Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25592 del 30/11/2011

Cassazione civile sez. III, 30/11/2011, (ud. 03/11/2011, dep. 30/11/2011), n.25592

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ZANESCO COSTRUZIONI GENERALI DI ZANESCO PIETRO & C.

S.A.S.

(OMISSIS) in persona dell’amministratore (socio accomandatario)

Sig. Z.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato OZZOLA MASSIMO, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato GIOIOSO

RAFFAELLO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MASSAROTTO GIORGIO giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI MASER;

– intimato –

sul ricorso 10025-2007 proposto da:

COMUNE DI MASER in persona del suo Sindaco in carica W.

P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BISSOLATI 76, presso

lo studio dell’avvocato TOMMASO SPINELLI GIORDANO, che lo rappresenta

e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ZANESCO COSTRUZIONI GENERALI DI ZANESCO PIETRO & C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1/2006 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 02/01/2006, R.G.N. 2251/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/11/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato BARBARA SILVAGNI per delega;

udito l’Avvocato MAURIZIO FERTILE per delega;

udito l’Avvocato NICOLA RIVELLESE per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

assorbito l’incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.F. propose appello avverso la sentenza del Tribunale di Treviso con la quale era stata rigettata la domanda da lui proposta nei confronti dell’impresa Zanesco Costruzioni s.a.s. di (OMISSIS) (con la quale il Comune di Maser aveva stipulato un contratto di appalto per la sistemazione del manto stradale), per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito di un incidente occorsogli mentre, alla guida della propria autovettura, percorreva la via (OMISSIS) del Comune di Maser; in particolare, per avere urtato con le ruote anteriore e posteriore di destra contro un tombino della fognatura comunale, che fuoriusciva dalla sede stradale e non era preceduto da alcuna segnalazione di pericolo, ed avere perso perciò il controllo del mezzo, che era rimasto gravemente danneggiato.

Avverso la stessa sentenza propose appello incidentale l’impresa appaltatrice per ottenere la condanna del Comune di Maser, che già in primo grado aveva chiamato in causa al fine di essere manlevata da ogni pretesa dell’attore. La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza pubblicata il 2 gennaio 2006, ha accolto l’appello principale, ed, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, ha condannato la Zanesco Costruzioni Generali s.a.s. al pagamento a C.F. della somma di Euro 4.734,85, oltre accessori, nonchè al pagamento delle spese dei due gradi di merito; ha dichiarato inammissibile la domanda rivolta dall’appellante incidentale contro il Comune di Maser, condannando l’impresa al pagamento delle spese del grado anche nei confronti di quest’ultimo.

Avverso la sentenza d’appello la Zanesco Costruzioni Generali s.a.s.

di Zanesco Pietro & C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due articolati motivi, illustrati da memoria. Resistono con separati controricorsi gli intimati C. e Comune di Maser; quest’ultimo ha proposto ricorso incidentale condizionato, affidato ad un unico motivo, ed ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi, proposti contro la stessa sentenza, vanno riuniti.

1.- Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del ricorso nei confronti del Comune di Maser.

La domanda proposta contro il Comune dall’odierna ricorrente, impresa Zanesco, quale appellante incidentale, è stata dichiarata inammissibile dalla Corte d’Appello di Venezia perchè ritenuta domanda nuova, rispetto a quella proposta dalla stessa impresa, convenuta, chiamante in causa il Comune, in primo grado.

Avverso la statuizione di inammissibilità non risulta proposto alcun motivo di impugnazione dinanzi a questa Corte.

Ne segue che sulla posizione del Comune di Maser, quale committente dei lavori di manutenzione della strada sulla quale si è verificato il sinistro, nei suoi rapporti con l’impresa appaltatrice, e con riferimento alla domanda di risarcimento danni proposta dal terzo, si è oramai formato il giudicato interno, restando perciò preclusa ogni valutazione in merito ai rapporti interni tra committente ed appaltatore.

1.1.- La declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Comune di Maser comporta l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato proposto dall’ente intimato e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nei confronti del resistente Comune.

2.- Il ricorso ha, quindi, ad oggetto soltanto la posizione dell’impresa appaltatrice nei confronti del danneggiato, attore in sede di merito, sicchè le verifiche da compiere riguardano la sussistenza della responsabilità di questa verso il terzo, danneggiato a causa di un’anomalia o difetto della strada sulla quale ebbe ad eseguire i lavori di rifacimento del manto stradale appaltati dal Comune, a nulla rilevando l’eventuale concorrente responsabilità di quest’ultimo.

2.1.- E’ pertanto corretta l’affermazione del resistente C. in punto di scindibilità della sua posizione, quale intimato, rispetto a quella del Comune di Maser, ma va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso che il resistente ha proposto, prendendo le mosse da detta affermazione. Ha infatti sostenuto che il ricorso, sebbene tempestivamente notificato al Comune, sarebbe stato invece tardivamente notificato nei suoi confronti poichè l’atto sarebbe stato consegnato agli ufficiali giudiziari soltanto in data 23 febbraio 2007 ed effettivamente notificato in data 2 marzo 2007, mentre il termine per la proposizione dell’impugnazione scadeva il 17 febbraio 2007 (essendo stata depositata la sentenza il 2 gennaio 2006); ed, attesa la scindibilità delle posizioni, non potrebbe rilevare, onde rimettere in termini l’impresa ricorrente, la tempestività della notificazione del ricorso nei confronti del Comune di Maser.

2.2.- Risulta dagli atti che il ricorso venne consegnato agli ufficiali giudiziari per le notifiche nei confronti di entrambi gli intimati in data 10 febbraio 2007, quindi tempestivamente, e che la notificazione non andò a buon fine nei confronti di F. C. – rispetto al quale la notificazione era stata tuttavia correttamente richiesta, dal procuratore della ricorrente, presso avv. Alessandra Zavagno, via Carducci 56, 30170 Venezia Mestre (VE), vale a dire presso il procuratore domiciliatario – per l’errata indicazione del destinatario ( C.F., senza la specificazione delle generalità dell’avvocato domiciliatario) contenuta sulla ricevuta di accettazione della raccomandata e sul plico: trattasi di errore non imputabile al ricorrente, quale soggetto che ebbe a richiedere la notificazione all’ufficiale giudiziario. Pertanto, la rinnovazione, effettuata ed andata a buon fine (e seguita anche dalla costituzione dell’intimato), deve ritenersi idonea a regolarizzare la notificazione; peraltro, se non vi avesse provveduto sua. sponte, il notificante avrebbe avuto diritto ad un nuovo termine per la rinnovazione.

3.- Col primo motivo del ricorso è dedotta la violazione dell’art. 116, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè il vizio di motivazione per avere la Corte territoriale affermato che in atti esisteva un documento, vale a dire il certificato di ultimazione dei lavori in data 26 luglio 1996, che invece non sarebbe mai stato prodotto da alcuna delle parti. Pertanto, il giudice del merito, dando per presupposto questo elemento probatorio, avrebbe violato l’art. 116 cod. proc. civ. ed avrebbe reso una motivazione viziata, perchè l’errore sull’esistenza del documento avrebbe investito un punto decisivo della controversia, quale è appunto quello della data di ultimazione dei lavori dati in appalto.

3.1.- Il motivo, così come proposto, è inammissibile. La Corte d’Appello ha deciso come se agli atti fosse presente il documento in parola; ciò che si denuncia è la circostanza – non contestata ed anzi riconosciuta da tutte le parti – che il documento non fosse mai stato prodotto, cioè acquisito agli atti ed inserito nel fascicolo, e che invece la Corte territoriale ne abbia presupposto la produzione; con il motivo in parola non si fa invece questione (rimessa al secondo motivo di ricorso) della effettiva ultimazione dei lavori alla data del 26 luglio 1996 (a prescindere quindi dalla sua risultanza dall’apposito certificato) e della rilevanza di questa ai fini della decisione. Allora, il principio di diritto applicabile è quello per cui è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si denunci l’errore del giudice di merito per aver considerato presente un documento menzionato dalle parti, ma non prodotto agli atti (ovvero per avere ignorato un documento regolarmente prodotto), non corrispondendo tale errore ad alcuno dei motivi di ricorso ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ.; l’errore in questione, risolvendosi in una inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, ma in contrasto con le risultanze degli atti del processo, può essere invece denunciato con il mezzo della revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, (così Cass. 19 febbraio 2009, n. 4056; cfr. anche Cass. 30 gennaio 2003, n. 1512; 16 maggio 2006, n. 11373; 1 giugno 2007, n. 12904).

Pertanto, il motivo è inammissibile sia quanto alla censura di violazione di legge che quanto alla censura di vizio di motivazione.

4.- Col secondo motivo di ricorso, è denunciata violazione e falsa applicazione del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 16 e art. 2051 cod. civ., nonchè dell’art. 1655 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; ed, ancora, vizio di motivazione circa il punto decisivo della controversia costituito dalla cessazione dell’obbligo di custodia in capo all’appaltatore a seguito della (ri)consegna dei beni oggetto della prestazione dell’appalto.

La sentenza impugnata ha ritenuto fondato il motivo di appello col quale si sosteneva la rilevanza, ai fini dell’attribuzione della responsabilità all’impresa appaltatrice dei lavori di rifacimento del manto stradale, della mancata consegna dei lavori al Comune appaltante e del mancato compiuto collaudo da parte di quest’ultimo alla data in cui si verificò l’incidente, avendo l’impresa, ancora in tale momento, l’obbligo di custodire il cantiere e di apporre e mantenere efficiente la segnaletica, nonchè di adottare tutte le cautele atte a prevenire incidenti.

In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto provato che il certificato di ultimazione dei lavori fosse stato rilasciato in data 26 luglio 1996, quindi dopo l’incidente per cui è causa, verificatosi il (OMISSIS); e quindi ha ritenuto che l’appaltatore è tenuto alla custodia ed alla conservazione delle opere appaltate fino al collaudo, ai sensi del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 16 e che tale obbligo di custodia e di manutenzione cessa soltanto dopo l’approvazione del collaudo.

Date queste premesse, ha ritenuto, nel caso di specie, sussistente un obbligo di custodia ex art. 2051 cod. civ. in capo all’impresa appaltatrice ed ha ritenuto violato tale obbligo per non avere provveduto a segnalare il pericolo costituito dal tombino aperto, avendo l’impresa rimosso la segnaletica di pericolo esistente in loco, in quanto reputava di aver ultimato tutti i lavori; ha quindi concluso nel senso della responsabilità dell’impresa Zanesco per non avere provato il caso fortuito.

4.1.- Sostiene la ricorrente che il giudice a quo, ritenendo applicabile il D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 16, avrebbe violato sia questa disposizione, che quelle degli artt. 2051 e 1655 c.c., per le seguenti ragioni:

in primo luogo, avrebbe apoditticamente ritenuto applicabile il Capitolato generale di appalto per le opere pubbliche, malgrado non fosse stato prodotto in atti il contratto stipulato tra il Comune e l’impresa Zanesco, così violando il principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità per il quale detto capitolato si applica ex lege soltanto alle opere pubbliche di competenza statale, mentre nei confronti degli altri enti pubblici la normativa speciale si applica solo se espressamente richiamata in contratto; risulterebbero inoltre, ed in conseguenza, violati l’art. 1655 c.c. e segg., che dettano l’unica disciplina che invece sarebbe applicabile al caso di specie;

– in secondo luogo, avrebbe erroneamente ritenuto applicabile l’art. 2051 cod. civ., fondando proprio sulla norma del Capitolato generale, a sua volta erroneamente applicata, l’obbligo di custodia dell’appaltatore; invece, secondo la ricorrente, l’impresa appaltatrice non aveva più alcun potere di fatto, cioè alcun potere fisico sulla via (OMISSIS), poichè questa sarebbe rientrata nella disponibilità materiale (e giuridica) del Comune diverso tempo prima del giorno in cui si verificò l’incidente; più in particolare, quasi tre mesi prima di quest’ultimo, essendo durati i lavori di asfalto soltanto due giorni (4 e 5 ottobre 1995), come da ordinanza del Sindaco di Maser che soltanto in questi due giorni aveva disposto la sospensione del traffico sulla via (OMISSIS); invece, eseguiti i lavori di asfaltatura, la strada era stata riaperta al traffico ed il cantiere era stato smontato, senza che sul posto restasse attrezzatura o materiale riferibile all’attività svolta e già esaurita. Siffatte circostanze avrebbero comportato l’insussistenza di un potere di fatto sulla cosa, in quanto custode sarebbe tornato ad essere il Comune, che avrebbe avuto nuovamente il governo ed il controllo delle modalità di uso e di conservazione della strada;

– in terzo luogo, la Corte d’Appello non avrebbe motivato in punto di risultanze istruttorie, sia documentali che testimoniali, che avrebbero dimostrato l’esistenza del detto potere di fatto sulla cosa in capo al Comune, incorrendo così in vizio di motivazione; e ciò anche in quanto avrebbe basato la decisione sulla data di rilascio del certificato di collaudo, che, oltre ad essere un dato formale smentito dalle dette risultanze, sarebbe stato inutilizzabile, al fine predetto, perchè relativo ad un contratto di appalto stipulato per una molteplicità di opere affidate alla stessa impresa nel territorio dello stesso Comune di Maser; inoltre, se fossero state esaminate le risultanze processuali sarebbe stata esclusa l’applicabilità dell’art. 2051 cod. civ., senza necessità della dimostrazione del caso fortuito, la cui mancanza la Corte d’Appello ha posto a base della definitiva affermazione di responsabilità dell’impresa;

– infine, risulterebbe disatteso il disposto dell’art. 1655 (rectius, 1665) cod. civ., perchè la Corte d’Appello avrebbe fatto esclusivo riferimento al tempo del collaudo, mentre, trattandosi di appalto di natura privatistica, si sarebbe dovuto fare riferimento al tempo della consegna e questa, nel caso di specie, sarebbe stata posta in essere in data 5 ottobre 1995, appena ultimati i lavori di posa dell’asfalto, quindi molto tempo prima della data dell’incidente ( (OMISSIS)) e della data di certificazione di ultimazione dei lavori; ciò, in quanto la consegna – come da giurisprudenza di legittimità richiamata in ricorso – è atto materiale che si compie attraverso la messa a disposizione del bene a favore del committente (alla quale, secondo la ricorrente, è equiparabile l’immissione nel possesso).

5.- Il primo ed il quarto rilievo, quindi le censure riguardanti la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 1665 cod. civ. e del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 16 vanno trattate congiuntamente perchè connesse e perchè comportano una correzione della motivazione ai sensi dell’art. 384 c. c., u.c..

Effettivamente il richiamo del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 16 se inteso come riferito al mero dato formale della mancanza di collaudo ai sensi della normativa speciale sugli appalti di opere pubbliche, non coglie nel segno.

E’ corretta la censura della ricorrente secondo cui detta norma, così come tutte le previsioni del Capitolato Generale d’Appalto per le opere pubbliche, è applicabile soltanto agli appalti stipulati dallo Stato e non riguarda enti pubblici diversi, a meno che non vi sia un’ apposita legge che ne estenda a questi ultimi l’applicazione a determinate condizioni ovvero a meno che la disciplina speciale sia richiamata in contratto, assumendo peraltro in quest’ultimo caso la medesima efficacia delle previsioni convenzionali (cfr., oltre a Cass. n. 3214/94, n. 11177/01 e n. 14817/06, citate in ricorso, anche n. 3620/04 e n. 23670/06). Orbene, non risulta che il contratto stipulato tra il Comune di Maser e l’impresa Zanesco contenesse un richiamo siffatto, ed anzi è incontestato tra le parti che nemmeno venne prodotto in giudizio. Non rientrando le opere appaltate dall’ente territoriale tra quelle cui sarebbe applicabile p. p per legge il Capitolato Generale, non può questo ritenersi immediatamente applicabile al rapporto de quo.

5.1.- Peraltro, l’applicazione della normativa richiamata da parte della Corte d’Appello non può essere intesa come applicazione diretta. Il Capitolato Generale è infatti destinato a regolare i rapporti tra l’ente pubblico committente e l’impresa appaltatrice, non potendo trovare applicazione alcuna nei rapporti di ciascuno di tali soggetti o di entrambi nei confronti dei terzi. Piuttosto, per come risulta anche dal tenore complessivo della decisione impugnata, e specificamente dall’applicazione dell’art. 2051 cod. civ. (di cui si dirà appresso), il richiamo della citata norma dell’art. 16 è stato fatto dalla Corte d’Appello al fine di avvalersi della previsione in tale norma contenuta, soltanto in via indiretta; vale a dire al fine di desumere dall’obbligo di custodia sancito dalla norma a carico dell’appaltatore “sino al collaudo”, la sussistenza in capo al medesimo appaltatore della qualità di custode anche nei confronti di terzi, e, quindi, anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 2051 cod. civ. Pertanto, la vera ratio della decisione d’appello è da rinvenirsi nell’applicazione di tale ultima norma, considerata, non solo e non tanto con riguardo a quanto disposto dall’art. 16, ma anche con riguardo al dato fattuale sia dell’ultimazione dei lavori sia soprattutto della presa d’atto da parte del Comune committente di tale ultimazione dei lavori e quindi della presa in consegna delle opere appaltate.

5.2.- Riservando al successivo punto 6, le considerazioni relative all’applicazione fatta dell’art. 2051 cod. civ., va qui evidenziato – per completare la motivazione in punto di riferimento alla normativa speciale sugli appalti pubblici – che, dovendosi escludere un’applicazione diretta di questa, nel caso di specie è corretto il riferimento, fatto anche dalla ricorrente, alle norme dell’art. 1655 c.c. e segg., specificamente alla norma dell’art. 1665 cod. civ. Orbene, è incontestato che anche l’appaltatore di diritto privato sia custode delle opere appaltate, nonchè dei beni destinati all’esecuzione della prestazione e che, in tale qualità ed avendo, appunto a causa di questa qualità, il potere di fatto sulle une e sugli altri, possa rispondere dei danni prodotti a terzi ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. La qualità di custode dell’appaltatore, nei rapporti col committente, viene meno quando quest’ultimo si riceva la consegna della cosa, ai sensi dell’art. 1665 cod. civ.. In proposito, s’impongono le seguenti precisazioni:

la consegna, così come contemplata dall’art. 1665 cod. civ., non può essere confusa con l’attività di collaudo dell’opera pubblica:

la “consegna” dell’opera è atto sostanzialmente unitario e tendenzialmente istantaneo, il quale, seguendo l’ultimazione dei lavori, implica, per il committente che voglia evitare di essere ritenuto “accettante”, il coevo insorgere dell’onere di una precisa formulazione di riserve; invece, l’appalto di opera pubblica conosce, sul piano della “consegna” dell’opera, tutta una serie di atti i quali, partendo dal verbale di ultimazione dei lavori, sono destinati a confluire nel collaudo, che è l’atto formale indispensabile ai fini dell’accettazione dell’opera stessa da parte della pubblica amministrazione (cfr. Cass. n. 10992/04; n. 15013/11). Allora, va corretta la motivazione della sentenza impugnata che ha fatto riferimento al collaudo, essendo rilevante ai fini della decisione soltanto l’individuazione del momento della consegna delle opere appaltate; nel caso di specie la definitiva (ri)consegna del tratto di strada (OMISSIS), in cui avvenne l’incidente, al comune di Maser che ne aveva appaltato i lavori di rifacimento del manto stradale;

la consegna dei lavori è atto materiale e si distingue dall’accettazione, che invece è manifestazione di consenso negoziale (cfr. Cass. n. 12829/04, n. 5131/07). Nel caso di specie, non rileva l’accettazione delle opere da parte del committente – e non rileva, contrariamente a quanto sembrano presupporre alcuni argomenti difensivi delle parti, in specie del Comune di Maser, nemmeno che l’opera eseguita dall’impresa appaltatrice fosse o meno viziata o difettosa: l’accettazione, appunto, è significativamente rilevante soltanto nei rapporti interni, ai fini dell’operatività delle garanzie di cui all’art. 1667 cod. civ.. Nel caso di specie, invece, occorre individuare il soggetto (o i soggetti) cui, alla data di verificazione dell’incidente, incombesse l’obbligo di custodia: la giurisprudenza di questa Corte, che qui si richiama, è nel senso che, a tale ultimo fine, rileva il momento della consegna dell’opera (cfr., tra le altre, Cass. n. 20825/06, nonchè, da ultimo, Cass. n. 16029/10);

più in particolare, in caso di esistenza di un cantiere stradale, si è ripetutamente affermato che se l’area di cantiere risulti delimitata ed affidata all’esclusiva custodia dell’appaltatore, con conseguente assoluto divieto su di essa del traffico veicolare e pedonale, dei danni subiti all’interno di questa area risponde esclusivamente l’appaltatore, che ne è l’unico custode; vi è la responsabilità concorrente dell’ente titolare della strada allorquando, invece, l’area su cui vengono eseguiti i lavori e insiste il cantiere risulti ancora adibita al traffico e, quindi, utilizzata a fini di circolazione, denotando questa situazione la conservazione della custodia da parte dell’ente (cfr. Cass. n. 19474/05; n. 15383/06, n. 12425/08). Va sottolineato che non si tratta di applicare direttamente tale ultimo principio poichè, come detto, non è (più) in discussione la posizione, quindi la responsabilità, del Comune di Maser; si tratta piuttosto di precisare che l’eventuale concorrente obbligo di custodia in capo a quest’ultimo – in ipotesi, per avere (ri)aperto al traffico la strada su cui erano stati eseguiti i lavori da parte dell’impresa Zanesco – non è di per sè sola sufficiente ad escludere l’obbligo di custodia di quest’ultima quale impresa appaltatrice. Ed, invero, l’appaltatore continua a rispondere, nei confronti dei terzi danneggiati, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. fintantochè non abbia consegnato materialmente il tratto di strada interessato all’ente committente.

In conclusione, in caso di appalto di diritto privato, l’appaltatore risponde nei confronti dei terzi per danni verificatisi a causa dei lavori di manutenzione ovvero di rifacimento di un tratto di strada, qualora, a prescindere dalla (eventuale) responsabilità concorrente dell’ente proprietario della strada e committente dei lavori, non abbia effettuato nei confronti di quest’ultimo la consegna ai sensi dell’art. 1665 cod. civ. L’accertamento dell’avvenuta ricezione della consegna dell’opera da parte del committente rientra nei poteri del giudice del merito, non sindacabile in cassazione se congruamente e logicamente motivato.

6.- A completamento di quanto appena detto, va affrontato il secondo profilo di censura alla sentenza impugnata. Tale censura fa leva sul disposto dell’art. 2051 cod. civ., per sostenere che la Corte d’Appello ne avrebbe fatto errata applicazione, poichè non avrebbe verificato la permanenza in capo all’impresa appaltatrice del potere di fatto che sta a fondamento della relativa azione di responsabilità e si sarebbe invece soffermata a valutare soltanto il profilo formale del mancato collaudo.

6.1.- La censura non è meritevole di accoglimento, poichè è da escludere che la valutazione della Corte d’Appello sia basata soltanto sul dato formale del mancato collaudo, in quanto, al contrario, si fonda anche sulla ritenuta permanenza in capo all’appaltatore di un potere di fatto sulla cosa.

E’ vero che il giudice di merito ha, come detto sopra, erroneamente richiamato il D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 16 ma questo richiamo non esaurisce la motivazione della sentenza, dal momento che essa ha altresì valorizzato il dato della ultimazione dei lavori, e quindi della relativa certificazione, non intendendo lo stesso rilevante sul piano formale. Piuttosto, la Corte se ne è avvalsa, allo scopo di argomentare che, fino alla data in cui non rilasciò il certificato di ultimazione dei lavori, il Comune appaltante non riprese definitivamente in consegna il tratto di strada che – sia pure unitamente ad altre opere – ne era oggetto; ed ha, a tale proposito, correttamente presupposto, sia pure per implicito, che fosse del tutto irrilevante il fatto che la strada riprese ad essere utilizzata per il pubblico transito, non essendo tale circostanza, di per sè sola, sufficiente a liberare l’impresa dai suoi obblighi di custodia.

In diritto, è perciò corretta, e non viola il disposto dell’art. 2051 cod. civ., l’interpretazione, risultante dalla sentenza impugnata, per la quale l’impresa Zanesco mantenne detti obblighi, perchè rimase comunque nella possibilità di esercizio di un potere di fatto sulla strada, malgrado avesse dismesso il cantiere in quanto riteneva di avere ultimato tutti i lavori (secondo quanto si legge nella sentenza impugnata), vale a dire in ragione di una valutazione e di una condotta unilaterali, a cui il Comune committente non risultava aver dato alcun riscontro. L’assunto che la dismissione unilaterale del cantiere non comporti, di per sè, il venir meno degli obblighi di custodia dell’appaltatore è corretto, tenuto conto della previsione dell’art. 1665 c.c., comma 3, che, interpretata come sopra, presuppone che l’appaltatore si liberi dei propri obblighi nei confronti dei terzi soltanto quando (ri)consegni i beni al committente; e ciò in ragione del fatto che, fino a tale momento, mantiene un vero e proprio potere di fatto sulla cosa. Nè siffatta affermazione può trovare smentita nella circostanza che in concreto questo non venga esercitato, essendo rilevante, ai fini dell’art. 2051 cod. civ., la possibilità di detto esercizio, e non l’esercizio effettivo. Anche quest’ultimo accertamento rientra nei poteri del giudice del merito, trattandosi di apprezzamento di fatto precluso a questa Corte.

7.- Allora diviene determinante l’esame della censura concernente il vizio di motivazione poichè, essendo corretto il principio di diritto su cui la Corte d’Appello ha basato la propria decisione, occorre verificare se, come assume la ricorrente, le risultanze della prova testimoniale e di quella documentale fossero tali da dimostrare, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo – che ne avrebbe trascurato l’esame -, l’avvenuta definitiva consegna della strada al Comune da parte dell’impresa e, quindi, il definitivo venir meno in capo a quest’ultima del potere di fatto in ragione del quale se ne è affermata la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. In particolare, sostiene la ricorrente che la motivazione sarebbe viziata perchè non avrebbe tenuto conto dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Maser del 2 ottobre 1995, che aveva disposto la sospensione del traffico in via (OMISSIS) soltanto nei giorni 4 e 5 ottobre 1995, e delle deposizioni dei testimoni D., V. e C., secondo cui, dopo l’esecuzione dei lavori di posa dell’asfalto, il cantiere venne smontato e la strada rimase percorribile.

7.1.- Occorre premettere che, ai fini della configurabilità del vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario che “il mancato esame di elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia sia tale da invalidare, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle risultanze sulle quali il convincimento del giudice è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base, ovvero che si tratti di un documento idoneo a fornire la prova di un fatto costitutivo, modificativo o estintivo del rapporto giuridico in contestazione, e perciò tale che, se tenuto presente dal giudice, avrebbe potuto determinare una decisione diversa da quella adottata” (cfr. così Cass. n. 14304/2005, ma nello stesso senso, tra molte, anche Cass. n. 10156/2004, n. 5473/2006, n. 21249/2006, n. 9245/2007).

7.2- Malgrado non si sia occupata di dette risultanze documentali, si deve escludere che la valutazione di queste avrebbe condotto la Corte a decidere in senso favorevole alla impresa Zanesco.

L’ordinanza sindacale del 2 ottobre 1995 (della quale peraltro manca in ricorso il testo integrale), ove relativa – come sostenuto dalla ricorrente – alla sola circostanza della sospensione del traffico veicolare, è del tutto inidonea allo scopo, poichè, per come risulta dai precedenti richiamati al punto n. 5.2 di cui sopra, la riapertura (o la mancata chiusura) al traffico di una strada, sulla quale sono eseguiti lavori dati in appalto, è circostanza di fatto rilevante per sostenere il concorrente obbligo di custodia dell’ente titolare della strada medesima, non certo per escludere l’obbligo di custodia incombente sull’appaltatore.

7.3. Quanto alle testimonianze, nessuna delle deposizioni, così come richiamate e riportate in ricorso, fornisce la prova di una o più circostanze che, se espressamente considerate, avrebbero condotto con certezza ad una diversa soluzione della controversia.

Trattasi, infatti, di testimonianze concernenti esclusivamente l’abbandono del luogo dei lavori da parte dell’impresa appaltatrice, ma non anche la consegna degli stessi lavori al Comune committente;

più specificamente, esse risultano inidonee, sia se considerate singolarmente ma anche se considerate nei loro reciproci rapporti, a modificare il presupposto fattuale su cui risulta fondata la decisione della Corte d’appello, vale a dire che – prima della redazione del certificato di ultimazione dei lavori – non vi sia stato un momento in cui il Comune li abbia comunque ricevuti, liberando definitivamente l’impresa dagli obblighi di custodia e di manutenzione sulla stessa incombenti in quanto appaltatrice.

8.- Il ricorso proposto nei confronti di C.F. va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, liquidate, in favore del resistente, come da dispositivo.

PQM

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso nei confronti di C.F. e lo dichiara inammissibile nei confronti del Comune di Maser, assorbito perciò il ricorso incidentale condizionato.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, in favore del Comune di Maser e di C.F., nella somma di Euro 1.500,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) per ciascuno, oltre rimborso spese processuali, IVA e CPA come per legge per entrambi.

Così deciso in Roma, il 3 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2011

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