Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25566 del 12/11/2020

Cassazione civile sez. II, 12/11/2020, (ud. 11/09/2020, dep. 12/11/2020), n.25566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23762/2019 proposto da:

C.M., rappresentato e difeso dall’avvocato CORRADO

LOFARI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto di rigetto n. 3369/2019 del TRIBUNALE di BARI,

depositate il 28/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/09/2020 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Bari disattese l’opposizione proposta da C.M., in contraddittorio con il Ministero dell’Interno e la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, avverso il provvedimento di diniego in sede amministrativa della domanda di protezione internazionale dal predetto avanzata;

ritenuto che il richiedente ricorre sulla base di quattro motivi avverso la statuizione e che il Ministero è rimasto intimato;

considerato che il primo motivo, con il quale il ricorrente denunzia nullità del provvedimento, assumendo violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., perchè il Tribunale non aveva esaminato la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, tenuto conto del rischio di subire torture e trattamenti inumani nel paese d’origine (Mali), non supera il vaglio d’ammissibilità, in quanto la decisione ha giudicato inattendibile la narrazione (il richiedente aveva asserito che il suo patrigno, ove fosse tornato in Mali, lo avrebbe ucciso, senza alcun contorno di approfondimento e specificità tale da vestire di apprezzabile veridicità il racconto) e, sulla base delle informazioni delle COI, l’assenza di una situazione di violenza diffusa e incontrollata, specie nella regione di provenienza (Kayes) e perciò solo, in assenza di ulteriori allegazioni del richiedente, anche il vantato diritto alla protezione umanitaria deve reputarsi privo di fondamento; diritto, che, comunque, il Tribunale ha espressamente negato a pag. 3 del provvedimento;

considerato che il secondo motivo con il quale il deducente lamenta, ancora una volta, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per non essere stata vagliata la domanda diretta al riconoscimento del diritto d’asilo, ex art. 10 Cost., è manifestamente destituito di fondamento, avendo questa Corte, da tempo chiarito che il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3 (Sez. 6, n. 16362, 4/8/2016, Rv. 641324; conf., ex multis, Cass. n. 11110/2019);

considerato che il terzo motivo, con il quel viene dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9, addebitandosi al Tribunale di non avere esercitato i poteri istruttori doverosi per legge, è inammissibile, essendo diretto, nella sostanza, a un improprio riesame di merito della vicenda:

– il Tribunale ha escluso la sussistenza di una situazione di violenza diffusa e incontrollata, sulla base delle acquisite fonti di conoscenza, in conformità all’orientamento di questa Corte, la quale ha avuto modo di chiarire che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6, n. 18306, 08/07/2019, Rv. 654719);

– l’interessato non ha evocato alcun pericolo per la propria persona derivante dalla situazione generale del proprio Paese, ma solo il timore che il patrigno avrebbe potuto ucciderlo;

considerato che anche l’ultimo motivo, con il quale viene denunziata violazione falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6 e L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 1, sotto il profilo dell’omessa motivazione a riguardo della revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sul presupposto della manifesta infondatezza della domanda, è inammissibile, avendo questa Corte condivisamente chiarito che l’adozione del provvedimento di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato con la pronuncia che definisce il giudizio di merito, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non ne comporta mutamenti nel regime impugnatorio, che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 dello stesso D.P.R., dovendosi escludere che quel provvedimento sia impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione (Cass. n. 10847/2020, Rv. 657893).

considerato che non deve farsi luogo a regolamento delle spese poichè il competente Ministero non ha svolto difese in questa sede;

considerato che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) è applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;

che di recente questa Corte a sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

PQM

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020

 

 

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