Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25572 del 27/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 27/10/2017, (ud. 14/06/2017, dep.27/10/2017),  n. 25572

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Stella – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22967-2013 proposto da:

B.C. E C. DI C.V. A. E F., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA G. A. BADOERO 82, presso lo studio

dell’avvocato MARIA DI NICOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIOVANNI POMARICO giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

COMUNE DI ROMA in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio

dell’avvocato ENRICO MAGGIORE, che lo rappresenta e difende giusta

delega in calce;

– controricorrenti –

e contro

AGENZIA DEL TERRITORIO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 326/2012 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 12/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/06/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato DI NICOLA per delega dell’Avvocato

POMARICO che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato BACHETTI che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

IN FATTO

La società B.C. e C. di C.V., A. e F., impugnava gli avvisi di accertamento dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), emessi dal Comune di Roma, per gli anni di imposta 2000/2004, applicando la rendita catastale (C/1, classe 5^) attribuita dall’Agenzia del Territorio alla unità immobiliare che la contribuente aveva acquistato, in data 28/6/1989, da Sudameris s.r.l., la quale aveva presentato, in data 16/11/1987, al predetto Comune, domanda di sanatoria, con oblazione interamente pagata, per diversa distribuzione degli spazi interni e variazione di destinazione d’uso da magazzino a deposito (cat. C/2), nonchè, in data 18/11/1987, all’Agenzia del Territorio, denuncia di variazione degli spazi interni con assegnazione alla cat. C/2 (magazzino e locali di deposito).

Il ricorso veniva respinto in primo ed in secondo grado.

Il Giudice di appello, in particolare, sottolineava come l’atto di acquisto dell’immobile contenesse un espresso riferimento alla domanda di sanatoria presentata dalla parte venditrice al Comune di Roma, per variazione di destinazione d’uso da magazzino a “deposito accumulatori per la vendita all’ingrosso”, e che la destinazione all’attività commerciale, costituita dalla “vendita all’ingrosso di accumulatori e batterie” era anche ricavabile dalla planimetria allegata all’istanza di condono edilizio, per cui appariva ininfluente l’affermazione della contribuente che l’immobile fosse invece destinato a “mero deposito”, e cioè a magazzino (cat. C/2).

La contribuente impugna la sentenza n. 326/01/12, depositata il 12/7/2012, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate, già Agenzia del Territorio, con controricorso, mentre il Comune di Roma non ha svolto attività difensiva.

Diritto

IN DIRITTO

La ricorrente deduce, con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 156 c.p.c., nullità della sentenza per contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo, giacchè la CTR, respingendo l’appello della contribuente, ha sostanzialmente confermato la legittimità degli avvisi di accertamento, nonostante l’Agenzia dei Territorio avesse chiarito che la corretta classe di appartenenza dell’immobile, per le sue condizioni, “nell’ambito della ctg C/2, potesse essere la quarta anzichè la quinta”, con conseguente riduzione della rendita considerata negli impugnati avvisi di accertamento.

Deduce, con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c., giacchè la CTR ha dei tutto trascurato che l’Agenzia del Territorio, nelle rassegnate conclusioni, aveva proposto la rettifica dei dati censuari del cespite immobiliare (in catasto al foglio (OMISSIS) – mq. 602 – R.C. 25.183,99), in tal modo riconoscendo la parziale fondatezza del ricorso della contribuente, ed ha viceversa confermato la sentenza di primo grado senza pronunciarsi sulla domanda volta all’annullamento della predetta modifica della categoria catastale, da C/2 a C/1, e degli avvisi di accertamento emessi dall’ente impositore sulla base di tali dati, benchè riproposta con specifico motivo di gravame. Deduce, con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 112 c.p.c., giacchè la CTR ha ricavato la prova della intervenuta variazione d’uso dell’immobile dalla planimetria allegata alla domanda di sanatoria edilizia, omettendo di vagliare il contenuto della richiesta di sanatoria, nella quale la dante causa della società contribuente faceva esclusivo riferimento ad una variazione d’uso da magazzino a deposito (C/2), e non a locale destinato ad attività commerciale (C/1).

Deduce, con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione dell’art. 113 c.p.c., comma 1, e art. 116 c.p.c., contraddittoria e omessa motivazione, giacchè la CTR, nell’impugnata sentenza, asserisce che il rogito di compravendita richiama una domanda di sanatoria edilizia per variazione di destinazione d’uso da magazzino a “deposito accumulatori per la vendita all’ingrosso”, mentre nel suddetto atto notarile l’oggetto della domanda è testualmente riferito a “diversa distribuzione degli interni e variazione di destinazione d’uso da magazzino a deposito”, e cosi incorre in una evidente erronea interpretazione della clausola contrattuale, nella quale manca appunto qualsivoglia riferimento all’attività commerciale, desumibile dall’espressione “deposito accumulatori per la vendita all’ingrosso” e che giustificherebbe l’attribuzione della categoria catastale C/1 (negozi e botteghe), laddove sia il magazzino, che il deposito, rientrano nella categoria catastale C/2, non avendo ai fini qui considerati valenza probatoria autonoma i documenti allegati alla domanda di sanatoria (mod. 47/85-D, ove è dichiarato, in relazione alla superficie, “attività commerciale mq. 605”, e planimetria dell’immobile, ove è scritto “vendita all’ingrosso di accumulatori”);

Deduce, con il quinto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione dell’art. 2697 c.c., carente e insufficiente motivazione, giacchè la sentenza impugnata ha violato i principi che regolano l’onere della prova non avendo l’Ufficio condotto alcun sopralluogo, nè indicato gli elementi in concreto utilizzati per pervenire alla determinazione della rendita catastale, ed avendo la CTR concluso nel senso che la società contribuente insiste nella tesi della funzione di mero deposito dell’unità immobiliare in questione “ma non porta alcun elemento nuovo in grado di rimuovere la posizione dell’Amministrazione”.

Il primo motivo d’impugnazione va disatteso perchè infondato.

Giova ricordare che “Sussiste contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, che determina la nullità della sentenza, solo quando il provvedimento risulti inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale e, conseguentemente, del diritto o bene riconosciuto.” (Cass. n. 26077/2015), mentre la censura della contribuente muove da un evidente errore materiale nel quale è incorso il Giudice di appello laddove, riportando la posizione assunta dall’Amministrazione finanziaria circa la “classe di appartenenza” dell’immobile, “in considerazione della tipologia… e delle sue condizioni obiettive”, la riferisce alla categoria “C/2”, anzichè “C/1”, e del resto la stessa CTP di Roma aveva dato atto in sentenza che l’Ufficio intendeva confermare la categoria catastale e ridurre invece la classe attribuita.

La CTR, infatti, atteso l’inequivoco contenuto del dispositivo, coerente peraltro con la motivazione della sentenza, ha rigettato l’appello della contribuente ritenendo infondato il gravame, incentrato sulla illegittimità dell’attribuzione, da parte dell’Agenzia del Territorio, di tale categoria catastale, perchè effettuata “senza addurre alcuna motivazione e senza che sia mai intercorsa alcuna variazione nel tempo nell’immobile de quo”, e la appellante in ragione di ciò aveva reiterato la domanda volta al “ripristino ex tunc” dei dati censuri vigenti fino al 17/11/1987.

Da quanto detto discende anche l’infondatezza del secondo motivo di ricorso, in quanto il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, impone che l’appello sia sorretto da motivi specifici, i quali servono a delimitare i limiti del devolutum, cioè l’ambito coanitorio del giudizio di appello, nel senso che il riesame effettuato dal giudice di secondo grado resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante (Cass. n. 9244/2007), in relazione alla motivazione del provvedimento impugnato di cui si chiede la riforma, e nella specie il gravame investiva chiaramente la questione concernente categoria catastale (C/1) attribuita dall’Agenzia del Territorio a seguito della denunciata variazione catastale (protocollo n. 126468 del 18/11/1987, in atti dal 18/7/1999), per diversa distribuzione degli spazi interni e per cambio di destinazione d’uso dell’unità immobiliare in contestazione.

L’infondatezza del terzo e del quarto motivo di doglianza discende invece dalla considerazione che la CTR, nel respingere l’appello della contribuente, ha dato rilievo, sul piano probatorio, alla circostanza che “nell’atto di acquisto da parte della Società appellante dell’immobile si fa riferimento espresso ad una domanda di sanatoria presentata al Comune di Roma per la variazione di destinazione d’uso da magazzino a deposito accumulatori per la vendita all’ingrosso con il che è ben evidente la natura commerciale dell’attività”.

Pertanto, il riferimento del Giudice di appello alla espressione “vendita all’ingrosso di accumulatori”, contenuta nella planimetria allegata alla predetta domanda, rappresenta soltanto un elemento di conferma, al pari di quello concernente l’ulteriore espressione “attività commerciale mq. 605”, contenuta invece nel mod. 47/85-D, circa la esattezza dell’interpretazione data al negozio traslativo intercorso tra le parti, avuto riguardo alla puntuale individuazione e descrizione delle caratteristiche del bene compravenduto, intesa ad assicurare – ai fini civilistici – la rispondenza del bene al programma concordato, considerato che nella menzionata domanda di sanatoria “si precisa che l’attività da svolgere nell’immobile è di vendita all’ingrosso di accumulatori e batterie” e che la parte acquirente era stata resa consapevole dell’iniziativa assunta da quella venditrice proprio attraverso il richiamo alla suindicata documentazione, ivi compresa quella relativa alla domanda di sanatoria presentata al Comune di Roma.

La impugnata decisione evidenzia, altresì, una sostanziale continuità nella valutazione delle prove, in quanto anche il Giudice di primo grado aveva ritenuto l’imposta comunale dovuta dalla contribuente correttamente commisurata in ragione della rendita catastale attribuita dal competente Ufficio erariale, ed altrettanto “corretta la qualificazione dell’immobile in questione (un seminterrato di 605 mq.) in categoria C/1 anzichè in categoria C/2”, superando quanto diversamente sostenuto, in corso di giudizio, dalla società B.C. e C. di C.V., A. e F., la quale aveva insistito piuttosto sulle grandi dimensioni del locale, nonchè sulla mancanza di vetrine e di accesso diretto alla strada.

Pertanto, “in ragione della circostanza della intervenuta variazione di destinazione d’uso dall’immobile da magazzino e deposito (cat. C/2) ad attività commerciale (cat. C/1)” il punto focale del dibattito processuale ha sempre riguardato la categoria di appartenenza dell’immobile soggetto ad imposizione, dal momento che l’Agenzia del Territorio, in entrambi i giudizi di merito, su tale punto non ha inteso fare alcun passo indietro, avendo ritenuto di ridurre, come si legge nella sentenza di primo grado, la classe (da 5^ a 4^) attribuita all’unità immobiliare, in ragione delle caratteristiche del bene; determinandone un inferiore livello di reddito.

E’ appena il caso di ricordare che “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto ai sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. ” (Cass. n. 9097/2017).

Va disatteso anche l’ultimo motivo di impugnazione.

Richiamato quanto innanzi esposto in ordine alla compiutezza e coerenza logica dell’iter argomentativo della sentenza impugnata, rimane unicamente da aggiungere che, a fronte della sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto la congruità dell’operato dell’Ufficio, in ragione della preminente valenza che andava attribuita alle “considerazioni dell’Agenzia del Territorio”, ratio decidendi condivisa anche dal giudice a quo, “in ragione della circostanza della intervenuta variazione di destinazione d’uso dell’immobile da magazzino a deposito”, incombeva senz’altro sulla contribuente l’onere di fornire la prova del contrario, in applicazione del principio generale secondo cui spetta all’appellante il compito di dimostrare l’erroneità della decisione di cui chiede la riforma (Cass. n. 4238/2006, S.U. 28498/2005).

Il Giudice di appello ha, come si è visto, affermato che la società contribuente non aveva assolto al predetto compito, e su tale base ha concluso per il rigetto del gravarne, sicchè per contestare l’esattezza di simile conclusione, l’odierna ricorrente avrebbe dovuto dedurre che aveva allegato degli ulteriori elementi ugualmente capaci di comprovare la fondatezza dell’appello, riportandone il contenuto al fine di consentire a questa Corte di valutare la consistenza della doglianza prima di passare alla sua verifica, mentre si è limitata a sostenere di avere supportato la propria tesi con parecchi argomenti (grandi dimensioni del locale, mancanza di vetrine e di accesso diretto sulla strada) che, per quanto sopra detto, non costituiscono un valida censura della statuizione sul difetto di prova.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

la Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in favore dell’Agenzia delle Entrate, in Euro 5.250,00, oltre le spese prenotate a debito, e del Comune di Roma, in Euro 4.100,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

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