Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25599 del 14/12/2016


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Cassazione civile, sez. III, 14/12/2016, (ud. 28/09/2016, dep.14/12/2016),  n. 25599

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta rel. Consiglie – –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11503/2015 proposto da:

L.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIROLAMO

BOCCARDO 26/A, presso lo studio dell’avvocato GENNARO PREDELLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO MONTERISI, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.V., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PIETRO CARROZZINI, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1545/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata in data 13/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/09/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito l’Avvocato VINCENZO MONTERISI;

udito l’Avvocato PIETRO CARROZZINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott

SGROI Carmelo, che ha concluso per raccoglimento del primo motivo,

assorbito il secondo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 7 aprile 2006 L.T. e Ci.Za., deducendo il mancato pagamento del canone di giugno 2004, pari ad Euro 620,00, del canone di marzo 2006, pari ad Euro 653,00, degli arretrati ISTAT 2002, 2003, 2004 e 2005 nonchè delle quote condominiali, per complessivi Euro 2.695,21, intimarono sfratto per morosità a C.V., conduttore dell’immobile adibito ad officina e di cui erano rispettivamente nudo proprietario e usufruttuaria, e convennero il C. dinanzi al Tribunale di Bari per la convalida dello sfratto intimato e comunque per sentir risolvere il contratto per inadempimento del conduttore.

Il C. sì costituì deducendo di aver corrisposto i canoni relativi ai mesi di giugno 2004 e marzo 2006, rappresentò che nel 2001 il canone, pattuito nel 1998 in Lire 1.000.000, era stato elevato a Lire 1.200.000 in base all’accordo di integrare il contratto con la concessione del piano interrato ad uso deposito, accordo poi non perfezionato; sostenne che, pertanto, le maggiorazioni ISTAT erano dovute sul canone di Lire 1.000.000; dedusse altresì che le note relative alle spese condominiali evidenziavano le quote a carico del conduttore e quelle a carico del proprietario e propose domanda riconvenzionale in relazione alle somme corrisposte, a suo avviso, in eccedenza rispetto al canone dovuto per l’importo di Euro 3.398,81 o di quello diverso di giustizia, oltre accessori e spese.

Attestata dagli intimanti la persistenza della morosità anche per i canoni di aprile e maggio 2006 e disposto il mutamento del rito, il L. e la Ci., con memoria integrativa, diedero ano del pagamento del canone di giugno 2004 e ribadirono la richiesta di convalida o comunque di risoluzione del contratto per inadempimento con condanna del conduttore al pagamento di Euro 2.896,95 (Euro 620,00 per canone, Euro 563,19 per spese condominiali, Euro 1.713,76 per aggiornamenti ISTAT) oltre le somme a maturarsi dal settembre 2006 per aggiornamenti ISTAT e quote condominiali.

Il Tribunale adito, con sentenza depositata il 22 giugno 2011, dichiarò risolto il contratto per inadempimento del conduttore che condannò al rilascio dell’immobile e al pagamento di Euro 2.896,65, oltre interessi, rigettò la domanda riconvenzionale e condannò il conduttore alle spese di lite.

Avverso tale decisione il C. propose appello chiedendo il rigetto della domanda dei locatori e l’accoglimento della domanda riconvenzionale.

Gli appellati si costituirono chiedendo il rigetto del gravame e, in via di appello incidentale, chiesero la condanna del C. alla corresponsione degli ulteriori aggiornamenti ISTAT sino alla data di rilascio dell’immobile, avvenuta il 21 marzo 2012.

La Corte di appello di Bari, con sentenza dell’8 ottobre 2014 e depositata il 13 ottobre 2014, accolse parzialmente l’appello del C. e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, ridusse la condanna a suo carico all’importo di Euro 1.813,76, oltre interessi, rigettò l’appello incidentale e condannò l’appellante principale al pagamento, in favore del L. e della Ci., di un terzo delle spese del primo e del secondo grado di giudizio, con attribuzione al difensore anticipatario e con compensazione dei restanti due terzi.

Avverso la sentenza della Corte di merito ha proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria e basato su due motivi, L.T., il quale ha pure rappresentato che l’usufruttuaria Ca.Za. ved. L. è deceduta in data antecedente all’emissione della detta sentenza, con conseguente consolidamento dell’usufrutto con la nuda proprietà in capo all’attuale ricorrente.

Ha resistito con controricorso C.V..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La modifica dell’art. 327 c.p.c., introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, che ha sostituito il termine di decadenza dì sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio (Cass. 17/04/2012, n. 6007; Cass. 5/10/2012, n. 17060). Nella specie il giudizio è iniziato nel 2006 e va, pertanto, disattesa, perchè infondata, l’eccezione formulata dal controricorrente, di inammissibilità del ricorso per decadenza del termine di cui all’art. 327 c.p.c., come novellato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, essendo stata la sentenza impugnata depositata il 13 ottobre 2014 e notificata in dam 3 marzo 2015 ed essendo stato il ricorso notificato in data 29 aprile 2015, nel rispetto del termine breve di cui dell’art. 325 c.p.c., comma 2.

2. Con il primo motivo – rubricato “Sulla erroneità della sentenza nella parte in cui rigetta la richiesta di pagamento della rivalutazione ISTAT dal settembre 2006 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 1591 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3 – Omessa, insufficiente ed illogica motivazione su fatto controverso ex art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente deduce che, a seguito del mutamento del rito, con la memoria del 4 agosto 2006, gli attori avevano chiesto espressamente la condanna del conduttore al pagamento di tutte le maggiorazioni ISTAT dal settembre 2006 sino all’effettivo rilascio e tale richiesta era stata reiterata in memoria conclusionale; lamenta che la Corte di merito abbia omesso di pronunciarsi esplicitamente “sull’interpretazione della sentenza del Tribunale”, atteso che l’appello incidentale era subordinato alla eventualità che detta Corte ritenesse che la condanna di cui alla sentenza di primo grado non si riferisse agli aggiornamenti ISTAT posteriori a settembre 2006. Sostiene il L. che, comunque, dal tenore della sentenza di secondo grado si desumerebbe che la Corte territoriale abbia ritenuto che la sentenza del Tribunale non contemplasse la condanna al pagamento della rivalutazione ISTAT per il periodo successivo ad aprile 2006, procedendo pertanto all’esame dell’appello incidentale e rigettandolo in ragione del duplice rilievo che, secondo la Corte di merito, la domanda fosse stata formulata prima ancora della nascita del diritto alla maggiorazione e che non fosse stato oggetto del giudizio la valutazione circa l’entità dei canoni corrisposti dal C. successivamente all’introduzione del giudizio.

Tale assunto, ad avviso del ricorrente, violerebbe l’art. 1591 c.c. e sarebbe palesemente illogico, contraddittorio rispetto alle risultanze di causa.

Sostiene il L. che, a rutto voler concedere, la statuizione di rigetto della domanda riconvenzionale sarebbe comunque errata in quanto con l’atto di intimazione, notificato il 7 aprile 2006, era stato richiesto il pagamento dell’aggiornamento ISTAT maturato sino alla proposizione dell’intimazione e cioè sino a marzo 2006, pari a Euro 33,00, intervenuto ad ottobre 2005, e tale domanda era stata accolta in primo grado e confermata in appello sicchè, proposta dopo il mutamento del rito la domanda di tutti i canoni e aggiornamenti ISTAT sino al rilascio dell’immobile, quanto meno l’aggiornamento ISTAT per Euro 33,00 era maturato prima della proposizione della domanda e risultava dovuto anche sui canoni successivi sino all’effettivo rilascio, essendo stato peraltro ammesso da controparte che tali aggiornamenti non erano stati corrisposti, sicchè il C. avrebbe dovuto essere condannato almeno al pagamento di Euro 33,00 a titolo di aggiornamento ISTAT sui canoni da aprile 2006 a marzo 2012.

2.1. Non sussiste la lamentata violazione dell’art. 112 c.p.c..

Al riguardo si osserva che il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorchè risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto. (Cass. 12/01/2006, n. 407; vedi anche Cass. 20/09/2013, n. 21612, Cass. 4/10/2011, n. 20311, Cass. 10/05/2007, n. 10696, Cass. 21/07/2006, n. 16788), e di tanto risulta peraltro essere ben consapevole lo stesso ricorrente, alla luce di quanto dallo stesso prospettato a p. 12 del ricorso.

2.2. E’ invece fondata la doglianza relativa alla violazione dell’art. 1591 c.c., nei termini appresso precisati.

2.11. Il primo argomento su cui si basa la sentenza impugnata con riferimento alla statuizione censurata con il morivo all’esame non può essere condiviso alla luce dell’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità cui va data continuità in questa sede e secondo il quale, in tema di locazione di immobili urbani, la condanna del conduttore al pagamento dei canoni da scadere sino alla riconsegna dell’immobile locato, dal medesimo comunque dovuti a seguito della risoluzione della locazione a titolo di danni per la protratta occupazione dell’immobile (ai sensi dell’art. 1591 c.c.), costituisce ampliamento della domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, che trova fondamento nella particolare disposizione dell’art. 664 c.p.c., comma 1, secondo cui, in caso di convalida definitiva dello sfratto intimato per la morosità del conduttore, è ammissibile l’emissione dell’ingiunzione al pagamento non solo dei canoni scaduti alla data di notificazione dell’intimazione ma, ove l’intimante ne abbia fatto contestuale richiesta, anche dì quelli “da scadere fino all’esecuzione dello sfratto”, quale ipotesi specifica di condanna c.d. in futuro, di carattere tipico e di natura eccezionale, con la quale l’ordinamento tutela l’interesse del creditore all’ottenimento di un provvedimento nei confronti del debitore prima ancora che si verifichi l’inadempimento (Cass. 31/05/2005, n. 11603; Cass. 25/05/1992, n. 6245).

Ritiene il Collegio che il principio appena richiamato va applicato senza alcun dubbio al canone comprensivo delle maggiorazioni per intervenute variazioni ISTAT, se dovute.

2.2.2. Neppure è condivisibile il secondo rilievo posto a base del rigetto dell’appello principale operato dalla Corte di merito, essendo evidente che non va scrutinata l’entità effettivamente corrisposta dal conduttore “per il periodo successivo alla contestazione della lite”, ma occorre stabilire l’entità dovuta e su questa calcolare il richiesto adeguamento ISTAT.

2.3. Ben può, quindi, attribuirsi tale adeguamento in relazione all’intervenuta variazione degli indici di riferimento (aggiornamento ISTAT maturato ad ottobre 2005), in presenza di una espressa domanda giudiziale, nella specie proposta successivamente all’avvenuta variazione degli indici di riferimento sopra richiamata, che deve ritenersi equivalente alla richiesta stragiudiziale prescritta dalla L. n. 392 del 1978, sia per le locazioni abitative che per quelle non abitative (Cass. 2/10/2003, n. 14673; Cass. 28/02/2012, n. 3014, che precisa pure che l’aggiornamento ISTAT può avvenire solo su specifica richiesta del locatore, da operarsi successivamente all’avvenuta variazione degli indici di riferimento; v. anche Cass. 1/12/1994, n. 10270 e Cass. 26/0572014, n. 11675, proprio con riferimento alle determinazione dell’indennità ex art. 1591 c.c., per il ritardato rilascio dell’immobile), tenendosi altresì conto che, opinando diversamente, si premierebbe l’inadempimento del conduttore, atteso che la mancata corresponsione dell’aggiornamento ISTAT del canone, in difetto dell’accertamento giudiziale di illegittimità della clausola contrattuale che lo prevede, ove protratta per lungo tempo con conseguente alterazione dell’equilibrio sinallagmatico, configura un inadempimento idoneo a giustificare la risoluzione del contratto a nulla rilevando il mero convincimento del conduttore di non dovere detta maggiorazione (Cass. 17/07/1991, n. 7934).

2.4. L’esame di ogni ulteriore doglianza prospettata con il motivo all’esame testa assorbito da quanto precede.

3. All’accoglimento, per quanto di ragione, del primo motivo di ricorso consegue pure l’assorbimento del secondo mezzo, rubricato “Sulla condanna alle spese – violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – omessa, insufficiente ed illogica motivazione su fatto controverso ex art. 360 c.p.c., n. 5”.

4. Conclusivamente, va accolto per quanto di ragione il primo motivo di ricorso; va dichiarato assorbito il secondo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie per quanto di ragione il primo motivo del ricorso, dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2016

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