Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25593 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. II, 12/11/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 12/11/2020), n.25593

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24256-2019 proposto da:

I.F., rappresentato e difeso dall’Avvocato VINCENZO MARADEI,

ed elettivamente domiciliato a Roma, via Ugo Ojetti 114, presso lo

studio dell’Avvocato FRANCESCO A. CAPUTO, per procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto n. 5292/2019 del TRIBUNALE DI VENEZIA, depositato

il 26/6/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’8/9/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale di Venezia, con il decreto in epigrafe, ha respinto il ricorso con il quale I.F., nato in (OMISSIS), ha impugnato il provvedimento della commissione territoriale che aveva rigettato la sua domanda di protezione internazionale.

I.F., con ricorso notificato il 26/7/2019, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione del decreto.

Il ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Corte prende atto che il ricorso non è stato correttamente notificato all’Avvocatura Distrettuale dello Stato. Nondimeno, la sua manifesta inammissibilità esclude la necessità di disporre la rinnovazione della relativa notifica.

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’erronea valutazione delle prove allegate dalle parti, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che mancava la prova del pericolo alla vita previsto dal D.Lgs. n. 251 cit., art. 14, lett. a) e b).

2.2. Il tribunale, infatti, ha osservato il ricorrente, ha negato il riconoscimento dello status richiesto basandosi esclusivamente su percezioni personali e riferite alla credibilità del richiedente, senza alcuna indagine sull’effettiva situazione vissuta dal ricorrente e sui pericoli gravanti sullo stesso, laddove, al contrario, in materia di protezione internazionale, il giudice, in ossequio al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 ha il dovere di esaminare la richiesta di protezione con l’ausilio di informazioni precise ed aggiornate sulla situazione generale del Paese d’origine del richiedente.

2.3. Nel caso in esame, del resto, ha proseguito il ricorrente, il ritorno del ricorrente nel Paese d’origine è di per sè sufficiente a metterlo in pericolo di vita posto che, in (OMISSIS), come emerge dal Rapporto elaborato da Amnesty International, la situazione è tutt’altro che pacifica, per la violazione dei diritti umani compiute dalla polizia, la diffusa povertà e la violenza sulle donne.

2.4. Una seria ed adeguata istruttoria, ha aggiunto il ricorrente, avrebbe senz’altro indotto il tribunale, ove avesse tenuto in debita considerazione tutti gli elementi, a partire dalle dichiarazioni rese dal richiedente, ad una ben diversa decisione, e cioè alla concessione della protezione sussidiaria o, quanto meno, della protezione umanitaria in virtùdella vulnerabilità cui lo stesso verrebbe esposto in caso di rimpatrio.

2.5. La domanda di protezione internazionale, infatti, ha concluso il ricorrente, deve considerarsi veritiera quando il richiedente ha compiuto ogni sforzo per circostanziarla, ha prodotto tutti gli elementi in suo possesso e le sue dichiarazioni non sono in contrasto con le informazioni generali sui luoghi di provenienza.

3.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione delle norme in materia di protezione dello straniero e di riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha negato al richiedente il riconoscimento dello status di rifugiato.

3.2. Così facendo, infatti, ha osservato il ricorrente,il tribunale non ha considerato che, per ciò che riguarda l’onere probatorio, vige, in materia di protezione internazionale, un regime speciale per il quale tale incombente, pur spettando al richiedente, subisce un’attenuazione a fronte delle verosimili difficoltà che lo stesso può incontrare nel procurarsi le prove documentali o di altro genere a sostegno delle proprie dichiarazioni, con la conseguenza che l’accertamento di tutti gli episodi rilevanti spetta congiuntamente sia al richiedente, sia all’autorità giudiziaria, la quale è tenuta ad esercitare, anche d’ufficio, i suoi poteri istruttori.

4.1. Il primo ed il secondo motivo, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

4.2. In effetti, in tema di protezione internazionale, l’accertamento del giudice del merito deve avere, anzitutto, ad oggetto la credibilità soggettiva del richiedente il quale, infatti, ha l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a) essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (cfr. Cass. n. 27503 del 2018).

La valutazione d’inattendibilità del richiedente costituisce, peraltro, un apprezzamento di fattoche può essere denunciato, in sede di legittimità, soltanto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e cioè per l’omesso esame di una o più di circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata.

4.3. Nel caso di specie, il giudice di merito ha dichiaratamente condiviso le perplessità espresse dalla commissione territoriale sulla credibilità dei fatti narrati dal ricorrente e delle ragioni che lo avrebbero indotto a lasciare il proprio Paese d’origine, avendo ritenuto inverosimile il racconto svolto sul punto dal richiedente, che ha rilasciato dichiarazioni generiche e per nulla circostanziate e si è più volte contraddetto nel corso della narrazione.

In particolare, secondo il tribunale, il ricorrente ha fornito due diverse versioni dell’episodio dell’aggressione da parte dei fratellastri del padre ai danni della sua famiglia avendo dapprima dichiarato che erano presenti tante persone che avevano assistito al fatto, ed in seguito che erano solo lui, il padre, la madre e la sorella.

Il ricorrente, inoltre, ha aggiunto il tribunale, inizialmente non ha riferito di alcuna minaccia rivoltagli personalmente dagli aggressori per poi modificare il racconto affermando di aver subito una minaccia, apparendo totalmente inverosimile che il ricorrente non avesse nemmeno provato a chiedere la protezione delle forze dell’ordine nonostante l’omicidio dei suoi familiari più stretti e che avesse deciso di lasciare il Paese solo perchè consigliato dalle persone sconosciute lasciando in potenziale pericolo la moglie incinta.

4.4. Ora, a fronte di tale accertamento dei fatti, il ricorrente non ha specificamente indicato, pur avendone l’onere a norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, i fatti, principali ovvero secondari, il cui esame, nell’accertamento della sua credibilità, sia stato omesso dal giudice di merito, nè il “dato”, testuale o extratestuale, da cui gli stessi risulterebbero esistenti, il “come” e il “quando” tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti, nè, infine, la loro “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 20188 del 2017, in motiv.), limitandosi, piuttosto, a sollecitare una inammissibile rivalutazione del materiale istruttorio acquisito nel corso del giudizio. La valutazione delle prove raccolte, infatti, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).

4.5. Ed è noto che l’inattendibilità del racconto del richiedente, così come (oramai incontestabilmente) accertata dai giudici di merito, costituisce motivo sufficiente per negare tanto il riconoscimento dello status di rifugiato, quanto la concessione della protezione sussidiaria dallo stesso invocata ai sensi del D.Lgs. n. 251 cit., art. 14, lett. a) e b).

4.6. Il tribunale, in ogni caso, ha ritenuto che già la narrazione dei fatti svolta dal richiedente non fa emergere i presupposti tanto per il riconoscimento dello status di rifugiato, non essendo stato prospettato alcun rischio di subire persecuzioni per i motivi richiesti dalle norme in materia, quanto per il riconoscimento della protezione sussidiaria, per la mancata prospettazione del rischio di subire la condanna a morte o l’esecuzione della pena di morte e per l’impossibilità di ritenere fondato il rischio che il richiedente possa essere sottoposto a tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante nel suo Paese d’origine, come richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), nè essendo emersa l’impossibilità per lo stesso di avvalersi della protezione delle autorità compenti.

4.7. Si tratta, com’è evidente, tanto nell’uno, quanto nell’altro caso, di un apprezzamento fattuale, non censurato dal ricorrente, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame circa uno o più fatti decisivi specificamente indicati, a fronte del quale la decisione conseguentemente assunta dal giudice di merito, certamente non illogica e contraddittoria rispetto ai dati accertati, si sottrae alle censure svolte in ricorso.

In effetti, il requisito essenziale per il riconoscimento dello status di rifugiato è il fondato timore di persecuzione “personale e diretta” nel Paese d’origine del richiedente, a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza ad un gruppo sociale ovvero per le opinioni politiche professate (Cass. n. 18353 del 2006): ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, la situazione sociopolitica o normativa del Paese di provenienza è, dunque, rilevante solo se correlata alla specifica posizione del richiedente e più specificamente al suo fondato timore di una persecuzione personale e diretta, per l’appartenenza ad un’etnia, associazione, credo politico o religioso, ovvero in ragione delle proprie tendenze e stili di vita, e quindi alla sua personale esposizione al rischio di specifiche misure sanzionatorie a carico della sua integrità psico-fisica (Cass. n. 30105 del 2018, la quale ha ritenuto che il relativo accertamento integra un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5; conf., Cass. n. 10177 del 2011).

Nello stesso modo, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) ed h), e, in termini identici, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e g), definiscono come “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese. In particolare, in materia di riconoscimento della protezione sussidiaria allo straniero, al fine d’integrare i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), pur non essendo necessario che lo straniero fornisca la prova di essere esposto ad una persecuzione diretta, grave e personale, poichè tale requisito è richiesto solo ai fini del conseguimento dello status di rifugiato politico, è necessario (e sufficiente) che risulti provato, con un certo grado di individualizzazione, che il richiedente, ove la tutela gli fosse negata, rimarrebbe esposto a rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti (Cass. n. 16275 del 2018).

Nel caso di specie, al contrario, come detto, non è risultato accertato, in punto di fatto, nè che il ricorrente possa essere assoggettato ad una persecuzione personale e diretta per l’appartenenza ad un’etnia, associazione, credo politico o religioso, ovvero in ragione delle proprie tendenze e stili di vita, nè che lo stesso, in caso di rimpatrio, sia seriamente esposto al rischio di subire una condanna a morte ovvero a trattamenti inumani e degradanti.

4.8. Nè, infine, rileva la invocata violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del tribunale. In materia di protezione sussidiaria, invero, il dovere di cooperazione istruttoria, desumibile dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, sussiste solo se reso possibile dal positivo vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati dalla norma, per cui, qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 cit., art. 3 non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi – ma non è questo il caso esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. n. 16925 del 2018 e Cass. n. 28862 del 2018).

5. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione delle norme in materia di protezione dello straniero previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) ed h), e dall’art. 10 Cost., comma 3, nonchè del principio del “non refoulement” rinvenibile nell’art. 3 CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale non si è attenuto al principio per cui il giudice dell’opposizione, a fronte dell’espresso o tacito diniego della protezione umanitaria da parte della commissione amministrativa, è automaticamente investito dell’esame anche di tale forma di protezione minore con la conseguenza che, ove all’esito del giudizio non ravvisi i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, è chiamato a valutare anche se ricorrono le condizioni previste dalla legge per la concessione della protezione umanitaria e pronunciarsi nel senso di riconoscere o di negare allo straniero il diritto a tale forma di protezione minima e residuale.

6. Il motivo è infondato. Il ricorrente, infatti, non si confronta con la pronuncia che ha impugnato la quale, invero, si è espressamente pronunciata sulla domanda di protezione umanitaria, che ha respinto per l’insussistenza dei relativi presupposti.

7. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. Peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

8. Nulla per le spese di lite.

9. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

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