Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25587 del 27/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 27/10/2017, (ud. 02/10/2017, dep.27/10/2017),  n. 25587

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. SCARLINI Enrico Valerio – Consigliere –

Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio – Consigliere –

Dott. MONTAGNI Andrea – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 26829 del ruolo generale del 2014,

proposto da:

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del direttore pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello

Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei

Portoghesi, n. 12, si domicilia;

– ricorrente –

contro

s.r.l. Diamante Fruit, già s.r.l. Ortofrutticola Acese dei fratelli

G., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al

controricorso, dall’avv. Alessandro Vagliasindi, col quale

elettivamente si domicilia in Roma, al corso d’Italia, n. 19, presso

lo studio dell’avv. Franco Paparella;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Catania 25

settembre 2013, n. 1675;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 2

ottobre 2017 dal consigliere Angelina-Maria Perrino;

udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Sorrentino Federico, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

sentiti per l’Agenzia l’avvocato dello Stato Pasquale Pucciariello e

per la società l’avv. Alessandro Vagliasindi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La s.r.l. Ortofrutticola Acese, alla quale è subentrata l’odierna controricorrente, importò banane nel territorio nazionale in base a certificati AGRIM apparentemente emessi dall’ODEADOM (Ufficio Sviluppo dell’Economia Agricola dei Dipartimenti d’Oltre Mare) di Parigi, in relazione ai quali, tuttavia, l’Agenzia delle dogane sollecitò un controllo inviandone copia all’Ufficio francese.

L’Agenzia riferisce che il riscontro dell’Ufficio consentì di acclarare che dei 105 certificati sottoposti a controllo 101 erano falsi, in ragione della contraffazione del timbro e della falsità della sottoscrizione del dirigente dell’Ufficio. Sicchè l’Agenzia delle dogane, ricevuta la nota prot. 30001 del 10 novembre 2000 con la quale il Ministero delle Finanze dava conto di queste indagini, procedette alla revisione di accertamento delle bollette correlate ai titoli risultati falsi. Da queste verifiche scaturì anche un’indagine penale che condusse alla condanna, divenuta cosa giudicata, del legale rappresentante dell’epoca della società, fondata sulla falsità dei certificati.

Ne seguì la notificazione dei conseguenti atti di revisione degli accertamenti e di 155 inviti al pagamento con i quali l’Agenzia recuperò le differenze fra i diritti doganali versati in misura ridotta e l’importo in misura piena, che la società impugnò, ottenendone l’annullamento in primo grado.

La Corte d’appello, adita dall’Agenzia, ne ha respinto il gravame.

Ciò in quanto ha escluso la rilevanza probatoria della nota ministeriale dinanzi indicata, nonchè di quella con la quale l’ODEADOM dichiarava di aver verificato la falsità della maggioranza dei certificati; ha escluso altresì la forza di giudicato nel processo della condanna penale del legale rappresentante dell’epoca della società, peraltro persona fisica diversa dal rappresentante della società nel processo civile. A tanto ha aggiunto che nessun rilievo può assumere la relazione dell’OLAF, sulla quale pure aveva puntato l’Agenzia, perchè non prodotta in giudizio.

L’Agenzia delle dogane ha proposto ricorso per ottenere la cassazione di questa sentenza, che ha affidato a due motivi, cui la società ha reagito con controricorso, che ha illustrato con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con i due motivi di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente perchè connessi, l’Agenzia delle dogane denuncia:

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2699 e 2700 c.c., degli artt. 12 e 16 del Regolamento CE n. 515/97 del 13 marzo 1997 e dell’art. 9 del Regolamento CE n. 1073 del 25 maggio 1999, là dove la Corte d’appello, pure a fronte di elementi di prova della falsità dei certificati AGRIM, ha sostenuto che l’Agenzia dovesse fornire ulteriori prove (primo motivo), nonchè – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 654 c.p.p., là dove la Corte d’appello ha spogliato di rilevanza la sentenza penale di condanna indicata in narrativa (secondo motivo).

1.1.- Va respinta l’eccezione d’inammissibilità del ricorso in quanto, contrariamente a quanto sostenuto in controricorso, la ricorrente vi espone in maniera esauriente gli elementi di fatto rilevanti.

1.2.- Nè, come sostiene la società, l’Agenzia sollecita una rivalutazione dei fatti.

Ciò che la ricorrente sollecita è la revisione del criterio di riparto dell’onere della prova applicato dal giudice d’appello, che conforma la lettura dei fatti e che in conseguenza è idonea a travolgere la chiave che della lettura di questi fatti la Corte d’appello ha applicato.

2.- Oltre che ammissibile, la complessiva censura è altresì fondata.

L’importazione di banane nell’allora Comunità europea è così disciplinata, all’epoca dei fatti in contestazione:

– gli operatori registrati in uno Stato membro come tradizionali o come nuovi arrivati possono ottenere per ogni anno rispettivamente un quantitativo di riferimento oppure un’assegnazione (art. 13 del regolamento n. 2362/98; disciplina analoga, per i profili d’interesse, era fissata dagli artt. 18 e 19 del regolamento n. 404/93);

– è il titolo di importazione o di esportazione che autorizza e obbliga, rispettivamente, a importare o ad esportare in forza di esso e, salvo casi di forza maggiore, durante il suo periodo di validità, limitato nel tempo, il quantitativo di prodotto o merce ivi indicato (art. 8 del regolamento n. 3719/88, richiamato dall’art. 22 del regolamento n. 2362/98; la regola si evince anche dall’art. 17 del regolamento n. 404/93);

– la domanda di rilascio del titolo d’importazione non è ammissibile se riguardi un quantitativo che ecceda quello spettante (art. 15 del regolamento n. 2362/98);

– i diritti derivanti dai titoli d’importazione sono trasferibili, alle condizioni stabilite dall’art. 9 del regolamento n. 3719/88, a un solo cessionario (art. 21 del regolamento n. 2362/98, salvo quanto previsto dal paragrafo 2).

2.1.- L’operatore che importi, presentando il titolo d’importazione, il quantitativo di banane corrispondente a quello di riferimento o all’assegnazione paga il dazio nella misura agevolata pari ad Euro 75,00 per tonnellata, in luogo di quella ordinaria, pari ad Euro 850,00 per tonnellata.

2.2.- Il titolo d’importazione, che è il c.d. certificato AGRIM, compendia dunque i presupposti di fruizione dell’agevolazione e costituisce la fonte esclusiva della legittimazione a goderne (in linea, Cass. 13 settembre 2013, n. 20944).

Il legittimo possesso di valido certificato AGRIM è quindi fatto costitutivo del diritto di fruire dell’agevolazione daziaria scaturente dall’impiego del titolo. Dal che deriva, in base alla regola fissata dall’art. 2697 c.c., che spetta a chi intende fruire dell’agevolazione, ossia alla contribuente, provare il legittimo possesso di valido certificato AGRIM (applicazione di un principio pacifico, confermato, tra le più recenti, da Cass. 16 giugno 2017, n. 14497).

La situazione non muta nel caso in esame, in cui si discute degli avvisi di pagamento con i quali l’Agenzia intende recuperare la differenza tra il dazio corrisposto in misura agevolata e quello in misura ordinaria che ritiene dovuto. Ciò in quanto il diritto controverso è pur sempre quello all’agevolazione daziaria, che l’Agenzia, con gli avvisi in questione, nega; di modo che è pur sempre il preteso titolare del diritto a dover provare il fatto costitutivo della propria pretesa.

2.3.- Il fatto costitutivo diviene bisognoso di prova quando sia contestato; e la contestazione dev’essere specifica, ai fini della delimitazione del tema da provare (principio anch’esso pacifico, in espressione del quale si veda, in via d’esempio, in tema di contestazione e prova dei presupposti di applicazione del regime dell’iva del margine, Cass., sez. un., 12 settembre 2017, n. 21105).

2.4.- Nel caso in esame, l’Agenzia delle dogane, denunciando la falsità dei certificati AGRIM presentati dalla società, non ha introdotto fatti impeditivi, modificati o estintivi del diritto di fruire dell’agevolazione daziaria fatto valere dalla contribuente, ma si è limitata a contestare il fatto costitutivo postone a fondamento.

Fatto costitutivo che va provato dalla contribuente, a seguito e per effetto della contestazione.

Si rivela quindi erronea la statuizione della sentenza impugnata, secondo la quale “l’onere dimostrativo” della falsità dei certificati AGRIM grava sull’Agenzia.

3.- Altresì erroneo è il governo dei criteri di valutazione degli elementi probatori comunque introdotti dall’Agenzia nel giudizio.

Anzitutto, in relazione a fattispecie similare a quella in esame, anch’essa concernente l’applicazione di dazi agevolati per l’importazione di banane, questa Corte ha sottolineato che della nota ministeriale che riferisce di indagini compiute dall’OLAF, dalle quali era emersa la falsità dei certificati AGRIM concernenti le importazioni in questione, “il giudice non avrebbe dovuto escludere qualsiasi valenza probatoria, quanto meno sul piano indiziario e presuntivo” (Cass. 8 marzo 2013, n. 5892; sulla medesima falsariga anche 19 settembre 2012, n. 15780).

Eccentrica rispetto alla materia del decidere è, invece, la pronuncia citata dal difensore della controricorrente in memoria e nuovamente richiamata nel corso della discussione orale (Cass. 30 maggio 2008, n. 14516), con la quale la Corte ha affrontato il tema della rilevanza della mancata produzione della relazione dell’Olaf in un quadro contrassegnato dall’adeguatezza dell’apprezzamento degli elementi istruttori da parte del giudice di merito.

3.1.- L’esclusione di ogni rilevanza probatoria della nota ministeriale si combina con la pretermissione della valutazione della nota proveniente dall’ODEADOM, con cui pure, si legge nella sentenza impugnata, “l’ente francese apparente autore dei certificati dichiara di avere verificato la falsità della maggioranza degli stessi”.

3.2.- E, ancora, il giudice d’appello ha trascurato la rilevanza sul piano indiziario della condanna penale definitiva del legale rappresentante dell’epoca della società, fondata sulla falsità dei ceritificati, giacchè si è limitato ad escluderne l’efficacia di giudicato nel processo civile (sulla rilevanza indiziaria del giudicato penale in quello tributario, vedi, tra varie, Cass. 27 febbraio 2013, n. 4924).

4.- Il ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese.

PQM

la Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

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