Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25599 del 27/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 27/10/2017, (ud. 27/02/2017, dep.27/10/2017),  n. 25599

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19531-2013 proposto da:

B.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ROMEO ROMEI 23, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO LETO,

rappresentato difeso dall’avvocato GIANCARLO MUROLO;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA REGGIO CALABRIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1174/2013 del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA,

depositata il 18/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/02/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO LUCIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nei confronti del ricorrente è stata emessa ordinanza-ingiunzione a pagare 3.000 Euro per aver emesso quattro assegni bancari privi di provvista.

B.M. ha presentato opposizione al Giudice di pace di Reggio Calabria facendo tra l’altro valere il difetto di notificazione dell’originaria contestazione; l’opposizione è stata rigettata.

La sentenza è stata impugnata da B. davanti al Tribunale di Reggio Calabria, che – con pronuncia del 18 giugno 2013 – ha rigettato l’impugnazione e confermato la sentenza impugnata.

B. propone ricorso in cassazione.

La Prefettura di Reggia Calabria resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso – articolato in due motivi, che rispettivamente lamentano la violazione della L. n. 386 del 1990, art. 8-bis, comma 3 e della L. n. 689 del 1981, art. 14 – prospetta un’unica doglianza, già formulata in sede di opposizione e di appello:

– la notificazione della contestazione della violazione è nulla ovvero inesistente in quanto è stata effettuata non presso la residenza del ricorrente, ma presso la sede del “Consorzio Fata Morgana”, obbligato in solido rispetto alla sanzione, ma soggetto distinto dal ricorrente, sia pure legale rappresentante dello stesso Consorzio;

– il vizio non è stato sanato dalla tempestiva proposizione della opposizione, in quanto tale sanatoria vale per la notificazione dell’ordinanza-ingiunzione, ma non per la notificazione della violazione.

La doglianza è priva di fondamento. Precisato che il vizio comporta la nullità e non l’inesistenza dell’atto (circa la delimitazione della categoria dell’inesistenza della notificazione cfr. la pronuncia delle sezioni unite 14917/2016), esso è da ritenersi sanato a seguito della, tempestiva, proposizione della opposizione all’ordinanza ingiunzione: la L. n. 386 del 1990, art. 8-bis, comma 3, prescrive infatti che la notificazione degli estremi della violazione avvenga secondo la L. n. 689 del 1981, art. 14 che a sua volta, circa la notificazione, al comma 4 richiama le modalità previste dal codice di procedura civile, rendendo quindi applicabile l’art. 156 c.p.c. circa la sanatoria della nullità nel caso di raggiungimento dello scopo dell’atto (cfr. Cass. n. 20975/2014).

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza (dato che la condanna è pronunciata a favore di un’amministrazione dello Stato – nei cui confronti vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario riguardo alle spese vive la condanna è limitata al rimborso delle spese prenotate a debito, cfr. Cass. 5028/2000).

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore di parte controricorrente che si liquidano in Euro 700 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda Sezione Civile, il 27 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

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