigetto della protezione umanitaria non è ipotizzabile il vizio denunciato perchè entrambe le statuizioni risultano sostenute da una chiara – ancorchè sintetica – motivazione;

3.3. nel primo caso, risulta chiaramente che è stata esclusa la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione internazionale per la principale ragione secondo cui si è ritenuto che le dichiarazioni del ricorrente anche laddove credibili restano confinate nei limiti di una vicenda della vita privata avente carattere soltanto economico atteso che, anche dal ricorso, emergono esclusivamente timori relativi all’impossibilità di mantenere economicamente la famiglia d’origine che vive in Bangladesh e all’incapacità di pagare il debito contratto per espatriare;

3.4. la suddetta statuizione è sufficiente a dimostrare l’insussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’invocata cooperazione istruttoria officiosa e quindi per la stessa applicazione delle norme richiamate, visto che esclude in radice la concedibilità della protezione internazionale, in quanto coloro che emigrano per migliorare la situazione economica propria e della propria famiglia possono avere ingresso nel nostro Paese attraverso l’applicazione della diversa disciplina basata sulla periodica regolamentazione dei flussi migratori (vedi, per tutte: Cass. 17 maggio 2019, n. 13444);

3.5. d’altra parte, è altrettanto chiaro che il rigetto della protezione umanitaria è stato disposto per mancanza di elementi da cui desumere che l’interessato versi in una delle ipotesi di vulnerabilità rilevanti per la suddetta forma di protezione, non essendo stata neanche dimostrata, in modo specifico, l’avvenuta integrazione e stabilizzazione in Italia, non essendo sufficiente allo scopo la sola titolarità di un rapporto di lavoro;

3.6. nella descritta situazione la suddetta censura di “motivazione apparente” è da considerare senz’altro inammissibile, in quanto la motivazione contenuta nel decreto impugnato, con riguardo alle statuizioni contestate, risulta dotata della concisa esposizione sia delle ragioni di fatto della decisione (descrizione sintetica della fattispecie esaminata) sia delle ragioni di diritto delle decisioni stesse, cioè di una esposizione logica e adeguata al caso di specie che consente di cogliere l’iter logico-giuridico seguito e comprendere se le tesi prospettate dalle parti siano state tenute presenti nel loro complesso;

3.7. si tratta, quindi, di una motivazione che non corrisponde affatto alla suindicata nozione di “motivazione apparente”, alla quale il ricorrente fa riferimento nel tentativo di ottenere in questa sede una diversa valutazione delle risultanze processuali effettuate dal Tribunale a proposito della condizione personale del ricorrente, senza contestare utilmente, da un lato, la configurata motivazione dell’emigrazione del richiedente come di tipo meramente economico e dall’altro la affermata carenza dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria rilevate dal Tribunale;

3.7. infatti, nel presente ricorso le suddette affermazioni non risultano contestate in modo specifico e in conformità con quanto disposto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis (vedi, per tutte: Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340) – mentre, con riguardo sia alla protezione internazionale sia a quella umanitaria, ci si limita a sviluppare argomentazioni che sono impropriamente incentrate esclusivamente sulle difficili condizioni economiche nelle quali il ricorrente potrebbe trovarsi in caso di rimpatrio;

3.8. invece, come si è detto simili difficoltà sono, di per sè sole, estranee all’ambito di applicazione della protezione internazionale, per la quale è pertanto irrilevante che il richiedente possa trovarsi ad essere compreso tra le persone non abbienti, visto che l’appartenenza ad un simile gruppo sociale può rilevare soltanto se si dimostra che essa viene ad incidere sul godimento dei diritti umani fondamentali dell’interessato o sulla sua sicurezza, elementi che qui non vengono illustrati;

3.9. d’altra parte, per analoghe ragioni, ai fini della protezione umanitaria, come affermato dal Tribunale non può bastare la sola titolarità di un rapporto di lavoro – sulla quale si incentrano le argomentazioni del ricorrente – in quanto tale forma di protezione può essere concessa in presenza di effettive condizioni di vulnerabilità che non siano di carattere prettamente economico (Cass. 17 dicembre 2019, n. 33484 nonchè Cass. n. 3681 del 2019 e Cass. n. 27336 del 2018);

3.10 che, pertanto, nel ricorso si esprime, in definitiva, un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e si invoca, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse;

3.11. di qui l’inammissibilità delle censure configurate (nel quarto, quinto e sesto motivo) come vizi di violazione di norme di diritto, visto che la deduzione di tale vizio, consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione), postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicchè è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (vedi, per tutte: Cass. 13 marzo 2018, n. 6035);

4. a ciò va aggiunto (con riguardo al secondo motivo) che è inammissibile la censura relativa all’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito mentre risulta impropria l’invocazione dell’attivazione dei poteri istruttori officiosi visto che la vicenda narrata è risultata estranea al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), e questa Corte è già reiteratamente intervenuta a chiarire che il “ruolo attivo” nell’istruttoria della domanda che (l’autorità amministrativa e) il giudice del merito sono chiamati a svolgere in base al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in particolare comma 5, si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, visto che l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, essendo il richiedente tenuto a presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio;

4.1. pertanto, come ribadito anche di recente, soltanto se il richiedente il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto l’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, può sorgere il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (quale quella di cui al D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c: Cass. 28 giugno 2018, n. 17069; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016);

4.2. questo è l’unico ambito nel quale, una volta assolto l’onere di allegazione da parte dell’interessato, il giudice può esercitare il suddetto “ruolo attivo” istruttorio, che può tradursi nell’acquisizione officiosa degli elementi ritenuti necessari in tale ambito, mentre la suddetta cooperazione istruttoria del giudice non può riguardare le individuali condizioni del soggetto richiedente;

4.3. sicchè, all’evidenza, è da escludere l’invocazione dell’anzidetto ruolo attivo istruttorio del giudice laddove le dichiarazioni siano state considerate non sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503) oppure generiche e contraddittorie o addirittura tali da evidenziare che le motivazioni della emigrazione del ricorrente siano solo di tipo economico, come si verifica nella specie e non viene utilmente contestato nel ricorso;

5. infine, in base a quanto rilevato al precedente punto 3.11, va considerata inammissibile anche la censura di violazione dell’art. 10 Cost., comma 3 (di cui al terzo motivo) in quanto il ricorrente si limita ad esprimere il proprio dissenso rispetto all’orientamento ermeneutico seguito dal Tribunale a proposito dell’intera attuazione del diritto di asilo è attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 e del D.Lgs.n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, che è ormai consolidato (per la situazioni tuttora disciplinate per la protezione umanitaria dal suddetto art. 5, comma 6) nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. 26 giugno 2012, n. 10686; Cass. 4 agosto 2016, n. 16362; Cass. 19 aprile 2019, n. 11110), orientamento che il Collegio condivide e che viene contestato dal ricorrente sempre muovendo dall’erronea premessa secondo cui il diritto di asilo dovrebbe essere riconosciuto anche nelle ipotesi di emigrazione motivata da ragioni esclusivamente economiche, come si verifica nella specie;

6. in sintesi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

7. le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

8. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, ove il versamento ivi previsto risulti dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate Euro 2100,00 (duemilacento/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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