Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25564 del 27/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 27/10/2017, (ud. 19/04/2017, dep.27/10/2017),  n. 25564

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.F., elettivamente domiciliato in Roma, via Vittoria

Colonna n. 27, presso l’avv. Gianni Massignani, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avv. Michele Muriti, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto

n. 265/05/14, depositata il 10 febbraio 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19

aprile 2017 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale dott. Fuzio

Riccardo, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’avvocato dello Stato Barbara Tidore per la ricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto indicata in epigrafe, con la quale è stato rigettato l’appello dell’Ufficio e confermato il diritto di S.F. al rimborso parziale della somma da lui restituita all’INPDAP nel 2010 a seguito di sentenza della Corte d’appello di Venezia che, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva ritenuto non spettante l’importo che aveva percepito a titolo di trattamento di fine servizio: in particolare, il contribuente aveva chiesto il rimborso di Euro 34.837,31 (oltre interessi), somma erroneamente restituita in più del dovuto, in quanto corrispondente alla ritenuta fiscale operata dal detto ente, in qualità di sostituto d’imposta, sull’importo effettivamente erogato.

La CTR ha respinto la tesi dell’Ufficio, secondo cui lo S. avrebbe potuto realizzare il credito soltanto con le modalità previste dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10, comma 1, lett. d-bis, (cioè mediante deduzione della somma dal reddito complessivo), affermando che la norma è inapplicabile al caso di specie poichè la somma corrisposta era stata assoggettata a tassazione separata e che, comunque, “la previsione di deduzioni ex art. 10 non potrebbe in alcun modo far venire meno la comune realizzazione del diritto di credito tramite il conseguimento di una dazione da parte del debitore”, con le modalità, alle quali in contribuente si è attenuto, di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21.

2. Il contribuente resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 preleggi, art. 2033 cod. civ., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 3, art. 10, comma 1, lett. d-bis e art. 17.

Sostiene che: a) ai sensi e per gli effetti dell’art. 10, comma 1, lett. d-bis, cit., “sono deducibili dalla base imponibile IRPEF relativa all’esercizio in cui avviene la restituzione, nonchè di quella afferente agli esercizi successivi per l’eccedenza, le somme che hanno concorso a formare il reddito imponibile IRPEF in una determinata annualità e successivamente restituite al soggetto erogatore. Ciò a prescindere dalla circostanza che le somme restituite siano state assoggettate a tassazione ordinaria ovvero a tassazione separata”; b) il legislatore ha previsto, per il caso in questione, che il rimborso debba avvenire con l’ anzidetta modalità della deduzione, cioè in forma indiretta mediante la riduzione (o l’azzeramento) di quanto ancora dovuto, per cui “deve escludersi che, in un’ipotesi siffatta, il contribuente possa, anzichè procedere alla deduzione, richiedere il rimborso dei tributi corrisposti in relazione alle somme successivamente restituite”.

2. Il ricorso è infondato.

E’ sufficiente rilevare che, contrariamente alla tesi della ricorrente sopra esposta nel punto b), la norma in esame riconosce al contribuente esclusivamente la facoltà di utilizzare, nella dichiarazione dei redditi, il meccanismo della deduzione dell’onere dalla complessiva base imponibile (e cioè, in sostanza, una forma di restituzione per compensazione), con la conseguenza che il mancato esercizio di tale facoltà non preclude affatto il ricorso all’ordinario strumento della procedura di rimborso, mediante presentazione della relativa domanda nel termine previsto a pena di decadenza (nella specie, quello biennale stabilito, in via residuale, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2).

L’azione di rimborso di somme indebitamente versate ha, infatti, portata generale in materia tributaria e come tale non può, salvo espressa disposizione contraria, ritenersi preclusa in presenza di ulteriori modalità di recupero del pagamento indebito, la cui utilizzazione è prevista a più limitati fini ed è rimessa alla libera scelta del contribuente (cfr., in tema di imposte sui redditi, in relazione alla presentazione di dichiarazione integrativa del D.P.R. n. 322 del 1998, ex art. 2, comma 8-bis, Cass., Sez. un., n. 13378 del 2016, e, con riguardo alla richiesta di detrazione del credito d’imposta ex art. 15 del TUIR, Cass. n. 21968 del 2015, nelle quali si è precisato che l’omessa utilizzazione delle indicate procedure comporta soltanto l’impossibilità di fruire, rispettivamente, degli istituti della compensazione e della detrazione in sede di dichiarazione, ma non precludono il ricorso all’azione di rimborso; analogamente, in tema di IVA, in relazione alla procedura di variazione del D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 26 v. Cass. nn. 7330 del 2012 e 14239 del 2017).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

3. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 3000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2017

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