Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25580 del 27/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 27/10/2017, (ud. 22/06/2017, dep.27/10/2017),  n. 25580

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6909-2011 proposto da:

CONSORZIO AGRARIO PROVINCE DEL NORD-OVEST, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

DARDANELLI 37, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CAMPANELLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE MAROTTA giusta delega

in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2/2010 della COMM.TRIB.REG. del PIEMONTE

depositata il 25/01/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/06/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO BERNAZZANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato MAROTTA che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato DETTORI che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A seguito di accertamento relativo agli anni di imposta 2003 e 2004, l’Agenzia delle Entrate-Ufficio di Cuneo contestava, nei confronti del Consorzio Agrario delle Province del Nord-Ovest a r.l., la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25-bis per aver omesso di assoggettare a ritenuta di acconto le somme corrisposte a titolo di rimborso delle spese di trasporto merci sostenute dagli agenti di commercio operanti per il Consorzio stesso. Veniva, altresì, contestata l’omessa fatturazione di operazioni di vendita presuntivamente realizzate, nonchè l’omessa regolarizzazione ai fini IVA di acquisti cosi come risultanti dal controllo della contabilità di magazzino da cui erano emerse delle differenze inventariali, in negativo ed in positivo, ritenute ingiustificate.

Avverso detto avviso di accertamento, il Consorzio Agrario proponeva ricorso avanti alla Commissione tributaria provinciale di Cuneo, deducendo la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25-bis, in quanto le prestazioni di trasporto merci non dovevano essere ricondotte al contratto di agenzia e, quindi, assimilate alle provvigioni ai fini dell’assoggettamento a ritenuta, bensì ad un autonomo contratto di trasporto stipulato dalle parti, ovvero, in subordine, costituivano spese anticipate per conto del mandante, non assoggettabili a ritenuta. Quanto ai rilievi ai fini IVA, deduceva l’insussistenza dei presupposti per poter desumere in via presuntiva l’esistenza di cessioni ed acquisti in evasione d’imposta.

La Commissione di primo grado, con sentenza n. 166/07 in data 24/11/2007, accoglieva parzialmente il ricorso del contribuente in relazione alle contestazioni ai fini IVA. Avverso tale decisione, il predetto Consorzio interponeva appello avanti alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, parimenti rigettato con sentenza n. 2/25/2010, emessa il 23/08/2009 e depositata il 25/01/2010, la quale accoglieva, per converso, l’appello incidentale spiegato dall’Agenzia delle Entrate. In particolare, i giudici di appello ritenevano che l’obbligo di effettuare ritenute di acconto, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25 bis, si applicasse “sulle provvigioni comunque denominate” e ricomprendesse tutte le somme a diverso titolo dovute all’agente, ivi compresa quella parte “economicamente riferibile alle spese dì trasporto”. Quanto alle contestazioni ai fini IVA, oggetto di appello incidentale, la CTR osservava che, a fronte dell’operatività della presunzione di acquisto e cessione di beni senza assolvimento d’imposta D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 53,D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441, artt. 1 e 3 la parte non aveva fornito idonea controprova, da individuarsi con riferimento alle specifiche prove documentali previste dal citato art. 53.

Il ricorso è affidato ad 8 motivi; il ricorrente ha, altresì, depositato memoria.

Resiste l’agenzia con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Appare opportuno, attesa la stretta connessione che li caratterizza, trattare congiuntamente i primi due motivi di ricorso.

1.1. Con il primo motivo, in particolare, il ricorrente denuncia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25-bis, D.P.R. n. 917 del 1986, art. 53 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Sotto tale profilo, il contribuente censura la decisione della CTR nella parte in cui, dopo aver ricondotto i corrispettivi percepiti dall’agente o rappresentante di commercio alla categoria dei redditi d’impresa ex art. 55 t.u.i.r. o, alternativamente, a quella dei redditi di lavoro autonomo ex art. 53 stesso t.u., ha osservato che, in entrambi i casi, tali componenti positivi di reddito sono da considerarsi come comprensivi di tutte le somme a diverso titolo dovute all’agente stesso, onde non sarebbe possibile (o non avrebbe rilievo ai fini che qui occupano) distinguere fra provvigioni e corrispettivi percepiti specificamente per l’attività di trasporto delle merci prese in carico e successivamente vendute ai clienti. Secondo il Consorzio ricorrente, tale interpretazione violerebbe le citate norme, precludendo la possibilità di distinguere, all’interno della categoria dei “compensi”, il titolo specifico in base al quale gli stessi sono stati percepiti, posto che l’obbligo di effettuare le ritenute, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25-bis riguarda soltanto le provvigioni (sia pure intese in senso lato) e non i corrispettivi percepiti in relazione ad una causa diversa, costituita da un autonomo contratto di trasporto che il Consorzio afferma essere stato stipulato con ciascun agente.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso, il Consorzio deduce un ulteriore – per quanto sostanzialmente sovrapponibile al primo – profilo di violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto avrebbe errato la CTR nell’intendere il riferimento operato dalla norma tributaria citata alle “provvigioni comunque denominate”, come equivalente di “corrispettivi a qualunque titolo percepiti”, dovendo, invece, ritenersi non assoggettabili a ritenuta quegli emolumenti che, pur denominati impropriamente quali rimborsi spese, avrebbero natura non di provvigioni ma di corrispettivi previsti dal richiamato contratto di trasporto.

2. I motivi in esame risultano infondati.

2.1. Gli stessi, invero, sotto un primo profilo si fondano su una premessa fattuale, ossia sulla presunta esistenza di un’autonoma fonte di obbligazioni costituita dal contratto di trasporto che si sostiene essere stato stipulato con ogni singolo agente, che è stata esclusa dall’impugnata sentenza con motivazione che si sottrae a censure di legittimità, come si avrà modo di osservare più specificamente infra, trattando del terzo e del quarto motivo di ricorso.

Da ciò consegue, già in via di prima approssimazione, che la tesi sostenuta dal Consorzio, secondo cui il rimborso forfettario elargito agli agenti debba seguire il regime giuridico del contratto di trasporto, anzichè quello proprio delle provvigioni relative al contratto di agenzia, appare destituito di fondamento.

2.2. Sotto un ulteriore e connesso profilo, inoltre, va rilevato come la ricostruzione della disciplina dell’istituto tratteggiata dalla decisione impugnata risulti correttamente impostata.

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25-bis dispone che i sostituti d’imposta che corrispondono provvigioni, comunque denominate, per prestazioni anche occasionali inerenti a rapporti di commissione, di agenzia, di mediazione, di rappresentanza di commercio e di procacciamento di affari sono tenuti ad operare, all’atto del pagamento della provvigione stessa, una ritenuta a titolo di acconto dell’Irpef o dell’Ires dovuta dai percipienti, con obbligo di rivalsa.

In tale prospettiva, al fine di stabilire l’esatto ambito di operatività della ritenuta alla fonte di cui all’art. 25-bis cit., un utile termine di confronto per la corretta interpretazione del quadro normativo emerge dai chiarimenti forniti dalla Circolare del Ministero delle Finanze n. 24 del 10 giugno 1983. Con riferimento all’oggetto della ritenuta, la circolare citata (cap. 1, lett. b) ha specificato che la ritenuta in questione si applica sulle provvigioni, “comunque denominate”, per le prestazioni, anche occasionali, inerenti ad uno dei rapporti di cui sopra; in particolare, la provvigione da assoggettare a ritenuta è costituita, oltre che dal compenso per l’attività svolta dal commissionario, dall’agente, dal mediatore, dal rappresentante di commercio e dal procacciatore d’affari anche da “ogni altro compenso inerente l’attività prestata dagli anzidetti soggetti, ivi compresi i rimborsi spese relativi all’attività stessa ed escluse le somme ricevute a titolo di rimborso di spese anticipate per conto dei committenti, preponenti o mandanti”.

La medesima circolare ha, inoltre, chiarito che “l’elencazione dei rapporti contenuta nel primo comma dell’art. 25-bis è da considerarsi tassativa” e che “restano, quindi, assoggettate alla ritenuta solo le provvigioni comunque denominate percepite dai commissionari, dagli agenti, dai mediatori, dai rappresentanti di commercio e dai procacciatori d’affari per le attività da questi poste in essere”.

Tale interpretazione, pur in sè non vincolante, appare condivisibile nella sua ratio esplicativa, in quanto fondata su una corretta ricognizione del dato normativo.

Va, invero, rilevato che la ricostruzione, in via ermeneutica, dei confini semantici della nozione di “provvigione” deve essere desunta, in primo luogo, dal tenore testuale dell’art. 5-bis cit., evidenziandosi come l’obbligo di operare le ritenute si configuri indipendentemente dalla formale qualificazione delle attribuzioni patrimoniali (in tal senso è da intendersi il riferimento alle “provvigioni comunque denominate”) ed avuto riguardo alla stretta correlazione funzionale fra queste e “le prestazioni anche occasionali inerenti a rapporti di commissione, agenzia”, ecc. (enunciato ribadito, ai fini qui di interesse, anche dal comma 5, ultima parte, della norma citata, secondo cui “Per le prestazioni derivanti da mandato di agenzia si applicano le disposizioni indicate nei commi che precedono”).

2.3. In secondo luogo, come evidenziato dalla CTR nella motivazione della decisione impugnata, la disciplina specifica portata dall’art. 25-bis cit. va collocata nel più generale contesto di disciplina tributaria della figura degli agenti, rappresentanti di commercio ed assimilati, valorizzando l’inclusione degli emolumenti dagli stessi percepiti nella categoria dei redditi di impresa ex art. 55 t.u.i.r., ove si tratti di esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 c.c., ovvero fra i redditi di lavoro autonomo (art. 53 t.u.i.r.). In entrambi i casi, i ricavi (art. 85 t.u.i.r.) ed i compensi (attuale art. 54 t.u.i.r.) sono, ai fini tributari, da intendersi come comprensivi di tutte le somme a diverso titolo dovute all’agente.

In tale prospettiva, l’espressione “provvigioni comunque denominate per le prestazioni anche occasionali inerenti a rapporti di commissione, di agenzia (…)” deve essere intesa nel senso che i compensi a provvigione corrisposti agli agenti e soggetti assimilati, anche se per una parte erogati a titolo di rimborso spese, costituiscono per intero emolumenti assoggettati a ritenuta d’acconto ex art. 25-bis cit., in quanto anche tale ultima porzione comprende erogazioni di carattere continuativo ed abituale dirette a soddisfare, a titolo remunerativo, esigenze intrinsecamente attinenti alle prestazioni cui è contrattualmente tenuto l’agente; esigenze che ricorrono, in particolare, quando la prestazione lavorativa è, di per sè, normalmente ed ordinariamente eseguita in modo tale da far incontrare necessariamente spese di trasporto, ossia al di fuori da un riferimento specifico ad esborsi particolari, precisamente individuati e motivati da esigenze di carattere contingente e non ordinariamente ricorrenti che sono, invece, oggetto di anticipazioni per conto del preponente.

Nella specie, non appare dubitabile che le spese di cui trattasi, concernendo il trasporto della merce dalla sede del Consorzio ai depositi degli agenti e da questi ultimi al domicilio dei clienti per effetto della conclusione dei contratti stipulati grazie all’attività degli agenti stessi, siano intrinsecamente attinenti all’attività contrattualmente tipica di questi ultimi. Nè in senso contrario potrebbero rilevare le specifiche modalità di quantificazione dell’ammontare dei rimborsi (in relazione, ad esempio, alle distanze chilometriche, alla quantità ed al peso della merce trasportata), posto che le stesse non incidono comunque sul fatto che dette spese, lungi dall’essere legate al contratto di agenzia da un nesso di mera occasionalità, attengono strettamente, sotto il profilo del collegamento funzionale, all’adempimento delle prestazioni inerenti al rapporto di agenzia stesso.

3. Anche il terzo ed il quarto motivo di ricorso devono essere trattati congiuntamente, in ragione della stretta connessione di ordine logico-argomentativo che li unisce.

3.1. Con il terzo motivo, in particolare, si lamenta l’insufficienza della motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, avendo la sentenza della CTR attribuito natura di provvigione ai compensi in realtà riferibili ad un autonomo e parallelo contratto di trasporto concluso fra il Consorzio ed ogni singolo agente, senza considerare e valutare gli elementi probatori addotti dal contribuente a sostegno di tale ricostruzione.

3.2. Con il quarto motivo si deduce, analogamente, contraddittorietà della motivazione su fatto controverso e decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto la CTR, da un lato, ha riconosciuto la possibilità per le parti, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, di addivenire ad un accordo contrattuale per riconoscere un ulteriore emolumento a titolo di rimborso delle spese sostenute dagli intermediari, e, dall’altro, ha escluso che, nella specie, siano intervenute distinte pattuizioni – a diverso titolo – per disciplinare la remunerazione dell’attività primaria e quella afferente al trasporto delle merci.

4. In relazione ai profili di doglianza oggetto dei motivi di ricorso in esame, deve, preliminarmente, osservarsi che non sussiste violazione del principio di autosufficienza e specificità del ricorso per cassazione, come eccepito dall’Agenzia controricorrente, posto che non risultano violati i prescritti criteri di specificità in punto di indicazione degli atti processuali e dei documenti ai quali viene fatto riferimento, di riproduzione del loro contenuto essenziale in relazione ai motivi di censura e di indicazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi del giudizio di merito (cfr. Cass. sez. 5, 18.11.2015, n. 23575).

5. Ciò premesso, anche i motivi di ricorso in esame risultano infondati.

5.1. Con il terzo motivo di ricorso, in particolare, il ricorrente lamenta un vizio di motivazione consistito nella mancata esposizione del percorso logico giuridico seguito dal giudice di merito per pervenire alla decisione adottata, attribuendo natura di provvigione ai compensi in realtà riferibili ad autonomi e paralleli contratti di trasporto, di analogo contenuto, conclusi fra il Consorzio ed i singoli agenti, come tali non assoggettabili a ritenuta. In tale prospettiva, si contesta la mancata considerazione, da parte della CTR, delle specifiche circostanze addotte dalla medesima parte a sostegno della tesi patrocinata.

Il motivo non è fondato, in quanto occorre, ai fini di giudicare la sufficienza e l’adeguatezza della motivazione, operare una lettura integrale ed integrata della sentenza, dalla quale emerge un analitico esame dei motivi in fatto e in diritto allegati dalle parti, in un quadro di considerazioni valutative che non si sono limitate ad una mera esposizione “asettica” della narrazione fatta dalle parti nei rispettivi scritti, ma che, nel loro complesso, hanno approfondito le ragioni per le quali le argomentazioni addotte dal Consorzio appellante non hanno superato il vaglio critico dei giudici di merito.

In tal senso, è significativo che la decisione della CTR abbia esaurientemente enucleato le specifiche censure addotte dal Consorzio ricorrente, anche e proprio con riferimento alla documentazione contrattuale dallo stesso depositata e richiamata dal motivo di ricorso in esame, non trascurando neppure di dar conto, immediatamente dopo, delle puntuali deduzioni formulate dall’Ufficio con particolare riferimento al fatto che l’attività di trasporto era, in realtà, disciplinata da una specifica clausola inserita in un unico contratto di agenzia, come tale inscindibile da tale schema negoziale, non essendo sostenibile l’esistenza di un autonomo contratto di trasporto per l’intrinseca non risolutività ed incompletezza degli elementi documentali prodotti dal contribuente.

In tale prospettiva, il successivo sviluppo dell’iter argomentativo della decisione mostra inequivocabilmente come la CTR abbia condiviso le argomentazioni dell’Ufficio, essendosi fondata indiscutibilmente sull’assunto che il complesso di prestazioni poste in essere da ogni agente operante per il Consorzio non rimandasse affatto a due differenti tipologie contrattuali (agenzia e trasporto), ma costituisse l’oggetto di un’operazione negoziale unitaria, riconducibile al rapporto di agenzia, la cui natura non si è ritenuta, evidentemente, contraddetta dalle clausole inserire negli atti indicati dall’odierno ricorrente.

In un simile quadro ricostruttivo, non risulta configurabile il denunziato vizio di omessa motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, non potendo evincersi l’obiettiva, assoluta carenza, nel complesso della decisione, del procedimento logico che ha indotto il giudice di merito al convincimento espresso. Nè va dimenticato che, in ogni caso, “il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base” (Cass. sez. 3, 14/03/2006, n. 5473): il che, nella specie, non può essere affermato. Nè, del resto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, avendo questi “solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge”. (Cass. sez. 5, 16/12/2011, n. 27197).

Da ciò consegue che è del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa, non potendo il motivo di ricorso risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito. Il motivo, pertanto, va respinto in quanto, nella sostanza, diretto a rimettere in discussione la decisione di merito sotto il profilo della valutazione di fatto operata; il che non integra il denunciato vizio, in quanto la motivazione risulta coerentemente e conseguentemente sviluppata rispetto alle premesse fattuali oggetto di considerazione da parte del giudice di merito.

5.2. Venendo al quarto motivo di ricorso – per il quale valgono, parimenti, le considerazioni sin qui svolte -, l’infondatezza dello stesso discende essenzialmente dal rilievo che la pretesa contraddittorietà della motivazione non sussiste, in quanto la CTR ha semplicemente posto in evidenza come le parti del rapporto di agenzia (al pari, del resto, degli altri rapporti contrattuali espressamente elencati dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25-bis) nell’ambito della propria autonomia contrattuale ben possano pattuire specificamente la corresponsione di un’ulteriore somma a titolo di rimborso delle spese sostenute dall’intermediario; ma ciò non significa che una tale argomentazione implichi necessariamente, come sembra ritenere il ricorrente, la conclusione di due distinti accordi negoziali, onde mantenere distinte, anche e soprattutto ai fini impositivi, la sorte dei “corrispettivi” per il trasporto da quella delle provvigioni in senso stretto.

6. Il quinto, sesto, settimo ed ottavo motivo di ricorso attengono a vizi di motivazione riconducibili al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento al capo della sentenza impugnata che ha accolto l’appello incidentale dell’Ufficio in relazione ai rilievi in materia di IVA fondati sulle c.d. differenze inventariali. Anche tali motivi, per la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente.

6.1. Il ricorrente, in particolare, deduce carenza di motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla prova, che il Consorzio ritiene di avere positivamente fornito a mezzo di presunzioni, delle cause delle differenze inventariali, che andrebbero riconnesse alle caratteristiche delle merci ed alle modalità di loro movimentazione (quinto motivo di ricorso), nonchè alle peculiarità gestionali o commerciali dell’attività del Consorzio (sesto motivo di ricorso); ancora, in relazione alla prova dell’avvenuta fatturazione delle differenze inventariali ai rappresentanti (settimo motivo di ricorso); infine (ottavo motivo di ricorso), in relazione alla parte della decisione impugnata in cui la CTR ha ritenuto non applicabili i criteri indicati nella la Circolare n. 71/06 della stessa Agenzia delle entrate senza giustificarne le ragioni.

7. Va, preliminarmente, disattesa l’eccezione di carattere processuale formulata dall’A.d.E., in relazione al mancato rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, sancito dall’art. 366 c.p.c., in relazione al quinto, sesto e settimo motivo, posto che gli stessi motivi corrispondono ai prescritti criteri di specificità in punto di indicazione degli atti processuali e dei documenti ai quali viene fatto riferimento, di riproduzione del loro contenuto essenziale in relazione al motivo di censura e di indicazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi del giudizio di merito (cfr. Cass. sez. 5, 18.11.2015, n. 23575).

8. Ciò posto, i motivi in esame risultano infondati, avuto riguardo alla ratio decidendi che sul punto caratterizza la sentenza impugnata e che si sostanzia nella ritenuta inidoneità dei rilievi del Consorzio diretti a superare, con ipotesi giustificative prive di specifico e adeguato supporto documentale, un meccanismo probatorio a carattere vincolato, come è quello stabilito dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 53, e dal D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441.

8.1. Va premesso, invero, che l’accertamento dell’Ufficio riguarda l’esistenza di discordanze, in positivo ed in negativo, fra i dati emergenti dalle giacenze contabili delle merci ed i quantitativi di beni fisicamente inventariati e presenti nei magazzini, da cui è derivata la contestazione in esame, fondata sull’operatività della presunzione di acquisto e cessione di beni senza assolvimento dell’imposta D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 53,D.P.R. n. 441 del 1997, artt. 1,3 e art. 4, comma 2.

In particolare, il D.P.R. n. 441 del 1997 – attraverso il quale il Governo, in attuazione dell’autorizzazione conferitagli dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 137, lett. a), ha provveduto a ridisciplinare la materia delle presunzioni di acquisto e di cessione, a suo tempo regolata del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53 stabilisce che si presumono ceduti in evasione di imposta o acquistati senza procedere alla loro registrazione rispettivamente i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano (art. 1) ovvero che si rinvengono nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni (art. 3); il successivo art. 4, comma 2, prevede che “le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui alla lettera d) dell’articolo 14 primo del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta, e le consistenze delle rimanenze registrate costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo”.

8.2. Come già ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. 5, 27/05/2015, n. 10915), ancorchè le variazioni nella consistenza del magazzino non siano necessariamente da porsi in relazione a finalità di evasione di imposta, ricollegandosi, piuttosto, a fenomeni del tutto fisiologici nella gestione dell’impresa (quali, ad esempio, cali fisici delle giacenze, errato utilizzo dei codici identificativi all’atto del carico e/o dello scarico, ammanchi, distruzioni e fatti analoghi, che l’imprenditore è autorizzato a far constare a mente del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, comma 1, lett. d)), nondimeno il legislatore ha ritenuto che, anche in tali casi, debbano trovare applicazione le presunzioni di cessione o di acquisto più generalmente stabilite dalle norme citate.

Sul piano sistematico, questa Corte ha avuto più volte occasione di precisare con riferimento sia al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53 sia al D.P.R. n. 441 del 1997 (oltre a Cass. n. 10915/15, cfr. Cass. Sez. 5, 04/02/2015, n. 1976; Cass. Sez. 5, 17/12/2014, n. 26477; Cass. Sez. 5, 24/02/2012, n. 2845; in epoca più risalente, cfr. Cass. Sez. 5, 19/07/2006, n. 16483) che si tratta di presunzioni legali relative, annoverabili tra le presunzioni legali cosiddette “miste”, che consentono, entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova stabiliti a fini antielusivi, la dimostrazione contraria da parte del contribuente, il quale è tenuto a provare, con le modalità tassativamente indicate dal D.P.R. n. 441 del 1997, artt. 1,2 e 3 che le discrepanze verificatesi nella consistenza del magazzino non siano frutto di cessioni o acquisizioni non contabilizzate. In particolare, al contribuente è consentito dimostrare che i beni di cui materialmente sia stata verificata la carenza rispetto a quanto risulta dalla contabilità, sono stati utilizzati per la produzione, perduti o distrutti, ovvero consegnati a terzi per un titolo non traslativo della proprietà. Tuttavia, tale dimostrazione non può essere data con qualunque mezzo, ma solamente attraverso i mezzi di prova tassativamente indicate dagli articoli 1, 2 e 3 citato D.P.R. (Cass. n. 10915/15; v. anche Cass. Sez. 5, 25/07/2012, n. 13120, relativa ad un caso in cui la sentenza impugnata aveva accolto la pretesa del contribuente, avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento, fondandosi unicamente sulla rilevante quantità di merce e sulla sua tipologia e natura, nonchè sulla giustificazione di errori materiali in ordine alla riscontrate divergenze tra scritture contabili e consistenza di magazzino; la S.C., ritenuti insufficienti tali elementi, ha cassato la sentenza impugnata, affermando il predetto principio).

Orbene, nel motivare l’accoglimento dell’appello incidentale dell’Ufficio sul punto, la sentenza impugnata ha affermato espressamente, con motivazione che si sottrae a censure di legittimità in quanto congruente, logica e pienamente in linea con il richiamato orientamento giurisprudenziale, che il Consorzio non aveva fornito idonea controprova rispetto al fondamento della pretesa impositiva, con riferimento alle specifiche prove documentali previste dal citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 53 e dalla disciplina del D.P.R. n. 441 del 1997 in tema di presunzioni di cessione e di acquisto.

8.3. In siffatto contesto, deve essere rettamente intesa anche la portata dei parametri accertativi e valutativi oggetto della Circolare 2 ottobre 2006, n. 31/E dell’Agenzia delle Entrate, volte a raccomandare che, particolarmente nei casi in cui ricorrano differenze inventariali rilevate dallo stesso contribuente nella contabilità obbligatoria di magazzino, l’attività di verifica debba prevedere un’attenta valutazione del processo di formazione delle differenze inventariali stesse e della loro natura fisiologica o patologica in relazione al tipo di attività in concreto svolta dall’impresa, agli elementi eventualmente forniti dal contribuente, nonchè alle caratteristiche gestionali ed alle peculiarità del processo produttivo e/o commerciale dell’impresa controllata.

In tale prospettiva, sulla scorta del consolidato orientamento di questa Corte, va ribadito che le istruzioni impartite dall’Agenzia delle entrate, con la predetta circolare “operano nei confronti dei verificatori in fase accertativa, ma non possono influenzare il giudizio sulla legittimità dell’accertamento compiuto, cui sono applicabili, in caso di “differenze inventariali”, le presunzioni di cessione e di acquisto dei beni in evasione di imposta, di cui al D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4annoverabili tra le presunzioni legali cosiddette “miste”, che consentono, entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova stabiliti a fini antielusivi, la dimostrazione contraria da parte del contribuente”. (Cass. Sez. 5, 10/03/2017, n. 6185).

Pertanto, allorchè l’attività di accertamento e verifica sia sfociata in un atto formale di contestazione, tali istruzioni non possono in alcun modo influenzare il giudizio sulla legittimità della stessa azione accertatrice; non senza rilevare, in aggiunta, che l’opporre, in sede di giudizio di legittimità, l’allegata inosservanza di tutte o parte delle cautele di cui si è fatta interprete la citata Circolare n. 31/E del 2006, oltre a non configurare un itinerario argomentativo utilmente percorribile in ragione della distinzione tra azione accertatrice e contestazione che ne deriva, integra, all’evidenza, una censura di fatto, posto che l’orientamento espresso nell’occasione dall’amministrazione rimanda necessariamente un apprezzamento delle circostanze che connotano la fattispecie concreta (in questi termini, cfr. Cass. n. 10915/15, citata).

9. Tanto osservato, è evidente la non risolutività delle argomentazioni addotte dal ricorrente con riferimento alle caratteristiche gestionali del processo produttivo, che si afferma essere caratterizzato da alto tasso di dispersione di beni e da cali tecnici; alla varietà dei codici prodotto per sostanze fra loro similari, quindi tali da poter essere erroneamente scambiate, con conseguente differenza positiva per alcune sostanze e negativa per altre; al fatto che le differenze inventariali siano state tutte oggetto di note di addebito emesse nei confronti dei propri rappresentanti; alla percentuale minima delle differenze rilevate rispetto al volume degli scambi. Ciò non solo in quanto le stesse doglianze risultano esaminate dalla CTR e ritenute, con valutazione di merito che appare congruamente motivata e tale da sottrarsi a censure di legittimità, sfornite di adeguato supporto probatorio, ma, anche e soprattutto, in quanto la difesa del Consorzio, invece di superare le presunzioni derivanti dal rilievo delle differenze inventariali secondo la disciplina tassativa dettata dal D.P.R. n. 441 del 1997, ritiene inammissibilmente che le stesse possano essere rese inoperanti sulla base delle indicazioni di cui alla citata circolare dell’Agenzia delle Entrate: indicazioni inidonee, come osservato, ad influenzare il giudizio sulla legittimità dell’accertamento, una volta che questo sia stato effettuato.

Va, inoltre, aggiunto che, laddove si è posto l’accento, tanto per le differenze positive quanto per quelle negative, sulla modestia delle differenze riscontrate, ritenute percentualmente non significative in rapporto al volume d’affari o alla consistenza media del magazzino, non si considera neppure che “nessuna norma di legge pone una soglia minima per l’esercizio del potere dell’Ufficio di accertare una pretesa fiscale maggiore di quella dichiarata nè, comunque, per non considerare “ricavi” i corrispettivi derivanti dalla cessione dei beni prodotti, desumibile dall’inesistenza in magazzino di quei beni” (Cass. Sez. 5, 06/08/2008, n. 21154; Cass. n. 6185/2017 citata).

10. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

La complessità delle questioni trattate ed il consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale di legittimità sopra illustrato in tema di differenze inventariali soltanto successivamente alla presentazione del ricorso giustificano la compensazione delle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso. Compensa fra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 18 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

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