Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25568 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. II, 12/11/2020, (ud. 11/09/2020, dep. 12/11/2020), n.25568

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23600/2019 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17,

presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA DEL NOSTRO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GUGLIELMO PISPISA, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MESSINA, depositato il

04/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/09/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 4.6.2019, comunicato in data 11.6.2019, il Tribunale di Messina rigettò il ricorso proposto da S.A. avverso la decisione della Commissione Territoriale di Palermo di diniego della domanda di protezione internazionale nella forma del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto di rilascio di un permesso umanitario.

1.1. S.A., cittadino del (OMISSIS), aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio paese di origine perchè, a seguito di un rapporto sessuale con una ragazza sedicenne, i familiari lo avevano picchiato e minacciato di morte.

1.2. Il Tribunale ritenne intrinsecamente inattendibili le dichiarazioni fornite dal ricorrente, perchè non sufficientemente dettagliate ed osservò che l’agente della persecuzione era un privato, nè la vittima aveva dimostrato che le autorità locali non avrebbero fornito adeguata protezione. Non ravvisò i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potendo ravvisarsi nella zona di provenienza del ricorrente, la zona di Dakar, una situazione di violenza indiscriminata tale da minacciarne l’incolumità sulla base delle fonti internazionali. Disattese anche la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. Per la cassazione del decreto ha proposto ricorso S.A. sulla base di due motivi.

2.1. Ha resistito con controricorso il Ministero degli Interni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis e dell’art. 46 della Direttiva CEE N. 2013/32/UE del 26.6.2013 per aver omesso di svolgere un’effettiva indagine sul paese di provenienza e sul contesto nel quale sarebbero maturate le minacce.

1.2. Il motivo è inammissibile per genericità perchè si limita all’elencazione di norme e principi elaborati dalla giurisprudenza senza confrontarsi con la ratio decidendi ed omettendo di allegare le ragioni per le quali il racconto sarebbe credibile.

1.3. Anche in relazione al riconoscimento della protezione sussidiaria, il ricorrente si limita ad indicare altre fonti internazionali – Viaggiare sicuri e Consigli di Viaggio Senegal – che, rivolgendosi ai turisti, danno atto di una situazione di tensione all’interno del Paese, senza sfociare in un conflitto armato interno o internazionale secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, alla quale questa Corte di è uniformata (17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12; Cass. n. 13858 del 2018).

1.4. Con le citate pronunce, la Corte di Giustizia ha affermato che i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), potendo l’esistenza di un conflitto armato interno portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 14, lett. c) della direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire la detta minaccia.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere il Tribunale esaminato le circostanze relative alle minacce subite dai familiari della ragazza ed il rischio di detenzione per l’accusa del reato di violenza sessuale nei confronti di una ragazza minorenne e per non aver valutato le circostanze riferite in ordine al periodo di permanenza in Libia, rilevanti ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. L’assenza di credibilità delle dichiarazioni del ricorrente esclude che possa ipotizzarsi un danno grave, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), nè una situazione di vulnerabilità, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie. Il Tribunale ha motivato il rigetto della protezione umanitaria sulla base delle stesse allegazioni del ricorrente, che ha prospettato una situazione di estrema difficoltà a livello personale, familiare ed economico, inidonea ad integrare una compromissione dei diritti umani fondamentali.

2.3. L’accertamento della condizione di vulnerabilità avviene, infatti, in ossequio al consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/05/2019 n. 13088; Cass. civ., sez. I, n. 4455 23/02/2018, Rv. 647298 – 01), alla stregua di una duplice valutazione, che tenga conto, da un lato, degli standards di tutela e rispetto dei diritti umani fondamentali nel Paese d’origine del richiedente e, dall’altro, del percorso di integrazione sociale da quest’ultimo intrapreso nel Paese di destinazione. Le Sezioni Unite hanno consolidato l’indirizzo espresso dalle Sezioni Semplici, secondo cui occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto nel nostro Paese, isolatamente ed astrattamente considerato (Cassazione civile sez. un., 13/11/2019, n. 29459).

3. Il ricorso va pertanto rigettato.

3.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

3.2. La condanna al pagamento delle spese del giudizio in favore di un’amministrazione dello Stato deve essere limitata, riguardo alle spese vive, al rimborso delle somme prenotate a debito (Cassazione civile sez. II, 11/09/2018, n. 22014; Cass. Civ., n. 5859 del 2002).

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 11 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

 

 

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