Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2559 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. I, 04/02/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 04/02/2020), n.2559

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – rel. Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34136/2018 proposto da:

I.J., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Giuseppe Briganti, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno domiciliato per legge in Roma Via Dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 18/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/12/2019 dal Cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Ancona, con decreto pubblicato il 18 ottobre 2018, respinge il ricorso proposto da I.J., cittadino del Bangladesh, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente non ha allegato di essere affiliato politicamente o di aver preso parte ad attività di associazioni per i diritti civili, nè di appartenere ad una minoranza etnica e/o religiosa oggetto di persecuzione come richiesto per la protezione internazionale nè lo stesso risulta compreso nelle categorie di persone esposte a violenze, torture o altre forme di trattamento inumano;

b) pertanto, i fatti riferiti non sono riconducibili alle previsioni della Convenzione di Ginevra, in quanto l’appartenenza al BNP riguarderebbe il padre e lo zio del richiedente mentre quest’ultimo non ha preso parte ad alcuna attività politica nè risulta iscritto o simpatizzante di uno dei due partiti nazionali pertanto non corre il rischio di atti persecutori diretti e personali come richiesti;

c) neppure sussistono i presupposti per la protezione sussidiaria, visto che le notizie raccolte da aggiornate fonti internazionali affidabili evidenziano che la generica gravità della situazione socio-economica del Bangladesh e la mancata possibilità di esercitare le libertà democratiche non si traducono in timori di grave persecuzione per il richiedente nè possono dirsi presenti situazioni di violenza indiscriminata o di conflitto armato – pur nell’ampia accezione indicata dalla giurisprudenza – che possano coinvolgere il ricorrente non si registrandosi una situazione tale per cui la sola presenza dei civili metta in pericolo la loro vita o la loro incolumità;

d) peraltro il racconto del ricorrente è risultato pieno di contraddizioni e tale da rilevare che il motivo scatenante dell’espatrio sia rappresentato dalla necessità di mantenere economicamente la famiglia d’origine che vive in Bangladesh;

e) neppure può essere concessa la protezione umanitaria perchè la situazione del Paese di provenienza esclude la sussistenza di una condizione di elevata vulnerabilità all’esito del rimpatrio; le condizioni individuali di vulnerabilità rappresentate dal ricorrente non consentono da sole il rilascio del permesso per motivi umanitari e, d’altra parte, dai documenti prodotti non emerge alcuno sforzo serio compiuto dall’interessato per una effettiva integrazione nel tessuto socio-economico nazionale, non potendo la sola titolarità di un rapporto di lavoro essere sufficiente;

3. il ricorso di I.J., illustrato da memoria, domanda la cassazione del suddetto decreto per tre motivi;

4. il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il ricorso è articolato tre motivi;

1.1. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità del decreto impugnato per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 1 e 13, artt. 737,135 e 136 c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6, in considerazione delle lacune motivazionali riscontrabili per il rigetto sia della domanda di concessione dello della protezione internazionale sia della domanda di concessione della protezione umanitaria, non essendo esplicitate le ragioni logico-giuridiche di tali pronunce e, in particolare del rigetto del permesso di soggiorno per motivi umanitari che dovrebbe basarsi sulla effettiva valutazione comparativa di cui a Cass. n. 4455 del 2018;

1.2. con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione di numerose disposizioni normative per non avere il Tribunale preso in esame le dichiarazioni del ricorrente nella loro integralità al fine della valutazione della relativa credibilità, disponendo eventualmente l’audizione dell’interessato per colmare eventuali lacune probatorie o chiarire contraddizioni e comunque attivando i poteri istruttori officiosi anche per approfondire le notizie sulla situazione generale del Paese di origine;

1.3. con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 6 e 13 della CEDU, dell’art. 47 della Carta UE dei diritti fondamentali, dell’art. 46 della direttiva 2013/32/UE, richiamandosi le argomentazioni dei precedenti due motivi ed aggiungendosi che il principio di effettività del ricorso non può dirsi rispettato in presenza della denunciata violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice;

2. l’esame congiunto dei motivi di censura – reso opportuno dalla loro intima connessione – porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, per le ragioni di seguito esposte;

2.1. in linea generale va rilevato che le censure proposte, nella sostanza, si risolvono nella denuncia, di per sè inammissibile, di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti sulla cui base sono state respinte le domande di protezione internazionale e di protezione umanitaria, esse pertanto finiscono con l’esprimere un mero – e, di per sè, inammissibile – dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze processuali effettuate dal Tribunale a proposito della condizione personale del ricorrente sulla base sia dei dati tratti da fonti accreditate sia delle dichiarazioni dell’interessato;

3. in particolare, poi, risulta del tutto inammissibile per genericità la censura – che ha un ruolo centrale nel ricorso – di motivazione apparente del decreto impugnato con riguardo al rigetto delle domande di protezione internazionale e di protezione umanitaria;

3.1. invero, in base alla costante giurisprudenza di legittimità, la “motivazione apparente” ricorre allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente – come parte del documento in cui consiste la sentenza (o altro provvedimento giudiziale) – non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice. In questo senso possono citarsi numerose pronunce che convergono nella indicata nozione, talora variamente accentuandone i diversi elementi (ex plurimis, Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009; n. 4488 del 2014; sezioni unite n. 8053 e n. 19881 del 2014);

3.2. nella specie sia per quel che riguarda il rigetto della protezione internazionale sia per quanto si riferisce al rigetto della protezione umanitaria non è ipotizzabile il vizio denunciato perchè entrambe le statuizioni risultano sostenute da una chiara – ancorchè sintetica – motivazione;

3.3. nel primo caso, risulta chiaramente che è stata esclusa la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione internazionale per la principale ragione secondo cui il racconto del ricorrente si è ritenuto pieno di contraddizioni e tale da rivelare che il motivo scatenante dell’espatrio sia rappresentato dalla necessità di mantenere economicamente la famiglia d’origine che vive in Bangladesh, affermazione quest’ultima – che costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (vedi, per tutte: Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340) – che è sufficiente a dimostrare l’insussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’invocata cooperazione istruttoria officiosa e quindi per la stessa applicazione delle norme richiamate, visto che esclude in radice la concedibilità della protezione internazionale, in quanto coloro che emigrano solo per migliorare la situazione economica propria e della propria famiglia possono avere ingresso nel nostro Paese attraverso l’applicazione della diversa disciplina basata sulla periodica regolamentazione dei flussi migratori (vedi, per tutte: Cass. 17 maggio 2019, n. 13444);

3.4. d’altra parte, è altrettanto chiaro che il rigetto della protezione umanitaria è stato disposto per mancanza di elementi da cui desumere che l’interessato versi in una delle ipotesi di vulnerabilità rilevanti per la suddetta forma di protezione, non essendo stata neanche dimostrata, in modo specifico, l’avvenuta integrazione e stabilizzazione in Italia;

3.5. nella descritta situazione la suddetta censura di “motivazione apparente” è da considerare senz’altro inammissibile, in quanto la motivazione contenuta nel decreto impugnato, con riguardo alle statuizioni contestate, risulta dotata della concisa esposizione sia delle ragioni di fatto della decisione (descrizione sintetica della fattispecie esaminata) sia delle ragioni di diritto delle decisioni stesse, cioè di una esposizione logica e adeguata al caso di specie che consente di cogliere l’iter logico-giuridico seguito e comprendere se le tesi prospettate dalle parti siano state tenute presenti nel loro complesso;

3.6. si tratta, quindi, di una motivazione che non corrisponde affatto alla suindicata nozione di “motivazione apparente”, alla quale il ricorrente fa riferimento nel tentativo di ottenere in questa sede una diversa valutazione delle risultanze processuali effettuate dal Tribunale a proposito della condizione personale del ricorrente, senza contestare utilmente, da un lato, la configurata motivazione dell’emigrazione del richiedente come di tipo meramente economico e dall’altro la affermata carenza dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria rilevate dal Tribunale;

3.7. infatti, nel presente ricorso le suddette affermazioni non risultano contestate in modo specifico e sulla base dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis – mentre ci si limita a sostenere che le attuali condizioni socio-politiche del Paese di origine sarebbero sufficienti per la concessione della protezione sussidiaria, così esprimendosi un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e invocando, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse;

3.8. di qui l’inammissibilità delle censure configurate come vizi di violazione di norme di diritto, visto che la deduzione di tale vizio, consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione), postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicchè è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (vedi, per tutte: Cass. 13 marzo 2018, n. 6035);

4. a ciò va aggiunto che risulta impropria l’invocazione dell’attivazione dei poteri istruttori officiosi visto che la vicenda narrata è risultata estranea al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), e questa Corte è già reiteratamente intervenuta a chiarire che il “ruolo attivo” nell’istruttoria della domanda che (l’autorità amministrativa e) il giudice del merito sono chiamati a svolgere in base al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in particolare comma 5, si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, visto che l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, essendo il richiedente tenuto a presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio;

4.1. pertanto, come ribadito anche di recente, soltanto se il richiedente il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto l’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, può sorgere il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (quale, come nella specie, quella di cui al D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c: Cass. 28 giugno 2018, n. 17069; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016);

4.2. questo è l’unico ambito nel quale, una volta assolto l’onere di allegazione da parte dell’interessato, il giudice può esercitare il suddetto “ruolo attivo” istruttorio, che può tradursi nell’acquisizione officiosa degli elementi ritenuti necessari in tale ambito, mentre la suddetta cooperazione istruttoria del giudice non può riguardare le individuali condizioni del soggetto richiedente;

4.3. sicchè, all’evidenza, è da escludere l’invocazione dell’anzidetto ruolo attivo istruttorio del giudice laddove le dichiarazioni siano state considerate non sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503) oppure generiche e contraddittorie o addirittura tali da evidenziare che le motivazioni della emigrazione del ricorrente siano solo di tipo economico, come si verifica nella specie e non viene utilmente contestato nel ricorso;

5. nell’anzidetta situazione risultano irrilevanti anche le censure relative alla mancata audizione del richiedente da parte del Tribunale, censure che peraltro risultano proposte senza considerare che, in base al consolidato orientamento di questa Corte nel giudizio di impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale (Cass. 28 febbraio 2019, n. 5973);

6. per quanto si è detto, risulta inammissibile, perchè irrilevante, anche il profilo di censura con il quale si denuncia la violazione del principio di effettività del ricorso derivante dall’asseritamente mancata utilizzazione da parte del Giudice dei poteri istruttori officiosi;

7. va ricordato, peraltro, che secondo la Corte di Strasburgo, requisito essenziale per il rispetto del diritto al ricorso effettivo al giudice è quello della garanzia in favore dell’interessato dell’effettiva conoscenza della facoltà di esercitare il proprio diritto a prender parte al procedimento e, di conseguenza, ad un equo processo (Corte EDU, sentenza 27/04/2017, Schmidt c. Lettonia);

7.1. nella specie, il ricorrente non deduce di non aver potuto esercitare tale diritto;

8. deve essere, infine, precisato che Cass. 12 settembre 2018, n. 22233, reiteratamente richiamata dal ricorrente, ha esaminato una fattispecie diversa dalla presente nella quale risultava che il Giudice del merito non aveva effettuato un esame dei fatti prospettati anche alla luce delle condizioni sociopolitiche generali di suddetto Paese, in ordine a possibili discriminazioni per motivi religiosi (nel contrasto ivi esistente tra sciiti e sunniti);

9. in sintesi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

10. le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

11. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, ove il versamento ivi previsto risulti dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate Euro 2100,00 (duemilacento/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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