Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 256 del 09/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/01/2020, (ud. 23/05/2019, dep. 09/01/2020), n.256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26264/2017 R.G. proposto da:

A.M.T. e A.C.R., rappresentati e difesi

dall’Avv. Bruno Ganino, con domicilio eletto in Roma, via delle

Milizie, n. 221, presso lo studio dell’Avv. Raffaele Bava;

– ricorrenti –

contro

Azur Energy S. Giuseppe S.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv.

Ferdinando Pietropaolo, con domicilio eletto in Roma, Via Stefano

Longanesi, n. 19, presso lo studio dell’Avv. Carmelo Russo;

– controricorrente –

e nei confronti di

M.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Domenico

Colaci, con domicilio eletto in Roma, via E. Q. Visconti, n. 55,

presso lo studio dell’Avv. Maria Giuseppina Lo Iudice;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro, n. 1545/2016,

depositata il 30 settembre 2016;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 maggio

2019 dal Consigliere Dott. Iannello Emilio.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da A.S., A.M.T. e A.C.R. di condanna della società Azur Energy S. Giuseppe S.r.l. e di M.S. al risarcimento dei danni subiti da terreno di loro proprietà e dal fabbricato ivi insistente.

Ha infatti ritenuto, da un lato, non provato il nesso causale tra la condotta ascritta ai convenuti e i danni lamentati, dall’altro, non apprezzabile l’esistenza di un danno risarcibile, stante il carattere abusivo dell’immobile.

2. Avverso tale sentenza A.M.T. e A.C.R., in proprio e quali eredi dei genitori A.R. e M.M., propongono ricorso per cassazione, con unico mezzo, cui resistono entrambi gli intimati, depositando controricorsi.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c..

Considerato che:

1. Con l’unico motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 3,24,111 e 113 Cost. e dell’art. 1, Prot. 1, CEDU.

Sulla premessa che “non è dubbio che i negligenti lavori di sbancamento ed accumulo di materiale di risulta a monte dei luoghi interessati sono da ritenersi la causa principale dei danni sofferti”, lamentano i ricorrenti che la Corte catanzarese ha fatto malgoverno “dei principi normativi e giurisprudenziali” in base ai quali avrebbe dovuto darsi rilievo al semplice dato della ingiustizia del danno: presupposto che – assumono – non poteva considerarsi mancante per il carattere abusivo dell’immobile e che, quanto meno, andava identificato nella perdita dei materiali impiegati e nei costi di rimozione dei detriti.

2. Il ricorso si espone ad un preliminare e assorbente rilievo di inammissibilità perchè carente del requisito di contenuto-forma prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Risulta invero pressochè totalmente assente l’esposizione sommaria dei fatti, ivi richiesta a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, allo scopo di garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. Sez. U. 18/05/2006, n. 11653).

La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. Sez. U. 20/02/2003, n. 2602).

Stante tale funzione, per soddisfare detto requisito è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata.

Nel caso di specie tali requisiti sono del tutto disattesi.

Il fatto costitutivo della pretesa è infatti descritto nei seguenti testuali termini:

I ricorrenti hanno proposto azione per il risarcimento dei danni subiti a causa di un evento dannoso verificatosi in conseguenza di improvvidi lavori attinenti la realizzazione di un impianto idroelettrico, avvenuto in particolare anche tramite l’accumulo di detriti in un’area soprastante a quella in cui era situato un fabbricato abusivo di proprietà degli stessi, che caduti a valle danneggiavano questo e le sue relative aree pertinenziali;

Seguono brevi cenni sul contenuto, favorevole, della sentenza di primo grado e su quello, contrario, della sentenza d’appello.

In tal modo risulta sostanzialmente impedita una minimamente esaustiva comprensione dei fatti di causa, delle domande introduttive, delle difese ed eccezioni ad esse opposte, delle ragioni in fatto e diritto poste a fondamento delle une e delle altre, delle ragioni stesse della decisione impugnata.

Nè maggiori lumi è dato trarre, in particolare quanto alle cause e alle modalità dell’evento dannoso, dalla illustrazione del motivo di ricorso.

3. Indipendentemente da tale preliminare e assorbente rilievo può comunque altresì rilevarsi l’inammissibilità della censura svolta.

3.1. Anzitutto per la evidente sua aspecificità.

Essa infatti investe solo una delle due, autonome e di per sè autosufficienti, rationes decidendi: quella rappresentata dalla ritenuta insussistenza di una perdita patrimoniale apprezzabile quale danno risarcibile; non tocca invece – se non mediante una mera incidentale e del tutto apodittica asserzione contraria, priva di alcun rilievo censorio -l’altra principale ratio rappresentata dalla ritenuta insussistenza di nesso causale tra le condotte attribuite ai convenuti e l’evento dannoso.

3.2. Il motivo peraltro non spiega in alcun modo la dedotta violazione delle norme costituzionali.

La sua prospettazione si appalesa dunque, sotto tale profilo, del tutto generica e tale da impingere in inammissibilità per difetto di specificità alla stregua del consolidato principio di diritto di cui a Cass. 04/03/2005, n. 4741, seguita da numerose conformi e da ultimo avallato da Cass. Sez. U. 20/03/2017, n. 7074 del 2017, (“Il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorchè la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156 c.p.c., comma 2). Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 c.p.c., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorchè la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo”).

La successiva illustrazione si risolve poi, in realtà, in una mera contestazione della ricognizione del fatto con la sollecitazione di una nuova valutazione di merito, circa la sussistenza di un apprezzabile pregiudizio patrimoniale, certamente preclusa in questa sede.

4. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore di entrambi i controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno, in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 9 gennaio 2020

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