Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25588 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. II, 12/11/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 12/11/2020), n.25588

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23305-2019 proposto da:

S.M., alias D.M. ammesso al patrocinio a spese

dello Stato e rappresentato e difeso dall’avvocata Valentina Nanula,

ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocata Stefania

Paravani, in Roma, Viale delle Milizie, 38;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1384/2019 della Corte d’appello di Milano

pubblicata il 27/3/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/07/2020 dal Consigliere Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente giudizio trae origine dal ricorso che il sig. S.M., cittadino (OMISSIS), ha presentato avverso la sentenza della corte d’appello di Milano che ha rigettato il ricorso contro l’ordinanza del tribunale di Milano confermativa del diniego della protezione internazionale, sussidiaria e di quella umanitaria statuito dalla Commissione territoriale di Milano;

– il ricorrente ha impugnato l’ordinanza del tribunale chiedendo alla corte di appello di Milano di riformare integralmente la decisione riconoscendo la protezione internazionale nelle sue varie forme;

– a sostegno della richiesta, egli ha dichiarato di essere orfano di entrambi i genitori e di aver lasciato il (OMISSIS) dirigendosi prima in Senegal, poi in Mali, quindi in Niger e in Libia, a causa delle minacce ricevute dall’uomo che lo aveva allevato dopo la morte dei genitori, minacce motivate dal fatto che il ricorrente aveva una fidanzata (OMISSIS) che desiderava sposare nonostante il patrigno, di fede (OMISSIS), fosse contrario stante la diversità di religione;

– la corte d’appello di Milano rigettava tutte le domande del ricorrente statuendo l’insussistenza delle condizioni legittimanti il riconoscimento della protezione domandata;

– la cassazione del provvedimento è chiesta con ricorso tempestivamente notificato ed affidato a due motivi;

– non ha svolto attività difensiva l’intimato Ministero dell’interno.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 per non avere la corte d’appello assolto al dovere di cooperazione istruttoria gravante in capo all’autorità giudiziaria;

– secondo il ricorrente, le argomentazioni addotte dalla corte milanese per giustificare la non attendibilità delle dichiarazioni del richiedente sarebbero non sufficientemente motivate e in aggiunta a ciò, l’attività di indagine riguardo alla situazione attuale del (OMISSIS) sarebbe stata svolta in maniera approssimativa e poco aderente alla realtà;

– la censura è infondata;

– con riguardo al mancato riconoscimento dello status di rifugiato la corte ha ritenuto contraddittorie le circostanze narrate dal richiedente sottolineando come lo stesso le abbia arricchite di riferimenti alla religione che non aveva fatto in occasione della prima audizione avanti alla commissione;

– la corte territoriale ha inoltre evidenziato la non plausibilità delle stesse rispetto a più aspetti (i contatti con la fidanzata e l’omesso ricorso alla polizia locale per denunciare l’asserita persecuzione posta in essere dal patrigno);

– ebbene tali considerazioni appaiono coerenti con la disciplina del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 come costantemente interpretati da questa Corte (cfr. Cass.28862/2018; 33858/2019, 11924/2020) atteso che anche recentemente è stato ribadito che il dovere di cooperazione ufficiosa non sorge per il solo fatto che sia stata proposta domanda di protezione internazionale, collocandosi in stretta connessione con la circostanza che il richiedente abbia fornito una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile (Cass. 8819/2020);

– la ritenuta non plausibilità delle dichiarazioni ha pertanto legittimamente giustificato il rigetto della protezione internazionale nella forma del rifugio e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b);

– con riguardo alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) la censura è infondata perchè la corte distrettuale ha applicato i principi interpretativi fissati anche dalla giurisprudenza Eurounitaria (cfr. CGUE 1 gennaio 2014, causa C-285/12) al fine di verificare – per mezzo di fonti autorevoli e aggiornate (Human Rights Watch 2018, cfr. pag. 5 della sentenza), se la violenza indiscriminata nel (OMISSIS) abbia raggiunto un livello tale talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (cfr. Cass. 13858/2018);

– il diniego appare pertanto legittimamente formulato atteso che neppure le fonti indicate dal ricorrente ((OMISSIS) e (OMISSIS)) depongono nel senso della attestazione della situazione di conflitto generalizzato e violenza indiscriminata rilevanti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui alla lett. c);

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione, dell’art. 5 comma 6 e art. 19 T.U. Immigrazione, D.Lgs. n. 286 del 1998, per non avere la corte territoriale riconosciuto al richiedente la protezione internazionale per motivi umanitari, non valorizzando il livello di integrazione e di radicamento raggiunto nel nostro Paese, ed, in ragione dell’attuale situazione interna del Paese d’origine del richiedente;

– ad avviso del ricorrente, il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato è incorso in errore per non avere valorizzato nè la circostanza della sua integrazione sociale nel nostro Paese nè i profili di vulnerabilità soggettiva – il motivo è infondato;

– nessuna censura può essere opposta al giudice dell’appello, il quale ha esaminato la situazione personale del ricorrente ai fini dell’individuazione di eventuali profili di vulnerabilità e ha escluso l’accoglimento della richiesta argomentando sulla base della comparazione (cfr. Cass. 4455/2018, Sez. Un. 29459/2019) fra il modesto grado di integrazione lavorativa, desunto dalla mancanza di un lavoro regolare oltre che di formazione professionale e linguistica, e l’insussistenza del rischio di persecuzione e quindi di esposizione al rischio di perdita di diritti fondamentali in caso di rimpatrio forzato;

– atteso l’esito sfavorevole di entrambi i motivi, il ricorso va respinto;

– nulla va disposto sulle spese atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato Ministero;

– ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

 

 

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