Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25595 del 14/11/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 25595 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: CARRATO ALDO

successione
relativa a
podere
affrancato

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 29427/09) proposto da:

LANDI AGOSTINO (C.F. LNDGTN37A02B644C), rappresentato e difeso, in forza di
procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Gaetano Di Sirio e Pasquale Pizzuti e
domiciliato ex lege presso la cancelleria della Corte di Cassazione, in Roma, Piazza
Cavour;

– ricorrente –

contro
LANDI DOMENICO (C.F. LNDDNC25P16B644D), rappresentato e difeso, in forza di
procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Giuseppe Guglielmotti ed elettivamente
domiciliato presso lo studio dell’Avv. Ferruccio Zannini, in Roma, Viale Gorizia n. 51/b;
A

– controricorrente-

nonché contro

I

,

43)i3

Data pubblicazione: 14/11/2013

LANDI ADELE; BUCCELLA VINCENZO e BUCCELLA CONCETTA, in qualità di eredi di
Landi Carmela; LANDI ROSARIA e LANDI GAETANO, in qualità di eredi di Landi Antonio;
FRAIESE ANGELINA e LANDI GAETANO, nella qualità di eredi di Landi Arturo;
GRAZIANO GIOVANNA e GRAZIANO LUIGI, nella qualità di eredi di Landi Emilia;
– intimati –

REGIONE CAMPANIA, in persona del legale rappresentante ;
– intimata e
PUBBLICO MINISTERO, in persona del Procuratore Generale della Repubblica presso la
Corte di Appello di Salerno;
– intimato Avverso la sentenza n. 583/2007 della Corte d’Appello di Salerno, depositata il 4 ottobre
2007 e non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 26 settembre 2013 dal
Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Aurelio Golia, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, notificato il 22 ottobre 1986, i germani Landi Carmela, Landi
Domenico, Landi Emilia, Landi Antonio, Landi Adele e Landi Arturo, nella dichiarata qualità
di figli superstiti di Landi Gaetano, convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Salerno,
Landi Agostino e l’ERSAC (Ente Regionale per lo Sviluppo Agricolo in Campania). Con tale
atto introduttivo essi deducevano : – che il defunto Landi Gaetano era stato assegnatario,
da parte dell’ERSAC, di un podere in agro del Comune di Capaccio, via Olmopanno 878, in
NCT alla partita 3708, fol. 8, n. 102, con casa, accessori e pertinenze; – che lo stesso
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e

assegnatario, con testamento pubblico redatto il 6 febbraio 1975, aveva designato, ai sensi
dell’art. 7 della L. n. 379/67, quale avente diritto a succedergli nel possesso e nella titolarità
del detto podere, il solo figlio Landi Agostino, lasciando agli altri figli quanto poteva loro
spettare in virtù di legge; – che l’art. 10, co. 1, della legge richiamata, disponeva che il
riservato dominio a favore dell’ERSAC sui terreni assegnati ex art. 17 L. n. 230/50,

dell’assegnazione; – che, poiché nel caso di specie erano state pagate più di quindici
annualità, essi attori volevano ottenere la cointestazione in parti uguali del detto podere
878; tanto premesso, chiedevano al Tribunale adito di dichiarare affrancato dal riservato
dominio a favore dell’Ersac il podere in questione; di dichiarare nullo ed inefficace il
testamento redatto dal dante causa Landi Gaetano; di dichiarare nulla ed inefficace la
delibera ERSAC n. 65/78 con cui era stato disposto il subingresso del Landi Agostino
nell’assegnazione del podere n. 878; di dichiarare aperta la successione ab intestato di
Landi Gaetano e devoluta la sua eredità in quote di diritto uguali, a favore degli eredi
legittimi; di emettere ogni altro provvedimento consequenziale ed ordinare al Conservatore
dei RR.II. di trascrivere l’emittenda sentenza; di condannare il convenuto Landi Agostino al
risarcimento dei danni, con vittoria di spese.
Si costituivano in giudizio sia Landi Agostino, sia, a ministero dell’Avvocatura Distrettuale
dello Stato, l’ERSAC. Il primo, oltre a contestare nel merito le deduzioni attoree, chiedeva,
a titolo di riconvenzionale subordinata, il riconoscimento di tutte le migliorie apportate al
fondo, previa stima dell’entità delle prime e del valore del secondo, vinte le spese.
L’Avvocatura Distrettuale dello Stato eccepiva, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione
del giudice ordinario sulla domanda rivolta dagli attori contro la delibera ERSAC,
contestando, poi, nel merito, le pretese avanzate dagli attori.
Il Tribunale di Salerno, con sentenza non definitiva n. 770/90, dichiarava la giurisdizione
dell’A.G.O. in ordine alla proposta domanda e, di conseguenza, l’avvenuto acquisto in
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permaneva soltanto fino al pagamento della quindicesima annualità del prezzo

proprietà, da parte del de cuius Landi Gaetano, del fondo per cui era causa e l’apertura
della successione di Landi Gaetano.
Avverso detta sentenza formulavano espressa riserva di appello sia Landi Agostino sia
l’Avvocatura Distrettuale dello Stato.
Con sentenza definitiva n. 2594 del 2004, lo stesso Tribunale accoglieva la domanda

condanna del Landi Agostino, quale liquidazione della rispettiva quota ereditaria, al
pagamento di euro 62.354,85, oltre interessi; con tale sentenza veniva, altresì, dichiarata la
facoltà del Landi Agostino di corrispondere alle controparti l’importo dovuto in dieci rate
mensili, comprensive degli interessi legali ed, infine, le spese di C.T.U. erano poste a
carico di ciascuno degli attori e del convenuto germano per 1/7 ciascuno, mentre le spese
di lite erano compensate.
Avverso entrambe le sentenze (quella non definitiva e quella definitiva), proponeva appello
il Landi Agostino, con atto notificato il 5-9 novembre 1994, avuto riguardo al mancato
riconoscimento del diritto alla quota disponibile e alla presunta erronea quantificazione del
valore del podere all’attualità, piuttosto che alla data di apertura della successione.
Si costituivano in giudizio i soli germani dell’appellante, i quali oltre a chiedere il rigetto
dell’appello, formulavano, al contempo, appello incidentale affinché fosse dichiarata
illegittima l’esclusione dei coeredi dal godimento dei frutti della massa ereditaria, che di
essi si era accresciuta e che si sarebbero dovuti computare ai fini della divisione, tenendo
conto del valore locativo o determinandolo in via equitativa, con vittoria di spese e previa,
se necessario, C.T.U. .
La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza n. 583/07, depositata il 4 ottobre 2007 e non
notificata, dichiarata la contumacia dell’ERSAC, rigettava sia l’appello principale che quello
incidentale, confermando, per l’effetto, entrambe le impugnate sentenze del Tribunale di
Salerno; dichiarava interamente compensate tra le parti le spese di lite del grado di appello.
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subordinata degli attori germani Landi, a favore di ciascuno dei quali era pronunciata

La Corte territoriale, a sostegno della sua decisione, osservava che la caduta in
successione del podere 878, dichiarata con sentenza n. 770/90, non era contestata; che
l’affrancazione era indiscutibile, in quanto era stati pagati ben 19 canoni di riscatto, contro i
15 richiesti dalla legge 386/76; aggiungeva, altresì, che correttamente si era proceduto alla
successione legittima, poiché era intervenuto per legge un fatto che aveva radicalmente

modifica possibile da parte del testatore e che, altrettanto esattamente, il podere, al
momento della divisione, era stato stimato all’attualità, dal momento che solo la collazione
e la riduzione legittima avrebbero richiesto la stima dei beni al tempo dell’apertura della
successione.
Avverso detta sentenza Landi Agostino ha proposto ricorso per cassazione, articolato in
due motivi.
Il solo Landi Domenico ha resistito con controricorso, mentre gli altri intimati non hanno
svolto attività difensiva in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli
artt. 457, 624, 734, 766, 1419 c.c., artt. 1, 4, 5 e 6 L. 11078/40, art. 10 L. 386/76, ai sensi
dell’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza
impugnata, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., formulando, ex art. 366 bis c.p.c. (ratione
temporis applicabile alla fattispecie, risultando la sentenza impugnata pubblicata il 4 ottobre

2007), con riferimento alla dedotta violazione di legge, il seguente quesito di diritto: “dica la
Suprema Corte se in presenza di podere di riforma fondiaria riscattato, ai sensi dell’art. 10
della legge n. 386/76, ma non ancora divisibile, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 1078/40, il
valore della quota dovuta ai coeredi esclusi, ex art. 6 legge n- 1078/40, vada calcolata al
momento in cui si è avuto il subentro o a quello della sentenza che accerta il diritto degli

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modificato lo stato patrimoniale del de cuius, fatto non recepito nel testamento con una

altri eredi ad una quota del valore del fondo stesso, includendo, così, anche gli incrementi
avutisi ad opera del subentrante”.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha prospettato la violazione e falsa applicazione degli
artt. 457, 554, 587, 624, 1362, 1367 e 1369 c.c., nonché il vizio di contraddittoria e
insufficiente motivazione, il tutto in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., formulando —

presenza di un bene indivisibile, la volontà testamentaria di attribuire ad un solo erede
detto immobile, prevedendo a carico del beneficiato un conguaglio, seppure lesivo della
quota riservata ai legittimari, rende nullo l’intero negozio, mortis causa, consentendo al
giudice di dichiarare aperta la successione legittima e porre i chiamati tutti su di un piano
paritario per quanto concerne il valore delle quote oppure dà diritto ai legittimari di ottenere
la sola reintegra della quota di legittima”.

In ordine al vizio di motivazione, lo stesso ricorrente ha chiesto a questa Corte di vagliare
l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui la Corte territoriale
aveva reputato come determinante, ai fini dell’annullamento del testamento, la mancata
coscienza da parte del “de cuius” della possibilità di acquisto della titolarità del podere
prima del suo decesso, nonostante che questi nella scheda testamentaria già si fosse
espressamente qualificato proprietario oltre che assegnatario del podere ed omettendo di
considerare che l’art. 10 della I. 386/76, anche se intervenuto dopo la redazione del
testamento, aveva solo anticipato l’evento del riscatto che si sarebbe in ogni caso verificato
decorsi 30 anni dall’assegnazione, ex art. 17 della legge n. 230/50 e che, pertanto, il
testatore – anche prima dell’entrata in vigore del citato art. 10 – avrebbe potuto validamente
ed utilmente disporre delle sue ultime volontà in previsione di un futuro acquisto, ai sensi
del menzionato art. 17 legge citata.
3. Rileva il collegio che, per una ragione di priorità logico-giuridica, occorre esaminare per
prima la seconda censura (certamente ammissibile con riferimento alla rituale osservanza
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quanto alla violazione di legge – il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se in

del requisito prescritto dal richiamato art. 366 bis c.p.c.), la quale involge la questione
principale (poiché la sua risoluzione si prospetta preliminare rispetto alla considerazione
dell’oggetto della prima doglianza) attinente alla confutazione della ritenuta invalidità ed
inefficacia dell’intero atto di ultima volontà con il quale il testatore aveva inteso, in presenza
di un bene indivisibile soggetto al regime della riforma fondiaria (del quale lo stesso “de

immobile, prevedendo a carico del beneficiato l’obbligo di corrispondere agli altri coeredi un
conguaglio, ancorché lesivo della quota riservata ai legittimari, con la conseguente
dichiarazione di apertura della successione legittima.
Il motivo è fondato e deve, perciò, essere accolto per le ragioni che seguono.
Occorre rilevare che il ricorrente, a conforto della denunciata doglianza, ha inteso
evidenziare l’illegittimità dell’impugnata sentenza nella parte in cui non aveva ritenuto che
l’attribuzione in via esclusiva, allo stesso Landi Agostino, della proprietà del podere dedotto
in controversia (che il “de cuius” aveva acquistato mediante l’affrancazione) costituisse
l’effetto della designazione testamentaria e della successiva delibera di subingresso n. 65
del 1978 adottata dall’ERSAC, con la conseguenza che da tale data era sorto il diritto degli
altri coeredi, esclusi dal subentro e mai soddisfatti con altri beni caduti in successione,
all’ottenimento “pro quota” delle somme corrispondenti alla perdita subita. Inoltre, il
ricorrente ha posto in risalto come, con la sentenza stessa, la Corte territoriale avesse
espresso il convincimento sulla invalidità della predetta disposizione testamentaria
basandolo sull’erroneo presupposto che il testamento fosse viziato dal fatto che, all’epoca
della sua formazione, il “de cuius” ignorasse di poter diventare proprietario del bene,
malgrado il medesimo, sulla scorta dell’inequivoco contenuto dell’atto “mortis causa”,
avesse manifestato la volontà contraria, essendosi dichiarato proprietario per
assegnazione e disponendo che, alla sua morte, il figlio Agostino subentrasse sia nel
possesso che nella titolarità del podere (oltre che delle scorte vive e morte).
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cuius” si era, però, dichiarato divenutone proprietario), attribuire ad un solo erede lo stesso

In tal senso, quindi, il ricorrente ha voluto criticare il percorso logico della sentenza
impugnata con la quale era stato reputato inefficace il testamento pubblico per notar De
Chiara del 6 febbraio 1975 posto dal Landi Agostino a fondamento delle sue pretese,
nonché disposta l’apertura della successione legittima – e non testamentaria – del “de
cuius” Landi Gaetano, nella quale era caduto il podere già oggetto di assegnazione, in

redazione del testamento ed anteriore alla morte del medesimo “de cuius”.
A tal riguardo lo stesso ricorrente ha inteso evidenziare l’errore interpretativo in cui era
incorsa la Corte territoriale, la quale – nel disattendere, peraltro, il contenuto testuale della
disposizione testamentaria con la quale il testatore si era dichiarato proprietario e non solo
assegnatario del podere — aveva dato risalto alla sola circostanza che il podere, al
momento del decesso del testatore, fosse stato affrancato, senza esaminare se tale fatto
avesse costituito la sola ragione che aveva determinato il Landi Gaetano nel disporre in
quel modo, trascurando, altresì, la considerazione che l’art. 10 della legge n. 386 del 1976
aveva soltanto anticipato il riscatto già previsto dall’art. 17 della legge n. 230 del 1950.
Osserva il collegio che, con la sentenza impugnata, la Corte di secondo grado, pur
rimarcando che il “de cuius” aveva designato il figlio Landi Agostino a succedergli nel
possesso e nella titolarità del podere, aveva, tuttavia, affermato che tale volontà
testamentaria presupponeva la persistente applicabilità del meccanismo di designazione
previsto dall’art. 7 della legge n. 379 del 1967 e, quindi, che il bene non fosse di proprietà
di esso assegnatario; a tal proposito, la stessa Corte salernitana ha aggiunto che — sotto il
profilo oggettivo — la sopravvenuta entrata in vigore della legge n. 386 del 1976, che aveva
modificato la stessa struttura del patrimonio del “de cuius” attribuendogli un diritto reale
pieno sul bene in luogo del mero diritto di designazione del subentrante, non avrebbe
potuto che rendere inoperante la disposizione testamentaria per difetto del presupposto di
diritto che ne costituiva il fondamento, rilevando che — sotto il profilo soggettivo — la
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quanto divenuto di piena proprietà del testatore in virtù di una normativa sopravvenuta alla

cospicua modifica legislativa intervenuta aveva comportato l’elisione di qualsiasi nesso tra
la rappresentazione della realtà che il testatore aveva potuto raffigurarsi al momento della
formazione del testamento e la realtà effettuale delle cose come in concreto mutata.
Orbene, l’impianto argomentativo riportato nella motivazione della sentenza impugnata non
è meritevole di adesione, cogliendo nel segno le censure dedotte nell’interesse del

Infatti, il percorso motivazionale adottato dalla Corte territoriale non tiene debitamente
conto di alcuni presupposti normativi rilevanti. In primo luogo, considerando che il
testamento del “de cuius” era stato redatto nel 1975 (e, quindi, prima dell’entrata in vigore
della legge n. 386 del 1976), la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 816 del 1992)
aveva chiarito che, a norma della legge 3 giugno 1940 n. 1078, le disposizioni
testamentarie vietate a pena di nullità (art. 4) erano quelle che comportavano la
suddivisione del terreno fra gli istituiti (frazionamento e scomposizione dell’unità poderale)
e non anche la disposizione con la quale il terreno fosse stato lasciato in proprietà indivisa
ad uno o più dei coeredi, restando le ragioni degli altri coeredi, esclusi dalla successione,
tutelate alla stregua delle ulteriori disposizioni della legge n. 1078 del 1940, non modificate
dall’art. 7 della legge 29 maggio 1967 n. 379.
Inoltre, il giudice di appello non ha valorizzato l’importante principio giuridico che

il

testatore può disporre anche di beni che non gli appartengono al momento della
redazione del testamento ma che risultano rientranti nel suo patrimonio all’atto della
sua morte e, quindi, dell’apertura della sua successione (v. Cass. n. 6449 del 2008).

Ciò esclude che la disposizione testamentaria in questione fosse nulla per difetto
dell’oggetto, dovendosi rilevare che la volontà espressa dal Landi Gaetano all’atto della
redazione del testamento — nei termini precedentemente richiamati (salvaguardandosi
anche il principio di conservazione degli atti di ultima volontà: cfr., ad es., sul punto, Cass.
n. 4022 del 2007 e Cass. n. 468 del 2010) – era stata certamente nel senso di far pervenire
9

ricorrente.

il bene, costituito dal fondo già appartenente all’ERSAC (per il quale aveva intrapreso la
procedura di affrancazione), al figlio Landi Agostino (che, peraltro, possedeva i requisiti per
succedere nella conduzione del fondo stesso), evidenziandosi che il bene era sicuramente
entrato a far parte del patrimonio dello stesso al momento del suo decesso e, perciò,
dell’apertura della successione. Pertanto, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di

cuius”, sarebbe stato necessario porre riferimento al tempo dell’apertura della successione
(art. 456 c.c.) e, dunque, accertare se il bene oggetto della disposizione medesima fosse o
meno rientrato in quel momento del patrimonio lasciato dal testatore, non essendo
discutibile che tra i beni dei quali il testatore può disporre sono compresi anche i beni futuri,
ovvero quelli divenuti parte del patrimonio dello stesso “de cuius” al tempo della sua morte,
pur non appartenendo a lui al momento della redazione del testamento. E, con riferimento
al caso di specie, è incontestato (per come emerge dalla stessa sentenza impugnata) che il
fondo, oggetto della disposizione testamentaria, era da ritenersi affrancato dal vincolo di
riservato dominio in favore dell’ERSAC fin dal pagamento della quindicesima annualità del
prezzo di assegnazione, ovvero da oltre quattro anni prima della morte del Landi Gaetano,
sopravvenuta nel dicembre 1976, allorquando, peraltro, era già entrata in vigore la legge 30
aprile 1976, n. 386. Orbene, proprio sulla scorta di tale svolgimento della vicenda fattuale,
la concorde giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 678 del 2002 e Cass. n. 19917
del 2008) ha precisato che, in tema di assegnazione di terre di riforma agraria, l’art. 10
della citata legge n. 386 del 1976 – disponendo che il riservato dominio in favore
dell’ente di sviluppo sui terreni assegnati ai sensi dell’art. 17 della legge 12 maggio
1950 n. 230 permaneva fino al pagamento della quindicesima annualità del prezzo di
assegnazione, che le successive annualità dovute dall’assegnatario, in base al piano
di ammortamento del prezzo, costituivano oneri reali sul fondo assegnato e erano
esigibili con le norme ed i privilegi stabiliti per le imposte dirette e che i terreni
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appello di Salerno, al fine di verificare l’efficacia della disposizione testamentaria del “de

affrancati dal riservato dominio dell’ente erano soggetti per quindici anni ai vincoli,
alle limitazioni e ai divieti di cui agli artt. 4 e 5 della legge n. 379 del 1967 – aveva
introdotto un ulteriore modo di acquisto dei fondi di riforma agraria analogo al
riscatto anticipato di cui all’art. 1 della legge 29 maggio 1967 n. 379, onde
l’assegnatario si sarebbe dovuto considerare divenuto “ipso iure” proprietario,

della legge n. 386 del 1976 e il pagamento della quindicesima annualità, il podere
sarebbe caduto in successione.

Di conseguenza, al momento dell’apertura della successione del “de cuius” Landi
Gaetano, avvenuta nel mese di dicembre 1976, il fondo oggetto di intervenuta
pregressa affrancazione in suo favore era certamente venuto a cadere nel suo
patrimonio ereditario (essendone divenuto, per l’appunto, proprietario), ragion per
cui — in base al principio generale precedentemente posto in risalto (secondo il quale
l’esistenza o meno di un patrimonio nella disponibilità del “de cuius” non incide
sulla validità del testamento, non essendo prescritta detta condizione da alcuna
specifica norma, a condizione del sopravvenire della sua esistenza al momento della
morte del testatore ai fini dell’attuazione delle relative attribuzioni: cfr., in proposito,
anche Cass. n. 3939 del 2001) — la disposizione testamentaria operata in favore del
figlio Landi Agostino si sarebbe dovuta ritenere valida e, quindi, pienamente efficace
in favore del beneficiato (con l’ulteriore effetto che gli altri eredi, ove non fosse stato

possibile soddisfarli mediante l’attribuzione di altri beni ereditari, avrebbero avuto diritto ad
ottenere dal subentrante “pro quota” il controvalore del fondo e non la somma risultante
dall’ammontare delle annualità versate dal loro dante causa, aumentate dall’incremento di
valore conseguito dal fondo per effetto dei miglioramenti da lui apportati, come previsto
dall’art. 7 della citata legge 379/1967 nel caso di morte dell’assegnatario prima del riscatto
del fondo: v. la citata Cass. n. 678 del 2002).
11

sicché, alla sua morte, purché avvenuta dopo l’entrata in vigore del medesimo art. 10

4. Pertanto, alla stregua delle complessive ragioni svolte, essendo incorsa la sentenza
impugnata nelle violazioni dedotte con la seconda censura, la stessa deve essere cassata
in relazione al motivo accolto, con il correlato assorbimento della prima doglianza ed il
conseguente rinvio della causa alla Corte di appello di Napoli, che, oltre a conformarsi ai
principi precedentemente enunciati (con riguardo alla ravvisata validità ed efficacia della

dell’operatività della disciplina della successione legittima — invece erroneamente ritenuta
applicabile dalla Corte salernitana – con riferimento al patrimonio ereditario avente ad
oggetto il fondo dedotto in controversia già affrancato in favore del “de cuius”), provvederà
anche sulle spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e dichiara assorbito il primo; cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del
presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Napoli.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2″ Sezione Civile, il 26 settembre
2013.

disposizione testamentaria operata a vantaggio del ricorrente ed alla correlata esclusione

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