Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25560 del 10/10/2019

Cassazione civile sez. I, 10/10/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 10/10/2019), n.25560

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23524/2018 proposto da:

B.S., rappresentato e difeso dall’avvocato Federica Martini,

elettivamente domiciliato in Roma Viale Eritrea n. 98 presso lo

studio dell’Avv. Claudia De Palma giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Milano, n. 3860 depositato il

20/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA

GIOVANNA SAMBITO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con Decreto 20 luglio 2018, il Tribunale di Milano ha rigettato le istanze volte in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, avanzate da B.S. cittadino del Gambia, il quale aveva dichiarato di essere espatriato perchè, avendo aderito alla religione cristiana era stato abbandonato dalla sua famiglia di fede musulmana, e perchè era stato arrestato per essersi occupato di un bambino di sei anni, consegnatogli da una sconosciuta, riuscendo a fuggire in un momento in cui era stato temporaneamente condotto fuori dal carcere. Il Tribunale ha ritenuto il racconto non credibile, ed insussistenti i presupposti per la tutela richiesta. Lo straniero ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di quattro motivi. L’Amministrazione non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 3, comma 3. Il ricorrente lamenta che il Tribunale non abbia riconosciuto alcuna forma di protezione, in base ad un’omessa o comunque erronea valutazione del suo racconto, ed omettendo di esercitare i propri poteri istruttori, come invece avrebbe dovuto, tenuto conto del principio di prova della persecuzione che egli aveva fornito, della difficoltà di reperire documentazione a sostegno e tenuto conto, pure, del contesto socio politico del Paese di origine.

2. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile. Se è vero che le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate alle lettere da a) ad e) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. n. 15782 del 2014, n. 4138 del 2011), va rilevato che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere, a suo carico, di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (Cass. n. 27503 del 2018).

3. Nella specie, il giudizio di non credibilità è stato assunto dal Tribunale in base alle rilevate intrinseche incongruenze dell’intero racconto: la conversione alla fede cristiana, che avrebbe determinato la rottura con la sua famiglia, non è stata ritenuta vera per la scarsa conoscenza dei tratti fondamentali di tale credo, desunto dichiarazioni rese dal dichiarante sulla vita e la morte di Cristo e sul significato della Pasqua. Del tutto inverosimile l’episodio del bambino di sei anni, che gli sarebbe stato momentaneamente consegnato da una sconosciuta e che invece avrebbe accudito per due settimane prima di recarsi alla Polizia, non chiariti il reato di cui sarebbe stato accusato e le circostanze della sua fuga, ed ignote le modalità del suo arrivo in Italia, dopo quattro anni dall’espatrio.

4. Va, quindi, rilevato, da una parte, che la valutazione di non credibilità del racconto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, ed insindacabile in sede di legittimità, e, dall’altra, che la valutazione di credibilità soggettiva costituisce una premessa indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento: le dichiarazioni che, come nella specie, siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente, ma non è questo il caso, dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. n. 871 del 2017).

5. Col secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per l’omessa valutazione della situazione “culturale e emotiva del ricorrente durante il soggiorno in Libia”. Il ricorrente che lamenta non essergli stata posta alcuna domanda sul suo avvicinamento all’Italia, lamenta la violazione del dovere di cooperazione istruttoria riferita al Paese di transito.

6. Il motivo è infondato. Contrariamente all’assunto del ricorrente, che confonde l’onere di allegazione con quello della prova, questa Corte ha di recente ribadito (Cass. n. 3016 del 2019) che solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto l’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda; in altri termini, la cooperazione istruttoria si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova. Nella specie, non solo il racconto del richiedente non fa alcun cenno al periodo della sua permanenza in Libia, ma secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 2861 del 2018; n. 31676 del 2018), l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione.

7. Con il terzo motivo, si lamenta, in subordine, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Il Tribunale ha errato, afferma il ricorrente, nel ritenere insussistente la situazione del conflitto interno e della violenza indiscriminata.

8. Il motivo è inammissibile: il Tribunale ha escluso, sulla scorta di report, che ha menzionato, che nel Gambia sussista una situazione di conflitto armato, situazione che, in base ai principi affermati dalla Corte di Giustizia UE (17 febbrario 2009, Elgafaji, C-465/07 e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018), può dar luogo alla tutela richiesta, quando si ritenga che gli scontri armati raggiungano un grado di violenza indiscriminata talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile correrebbe, per la sua sola presenza nel territorio coinvolto, un rischio effettivo di subire un danno grave. La contestazione delle conclusioni assunte al riguardo dal Tribunale e l’affermazione circa la sussistenza in concreto di siffatta situazione implica, dunque, un diverso giudizio di fatto estraneo a questa sede di legittimità.

9. Con il quarto motivo, si lamenta, in via ulteriormente subordinata, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere il Tribunale rilevato situazioni di vulnerabilità idonee al riconoscimento del permesso umanitario. 10. Il motivo è infondato. Infatti, la situazione di vulnerabilità va sempre riconnessa al rischio di subire nel Paese d’origine una significativa ed effettiva compromissione dei diritti umani fondamentali inviolabili, il che il Tribunale ha in concreto escluso e tale vulnerabilità – che nella specie non viene dedotta – deve comunque deve riguardare la specifica posizione del singolo richiedente, diversamente infatti si avrebbe riguardo alla situazione dell’intero Paese di origine.

10. Non va provveduto sulle spese, stante il mancato svolgimento di attività difensiva della parte intimata. Essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono i presupposti per il versamento del doppio contributo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2019

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