Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25586 del 30/11/2011

Cassazione civile sez. III, 30/11/2011, (ud. 25/10/2011, dep. 30/11/2011), n.25586

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FILADORO Camillo – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.D. (OMISSIS), T.M.A.

(OMISSIS) elettivamente domiciliati in Roma, via DORA 1,

presso lo studio dell’avvocato MARIA ATHENA LORIZIO, rappresentati e

difesi dall’avv. BELLANTUONO DOMENICO giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

M.E. (OMISSIS), considerato domiciliato ex lege in

ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato SEMERARO GIUSEPPE giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 285/2006 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 12/12/2006, R.G.N. 282/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/10/2011 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, in

subordine il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1. Con ricorso dep. il 3.12.97 alla sezione specializzata agraria del Tribunale di Taranto l’avv. M.E., premesso di aver concesso in affitto o soccida atipica – con scrittura privata 6.7.80 – ai coniugi B.D. e T.M.A. un suo gregge di novantasette pecore e tre montoni, oltre ad alcune scorte morte e con concessione dell’uso di locali di una masseria, ne chiese la condanna al risarcimento dei danni dal mancato rinvenimento di quei beni in sede di esecuzione di una precedente sentenza di condanna delle controparti alla restituzione di gregge e attrezzature, in misura pari al controvalore dei beni perduti;

1.2. i B. – T. eccepirono l’incompetenza della sezione specializzata agraria e, nel merito, la carenza di loro colpa nell’abbattimento dei capi, dovuta all’ingiunzione dell’AUSL perchè colpiti da brucellosi;

1.3. con una prima sentenza non definitiva del 5.4.04 l’adita sezione specializzata affermò la propria competenza e, con successiva sentenza del 3.4.06, condannò i resistenti a pagare al ricorrente la somma di Euro 20.512,55 a titolo di risarcimento;

1.4. avverso entrambe le sentenze i B. – T. proposero appello, che fu però respinto, con sentenza n. 285/06 della sezione specializzata agraria della sezione distaccata di Taranto della Corte di appello di Lecce (pubblicata il 12.12.06), con la riaffermazione della competenza della sezione specializzata e con esclusione della rilevanza dell’abbattimento, sia in quanto circostanza non fatta valere nel giudizio di risoluzione, sia in base ai principi del riparto della colpa per il debitore in mora, nonchè con esclusione della rilevanza della declaratoria di incostituzionalità dei criteri di determinazione del giusto affitto di fondi;

1.5. per la cassazione di tale ultima sentenza ricorrono B. D. e T.M.A., affidandosi a quattro motivi, corredati da quesiti di diritto; resiste con controricorso il M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. I ricorrenti formulano quattro motivi:

2.1. un primo (di “violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, artt. 47 e 46, dell’art. 2909 c.c., e della L. n. 29 del 1990, art. 9 per la non ritenuta competenza del giudice ordinario, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, da pag. 8 a pag. 16 del ricorso), corredandolo (a pag. 33 del ricorso) del seguente quesito:

“accerti la Suprema Corte di Cassazione se vi è stata violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, artt. 47 e 46, dell’art. 2909 c.c., e della L. n. 29 del 1990, art. 9 per la non ritenuta competenza del giudice ordinario, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ed enunci a norma dell’art. 363 c.p.c. il principio di diritto che ove, in un precedente giudizio tra le parti sia stata esclusa l’applicazione della L. n. 203 del 1982, nel conseguente giudizio risarcitorio non è competente la sezione specializzata agraria, bensì il giudice ordinario”;

2.2. un secondo (di “violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2699, 2700, 2170, 2171, 2173, 2175, 2909, 1218, 1221, 1591 c.c., … in riferimento all’art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c”, da pag.

16 a pag. 28 del ricorso), corredandolo (alle pagine 33 e 34 del ricorso) del seguente quesito: “accerti la Suprema Corte di Cassazione se vi è stata violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2699, 2700, 2170, 2171, 2173, 2175, 2909, 1218, 1221, 1591 c.c., per quanto riguarda l’affermazione che la perdita del bestiame per via della brucellosi avrebbe dovuto esser fatta valere nel precedente giudizio tra le parti, e che comunque la perdita del bestiame per abbattimento da parte della Autorità Sanitaria non sarebbe stata fornita e neppure individuata, e che comunque i debitori erano in mora nella restituzione del bestiame, delle attrezzature e degli immobili concessi, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ed enunci a norma dell’art. 363 c.p.c. il principio di diritto: ove in un precedente giudizio tra le parti non sia stata accertata la soppressione del bestiame per malattia a seguito di ingiunzione dell’Autorità Sanitaria, e tale soppressione sia avvenuta nel successivo giudizio risarcitorio promosso dal concedente nei confronti del concessionario, come risultante dalla documentazione proveniente dalla stessa Autorità Sanitaria, va esclusa la responsabilità del concessionario non essendo a lui ascrivibile la perdita del bestiame, e non potendo lo stesso concessionario considerarsi in mora nella restituzione del bestiame e delle attrezzature e degli immobili concessi, in quanto per via della malattia (brucellosi) da cui il bestiame era affetto, la soppressione sarebbe avvenuta anche se il bestiame stesso fosse rimasto nella disponibilità del concedente”;

2.3. un terzo (di “violazione e falsa applicazione degli artt. 2170, 2171 e 2175 c.c., … in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, da pag. 28 a pag. 30 del ricorso), corredandolo con il seguente quesito (alle pagine 34 e 35 del ricorso): “accerti la Suprema Corte di Cassazione se vi è stata violazione e falsa applicazione degli artt. 2170, 2171 e 2175 c.c., per la mancata considerazione che il bestiame era stato soppresso per ingiunzione dell’Autorità Sanitaria, a causa della brucellosi, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ed enunci a norma dell’art. 363 c.p.c. il principio di diritto: ove il bestiame sia stato soppresso per malattia su ingiunzione della Autorità Sanitaria, nulla è dovuto a titolo risarcitorio da parte del concessionario, non essendo a lui imputabile la soppressione del bestiame, e considerato altresì che il concedente aveva ricevuto le prestazioni stabilite nel contratto sino alla soppressione del bestiame stesso disposto dall’Autorità Sanitaria per malattia, come riconosciuto dallo stesso concedente in ordine alla corresponsione delle prestazioni pattuite”;

2.4. un quarto (di “violazione e falsa applicazione degli artt. 2170, 2171, 2175 c.c., nonchè della L. n. 203 del 1982, art. 9 e segg. …

in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, da pag. 30 a pag. 32 del ricorso), corredandolo con il seguente quesito (a pag. 35 del ricorso): “accerti la Suprema Corte di Cassazione se vi è stata violazione e falsa applicazione degli artt. 2170, 2171, 2175 c.c., nonchè della L. n. 203 del 1982, art. 9 e segg. sulla determinazione del canone di affitto, non avendo la corte del merito deciso se il contratto tra le parti debba considerarsi soccida o contratto di affitto di pecore, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, ed enunci a norma dell’art. 363 c.p.c. il principio di diritto: non avendo la corte del merito deciso se il contratto tra le parti fosse di soccida ovvero contratto di affitto di pecore, v’è contrasto ed opposizione tra le prestazioni stabilite per il primo ed il secondo contratto, nel senso che nel contratto di soccida sono dovute le prestazioni pattuite col contratto, mentre nel contratto di affitto il pagamento del corrispettivo dovuto, quale canone di affitto da corrispondersi in denaro, non può essere disposto immediatamente con la decisione di accoglimento della richiesta risarcitoria, a seguito della incostituzionalità del canone legale di cui a Corte cost. n. 318/2002, ed in mancanza della nuova normativa in sostituzione di quella dichiarata incostituzionale, che stabilisca il nuovo canone legale dovuto”.

3. Il controricorrente contesta partitamente la fondatezza dei motivi e, quanto al secondo, anche l’ammissibilità.

4. I motivi sono ora infondati, ora inammissibili; ed in particolare, a parte il profilo di illegittimità della proposizione in un unitario motivo dei vizi di cui all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5 senza la formulazione separata del quesito sul primo e del motivo di sintesi o di riepilogo sul secondo:

4.1. il primo motivo è inammissibile, perchè, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, in quest’ultimo – e neppure potendosi esso integrare con l’esame di altri atti, quand’anche richiamati – non viene riportato il tenore testuale delle pronunce rese nel pregresso giudizio di risoluzione del rapporto, da cui desumere la dedotta esclusione di quest’ultima da qualsiasi fattispecie riconducibile alla L. n. 203 del 1982 (e non soltanto, come argomenta il controricorrente a pag. 7 del controricorso, ma neppure lui riportando il testo delle decisioni presupposte, dalla conversione del rapporto già in corso alla fattispecie dell’affitto); sicchè, in difetto della prova del contenuto specifico di dette pronunce, si presenta questa alternativa: o va applicata la ferma giurisprudenza di questa Corte in ordine alla competenza, su tutti i rapporti di soccida, della sezione specializzata agraria (Cass., ord. 9 gennaio 2007, n. 194; Cass. 8 giugno 1999 n. 5613); oppure va rilevato che effettivamente, come rimarcato dal controricorrente, il contratto – avente ad oggetto l’allevamento di un gregge di cento capi tutti di buona qualità, con espresso obbligo di sostituzione di quelli che via via si sarebbero resi improduttivi – ben può ricondursi alla categoria dei contratti agrari rilevanti ai fini della L. 14 febbraio 1990, n. 29, art. 9 in quanto evidentemente funzionale all’esercizio di un’impresa zootecnica e quindi agricola;

4.2. il secondo motivo è inammissibile ed infondato:

4.2.1. inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione in ordine alla prima ratio decidendi posta dalla Corte territoriale a fondamento della reiezione della relativa doglianza dei ricorrenti: costoro insistono nel riferire la non imputabilità a loro medesimi dell’abbattimento degli animali, eseguito nel corso degli anni 2000 e 2001 (v. pie di pag. 19 ed inizio di pag. 20 del ricorso per cassazione), siccome dovuto all’ingiunzione dell’autorità sanitaria, ma poi, nel corpo del ricorso per cassazione, riproducono – e per di più solo parzialmente, alle pagine 18 e 19 del ricorso – solo il tenore di un provvedimento del Comune di Sava del 1997, dal quale non si ricava alcunchè non solo sulla corrispondenza degli animali con quelli oggetto del contratto, ma soprattutto sull’effettiva epoca dell’abbattimento di questi ultimi e sulla correlazione, nonostante l’intervallo temporale intercorso, tra insorgenza della malattia ed abbattimento; così omettendo di riprodurre il tenore della “ulteriore documentazione allegata al fascicolo di parte del giudizio di primo grado”, cui così si riferiscono a pie di pag. 19 del ricorso (ed a pag. 21, righe quinta e seguenti), nonchè di indicare la relativa precisa sede processuale, nonostante il carattere evidentemente decisivo di tali risultanze istruttorie dai medesimi ricorrenti riconosciuto; ed analogo discorso va fatto quanto alla deduzione della circostanza in sede di tentativo di conciliazione, la mancata reazione di controparte alla quale costituisce una condotta neutra, inidonea a fondare qualsivoglia ammissione; mentre, infine, le scansioni processuali del precedente giudizio, nel cui corso i giudici del merito avevano ritenuto sussistere l’onere di dedurre le circostanze, non sono qui indicate che assai sommariamente, in violazione – anche in questo caso – del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione;

4.2.2. infondato quanto alla seconda delle rationes decidendi poste dalla Corte territoriale a fondamento della reiezione della relativa doglianza dei ricorrenti, che identifica nella mora del debitore comunque il fondamento della sua responsabilità: il contratto era comunque scaduto fin da epoca precedente quella dell’abbattimento, sicchè, oltretutto in mancanza di prova della corrispondenza tra il bestiame malato e quello oggetto del contratto, in virtù di principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni ed a prescindere dalla qualificazione giuridica, gli animali dovevano comunque essere restituiti alla scadenza o quanto meno offerti ritualmente (benchè non anche formalmente) in restituzione, affinchè il debitore potesse andare esente dalle negative conseguenze della sua mora;

4.3. anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile e infondato, per motivi analoghi a quelli di cui al punto 4.2. in ordine sia alla violazione del principio di autosufficienza che alla infondatezza della tesi; solo qui aggiungendosi che il richiamo all’ammissione della percezione delle controprestazioni corrispettive fino all’abbattimento dei capi non fa certo venir meno la complessiva mora debendi in ordine all’obbligo di restituzione del bestiame alla già da tempo maturata scadenza contrattuale;

4.4. il quarto motivo è inammissibile perchè il quesito formulato, oltre che di involuto e non del tutto perspicuo tenore, non è di certo pertinente alla materia da decidere (sulla indispensabilità della pertinenza, per tutte, v. : Cass. Sez. Un., 18 novembre 2008, n. 27347; Cass. 4 gennaio 2011, n. 80; Cass. 23 maggio 2011, n. 11312): i giudici del merito motivano chiaramente sulla congruità ed idoneità della pattizia individuazione del corrispettivo anche in presenza della declaratoria di illegittimità costituzionale dei parametri di determinazione legale di quest’ultimo, a prescindere proprio dalla qualificazione contrattuale; quest’ultima resta quindi sostanzialmente estranea alla ratio decidendi, perchè quanto ad essa irrilevante: ed il quesito, che non si fa carico di valutare l’impatto della sola ragione del decidere (la richiamata prevalenza della volontà delle parti nella determinazione del corrispettivo) e che non può essere interpretato alla stregua del tenore testuale del motivo cui si riferisce (per costante giurisprudenza di questa Corte, altrimenti vanificandosi la funzione e la natura del quesito, come autonomo ed autosufficiente momento di individuazione del tema da decidere), è quindi non pertinente.

5. Il ricorso va quindi rigettato, con conseguente solidale condanna – per l’identità della posizione processuale – dei ricorrenti alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna B.D. e T. M.A. – tra loro in solido – al pagamento, in favore di M.E., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 25 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2011

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