Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25568 del 27/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 27/10/2017, (ud. 14/06/2017, dep.27/10/2017),  n. 25568

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Stella – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5975-2012 proposto da:

AZIENDA PROMOZIONE TURISTICA PROVINCIA DI BARI IN LIQUIDAZIONE, in

persona del Commissario Liquidatore pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA COSSERIA 2, presso lo studio degli Avvocati

PLACIDI ALFREDO & GIUSEPPE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ROCCO PEDOTO giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ALBEROBELLO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 110/2011 della COMM.TRIB.REG. di BARI,

depositata il 03/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/06/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato MOZZILLO per delega dell’Avvocato

PEDOTO che ha chiesto l’accoglimento.

Fatto

IN FATTO

L’Azienda di Promozione Turistica della Provincia di Bari in liquidazione (di seguito APT) impugnava, con distinti ricorsi, gli avvisi di liquidazione dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), emessi dal Comune di Alberobello, per gli anni 2001, 2002 e 2003, relativamente al fabbricato “(OMISSIS)”, distinto in catasto al foglio (OMISSIS), categoria D/2, sostenendo, tra l’altro, il difetto di legittimazione passiva d’imposta, e negando la trasmissione a proprio favore della titolarità dell’immobile, senza soluzione di continuità, da parte dal soppresso Ente Provinciale per il Turismo (EPT).

I ricorsi, poi riuniti, venivano respinti sia in primo, che in secondo grado.

La contribuente impugna la sentenza n. 110/1/11 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, depositata il 3/10/2011, con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Il Comune non ha svolto attività difensiva.

Diritto

IN DIRITTO

La ricorrente deduce, con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, giacchè la CTR ha erroneamente ritenuto che le censure contenute nei motivi di appello fossero formulate in modo non specifico, nonchè violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, per difetto di motivazione della sentenza impugnata, non essendo possibile risalire alle ragioni che stanno a fondamento della decisione, in particolare, per quel che concerne il prospettato difetto di legittimazione passiva dell’APT, mera concessionaria dell’uso gratuito del complesso immobiliare soggetto ad imposizione. Deduce, con il secondo motivo, violazione e falsa applicazione del principio del “ne bis in idem”, avendo il Comune di Alberobello reiterato la medesima pretesa impositiva di cui agli avvisi di liquidazione precedentemente annullati in autotutela.

Deduce, con il terzo motivo, violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 3 e del D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 1 per difetto di motivazione in punto di mancanza dei presupposti per l’assoggettamento all’imposta comunale sugli immobili, in relazione alla posizione dell’APT, in quanto non titolare della proprietà o di altro diritto reale sull’immobile.

Deduce, con il quarto motivo, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, comma 1, giacchè la CTR non ha considerato che il fabbricato de quo, nei periodi d’imposta, era oggetto di detenzione gratuita, qualificata da ampi poteri di gestione, come confermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 18905 del 2005, all’esito di altra controversia che aveva visto l’APT opporre, senza successo, al Comune di Alberobello, ed all’Agenzia per il Mezzogiorno, il possesso ad usucapione del bene.

Il primo motivo di ricorso va disatteso perchè inammissibile.

In relazione ai profilo di censura concernente le argomentazioni svolte dalla CTR nella impugnata sentenza, in ordine alla mancanza di specificità dei motivi di gravame, va osservato che il Giudice di appello ha definito il giudizio con una statuizione nel merito, per cui le predette argomentazioni sull’ammissibilità del gravame appaiono ininfluenti ai fini della decisione ed il ricorrente è privo di interesse ad impugnarle.

E’ altresì infondata la doglianza formulata in relazione al profilo concernente la sufficienza della motivazione, che ancorchè stringata non è assente, in quanto la impugnata sentenza si basa sulla affermazione – erronea – dell’idoneità del materiale probatorio offerto dalle parti a dimostrare la sussistenza, in capo all’APT, di un “diritto d’uso rinveniente da un atto di concessione”, e quindi a giustificare l’imposizione tributaria, non preclusa dall’intervenuto annullamento d’ufficio per meri vizi formali dei precedenti avvisi di liquidazione.

Il secondo motivo di ricorso è infondato, e va disatteso, alla luce del consolidato principio, che ben si attaglia al caso di specie, secondo cui “il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 nella parte in cui consente modificazioni dell’avviso di accertamento soltanto in caso di sopravvenienza di nuovi elementi di conoscenza da parte dell’ufficio, non opera con riguardo ad avviso annullato in sede di autotutela, alla cui rinnovazione l’Amministrazione è legittimata in virtù del potere, che le compete, di correggere gli errori dei propri provvedimenti nei termini di legge, salvo che l’atto rinnovato non costituisca elusione o violazione dell’eventuale giudicato formatosi sull’atto nullo.” (Cass. n. 25023/2016).

Le censure contenute nei restanti motivi di ricorso, che possono essere trattate congiuntamente in quanto logicamente connesse, sono fondate.

La ricorrente contesta, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, la ritenuta sussistenza di un “diritto reale di godimento” a favore dell’APT sul complesso alberghiero cui l’imposta si riferisce, in quanto la CTR non avrebbe considerato che la controversia che aveva contrapposto I’APT al Comune, avendo la prima rivendicato l’usucapione del bene in questione, si è conclusa con una sentenza di questa Corte che ha definitivamente rigettato la pretesa e dalla quale si evince che l’ente turistico era mero detentore qualificato dell’immobile, in quanto tale, non soggetto passivo dell’ICI.

Va, invero, rilevato che, in linea con quanto si legge nella menzionata sentenza n. 18905 del 2005, i giudici di merito avevano correttamente escluso la sussistenza della presunzione di possesso di cui all’art. 1041 c.c. dato che “le prove documentali prodotte – la cui valutazione di merito, esente da vizi logici, è incensurabile nella presente sede – consentivano di ritenere acclarato che il complesso turistico di Alberobello, realizzato su terreno a tal fine acquistato dal Comune e con i fondi della Cassa per il Mezzogiorno, fosse oggetto solo di detenzione da parte dell’EPT, ancorchè qualificata dai poteri di gestione conferitigli dal predetto ente finanziatore, con il consenso di quello territoriale”.

Ne discende che deve ritenersi coperto da giudicato l’accertamento della natura del titolo – “detenzione qualificata” e non “possesso” – in forza del quale il complesso alberghiero era nella disponibilità dell’ente turistico, anche con riferimento agli anni oggetto dell’accertamento impositivo, nei quali era certamente l’APT (prima EPT) ad avere la gestione dell’immobile di proprietà comunale.

Va, pertanto, ribadito ” che il “detentore” dell’immobile (che non ne sia proprietario, nè abbia sui medesimo un diritto reale) non può essere soggetto all’imposta che ex lege grava appunto solo su coloro che siano proprietari o abbiano un diritto reale sull’immobile ” (Cass. n. 10979/2011);

In conclusione, la sentenza impugnata deve essere cassata e, ricorrendone le condizioni, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento del ricorso originario della contribuente.

L’evolversi della vicenda processuale giustifica la compensazione delle spese per i gradi di merito, mentre le spese della fase di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

LA CORTE, accoglie il terzo ed il quarto motivo di ricorso, rigetta il primo ed il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della contribuente. Compensa le spese di giudizio della fase di merito e condanna il Comune di Alberobello al pagamento di quelle del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.300,00, per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

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