Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25568 del 10/10/2019

Cassazione civile sez. I, 10/10/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 10/10/2019), n.25568

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28128-2018 proposto da:

M.E., rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Daniela

Sacchi del foro di Lecco, presso il cui studio è elettivamente

domiciliato, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

Avverso il decreto del Tribunale di Milano, n. 4997 depositato

l’11/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA

GIOVANNA SAMBITO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto dell’11.9.2018, il Tribunale di Milano ha rigettato le istanze volte in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, avanzate da M.E. cittadino della Nigeria ((OMISSIS)). Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di cinque motivi, successivamente illustrati da memoria. L’Amministrazione non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 per non avere il Tribunale applicato i principi in materia di attenuazione dell’onere della prova, ed aver ritenuto non credibile il particolareggiato racconto da lui reso, nonostante il principio di prova fornito, lo sforzo per circostanziare la domanda e la tempestività della relativa presentazione. Sotto altro profilo, il ricorrente fa presente che i soggetti responsabili della persecuzione possono essere soggetti non statuali, evidenziando che nell’esame della domanda di protezione è irrilevante che il richiedente possegga effettivamente le caratteristiche razziali, religiose, sociali o politiche che provocano gli atti di persecuzione, quando siffatta caratteristica gli venga attribuita dall’autore delle persecuzioni.

2. Col secondo motivo, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, lett. b) per non avere il Tribunale ritenuto che il pericolo di essere perseguitato in quanto professante la religione cristiana costituisca persecuzione per motivi religioni. In Nigeria, afferma il ricorrente, sono stati uccisi migliaia di cristiani, talchè lo status di rifugiato avrebbe dovuto essergli riconosciuto.

3. I motivi, da valutarsi congiuntamente sono, in parte, infondati ed, in parte, inammissibili.

4. Il Tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente – secondo cui era fuggito per evitare di succedere al padre quale leader degli (OMISSIS) per la sua appartenenza alla religione cristiana – evidenziandone la dissonanza con le notizie reperite ex officio sia sulla setta degli (OMISSIS) society – propria di classi sociali elevate, alle quali non appartiene la famiglia del ricorrente- in cui sussiste bensì la tradizione della successione nella carica, ma non consta che il rifiuto sia sanzionato in modo violento o intimidatorio; sia sulla setta degli (OMISSIS) cult, in cui non consta la tradizione di una successione per via dinastica del leader, tanto meno quando si tratti di soggetto, come nella specie, non interessato a farvi parte. Il Tribunale ha pure ritenuto non credibile l’appartenenza del richiedente alla religione cristiana, non essendo neppure battezzato, aggiungendo, sotto altro profilo, che egli non aveva neppure esposto di aver subito atti definibili come persecutori o narrato di concrete minacce legate al riferito suo rifiuto.

5. Tali conclusioni risultano adottate in conformità dei parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c) non risultano scalfite dalla generica censura di violazione di legge, in quanto la valutazione relativa alla credibilità soggettiva, che attiene al giudizio di fatto, non può essere in questa sede messa in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e tale fatto non è stato dedotto. Per altro verso, il ricorrente non specifica quale principio di prova abbia fornito, tale non potendo considerarsi la zona di sua provenienza, tendendo, piuttosto, la censura, che neppure contrasta la considerata assenza di atti persecutori, ad un riesame dei fatti, inammissibile in questa sede di legittimità.

6. Con il terzo motivo, si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) per non avere il Tribunale esaminato “in modo sufficientemente adeguato” la condizione di pericolo esistente nel sud della Nigeria di provenienza di esso ricorrente.

7. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta che il giudice a quo è incorso in violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non avendo assolto al suo dovere di cooperazione istruttoria. Tutto il territorio della Nigeria, prosegue il ricorrente, è afflitto dagli scontri provocati dagli adepti del gruppo terroristico di (OMISSIS), allo scopo di innescare una guerra interreligiosa, come documentato da varie fonti internazionali.

8. Anche questi motivi, riferiti al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, vanno esaminati congiuntamente e vanno rigettati.

Il Tribunale ha infatti escluso, al lume di principi affermati dalla Corte di Giustizia UE (17 febbraio 2009, Elgafaji, C465/07 e 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018), il caso della “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) coerentemente alle indicazioni dei consultati più recenti reports inerenti la zona di origine ((OMISSIS)), molto distante da quella (Nord del vasto Paese) per la quale l’UNHCR ha dato indicazioni di non rimpatrio ed il relativo accertamento implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il cui risultato può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5, e che non è stato dedotto. Rilevato, quindi, che il dovere di cooperazione istruttoria è stato osservato, anche in questo caso, la censura tende, in definitiva, ad una diversa valutazione di fatto.

7. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

8. Il motivo è inammissibile. La censura non deduce alcuna situazione di vulnerabilità, non rilevata dal Tribunale, e tale situazione deve riguardare la vicenda personale del richiedente, diversamente, infatti, verrebbe in rilievo non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti.

8. Non va disposto sulle spese in assenza di attività difensiva della parte intimata. Essendo stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono i presupposti per il versamento del doppio contributo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019

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