Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2556 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. I, 04/02/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 04/02/2020), n.2556

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – rel. Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32961/2018 proposto da:

O.J., elettivamente domiciliato in Roma Via Federico

Cesi, 72, presso lo studio dell’avvocato Andrea Sciarrillo che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Pietro Sgarbi;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– resistente con atti di costituzione –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 10/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/12/2019 dal Cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Ancona, con decreto pubblicato il 10 ottobre 2018, respinge il ricorso proposto da O.J., cittadino della Nigeria, proveniente dallo Stato di Enugu, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente non ha allegato di essere affiliato politicamente o di aver preso parte ad attività di associazioni per i diritti civili, nè di appartenere ad una minoranza etnica e/o religiosa oggetto di persecuzione come richiesto per la protezione internazionale nè lo stesso risulta compreso nelle categorie di persone esposte a violenze, torture o altre forme di trattamento inumano;

b) pertanto, i fatti riferiti non sono riconducibili alle previsioni della Convenzione di Ginevra, in quanto il richiedente riferisce di un solo evento e comunque di episodi che non risultano confermati dalle fonti relative alla zona di provenienza dello stesso;

c) neppure sussistono i presupposti per la protezione sussidiaria, visto che le notizie raccolte da aggiornate fonti internazionali affidabili evidenziano che i territori del Sud-Est della Nigeria che comprendono anche lo Stato di Enugu sono interessati dalla ferocia dei culti e dagli attacchi a scopo di rapina e in questi Stati si registra la lotta per l’indipendenza della zona del Sud-Est;

d) ne deriva che non possono dirsi presenti situazioni di violenza indiscriminata o di conflitto armato – pur nell’ampia accezione indicata dalla giurisprudenza – che possano coinvolgere il ricorrente in quanto dal suo racconto non si può desumere l’esistenza di una grave minaccia individuale e comunque nella zona di provenienza del richiedente non si registra una situazione tale per cui la sola presenza dei civili metta in pericolo la loro vita o la loro incolumità;

e) neppure può essere concessa la protezione umanitaria perchè la situazione del Paese di provenienza esclude la sussistenza di una condizione di elevata vulnerabilità all’esito del rimpatrio, le condizioni individuali di vulnerabilità rappresentate dal ricorrente non consentono da sole il rilascio del permesso per motivi umanitari e, d’altra parte, dai documenti prodotti non emerge alcuno sforzo serio compiuto dall’interessato per una effettiva integrazione nel tessuto socio-economico nazionale;

3. il ricorso di O.J., illustrato da memoria, domanda la cassazione del suddetto decreto per cinque motivi;

4. l’intimato Ministero non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione, senza svolgere poi alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il ricorso è articolato in cinque motivi;

1.1. con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e), sottolineandosi che il richiedente ha raccontato che nell’ambito dei violenti conflitti tra la popolazione indigena del (OMISSIS) riuniti nell’IPOB (contadini cattolici) e (OMISSIS) (pastori nomadi e musulmani) – il (OMISSIS) un gruppo di (OMISSIS) ha assaltato il proprio villaggio portando morte e distruzione trucidando la famiglia del ricorrente che, miracolosamente scampato, è riuscito poi ad arrivare in Italia;

pertanto, dalla anzidetta narrazione emerge la sussistenza dei presupposti per la protezione internazionale e l’appartenenza del richiedente ad un gruppo sociale per il quale, nel Paese di provenienza, non è garantito il rispetto dei diritti umani, con conseguente rischio per l’incolumità dei relativi componenti;

il richiedente aveva offerto tutti gli elementi necessari per descrivere la propria condizione, fornendo importanti particolari che ne consentivano il confronto con quanto riportato nei principali Report nazionali e internazionali e spiegando le ragioni per le quali temeva di essere ucciso al rientro in patria e quelle per le quali non poteva rivolgersi alla polizia per trovare tutela;

ne deriva che, ad avviso del ricorrente, è del tutto erronea l’affermazione contenuta nel decreto oggi impugnato secondo cui i fatti riferiti del richiedente non sono riconducibili alle previsioni della Convenzione di Ginevra (ai fini dello status di rifugiato) perchè il richiedente stesso non avrebbe allegato di essere compreso nelle categorie di persone esposte a violenze, torture o altre forme di trattamento inumano;

1.2. con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1-bis, per il mancato rispetto dei criteri stabiliti per la valutazione della credibilità soggettiva delle dichiarazioni del richiedente, per l’apodittica affermazione secondo cui le aggressioni menzionate dall’interessato si verificherebbero in zone diverse da quelle di provenienza, la quale risulta conforme ad analoga affermazione della Commissione territoriale basata però su Report riferiti all’Edo State e non all’Enugu State da cui proviene il ricorrente nonchè per il mancato esame di alcuni articoli estratti da quotidiani nigeriani prodotti in giudizio in traduzione asseverata da cui risultano non solo l’attentato del (OMISSIS) ma anche le aggressioni ad opera dei (OMISSIS) nella città del richiedente nonchè la sostanziale incapacità delle autorità nigeriane di arginare le violenze sempre più intense;

1.3. con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), contestandosi il diniego della protezione sussidiaria disposto senza prendere in considerazione il report completo dell’EASO del 4 settembre 2017 da cui risulta nell’Enugu State la presenza di un conflitto armato tra gli appartenenti al Movimento per la liberazione del Biafra e il governo nigeriano, che dà luogo ad una situazione di violenza generalizzata;

si sostiene che il mancato esame dell’indicato report nella parte specificamente dedicata allo Stato di Enugu rappresenta una violazione dell’art. 116 c.p.c., denunciabile in sede di giudizio di cassazione in quanto la parte del documento non esaminata offre la prova della sussistenza di un conflitto armato interno nella zona di provenienza del ricorrente e tale prova è di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del Tribunale in senso contrario, di modo che la “ratio decidendi” viene a trovarsi priva di fondamento (si cita: Cass. 28 settembre 2016, n. 19150);

1.4. con il quarto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, sui criteri applicabili all’esame delle domande di protezione internazionale, in particolare per la mancata valutazione sulla base di informazioni precise ed aggiornate sullo Stato di Enugu di provenienza del richiedente (tanto più che la Commissione territoriale aveva fatto riferimento ad Edo State);

1.5. con il quinto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione di numerose disposizioni normative con riguardo al rigetto della domanda di protezione umanitaria disposto senza considerare il diritto di asilo, il principio di non refoulement, la condizione generale di estrema instabilità della zona di provenienza del richiedente e quella sua personale di vulnerabilità soggettiva;

si precisa che la motivazione del decreto impugnato sul punto appare meramente apparente, mentre è necessario che si tratti di una motivazione specifica che non derivi automaticamente dal rigetto della domanda di protezione internazionale;

infatti, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in favore del cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455);

2. i motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati, nei sensi di cui in motivazione;

3. in materia di protezione internazionale il giudice deve valutare la situazione del richiedente sulla base non solo delle ragioni che spinsero l’interessato a lasciare il Paese di provenienza ma anche effettuando un esame dei fatti prospettati alla luce delle condizioni socio-politiche generali di suddetto Paese, in ossequio al disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), (Cass. 3 luglio 2017, n. 16356), e tale accertamento deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 27 luglio 2017, n. 18675; Cass. 3 novembre 2017, n. 26202; Cass. 12 settembre 2018, n. 22233);

nel caso di specie, il Tribunale, pur avendo ritenuto credibile il riferito attentato del (OMISSIS) nel quale un gruppo di appartenenti all’etnia (OMISSIS) (di religione musulmana) ha assaltato il villaggio del richiedente portando morte e distruzione e trucidando la famiglia del ricorrente che, miracolosamente scampato, è riuscito poi ad arrivare in Italia, tuttavia non ha svolto alcun accertamento attuale circa i violenti conflitti tra la popolazione indigena del (OMISSIS) riuniti nell’IPOB (contadini cattolici) e (OMISSIS) (pastori nomadi e musulmani), nella quale andava inserito il suddetto episodio;

inoltre il Tribunale, nel riferire le notizie raccolte da aggiornate fonti internazionali affidabili evidenziano che i territori del Sud-Est della Nigeria che comprendono anche lo Stato di Enugu sono interessati dalla ferocia dei culti e dagli attacchi a scopo di rapina non ha tuttavia posto tale situazione in collegamento con quella del ricorrente, come da questi riferito;

ne deriva che il Tribunale ha respinto la domanda di protezione internazionale senza rispettare la relativa disciplina, affermando cioè in modo apodittico che dal racconto dell’interessato non si può desumere l’esistenza di una grave minaccia individuale idonea a mettere in pericolo la vita o la incolumità dei richiedente, senza esaminare specificamente l’entità e la violenza dell’annoso conflitto nigeriano tra agricoltori (prevalentemente di religione cristiana) e fulani (di religione musulmana vedi: Cass. SU 9 settembre 2009, n. 19396) e la relativa incidenza sulla situazione del ricorrente;

4. pertanto, le censure suesposte devono essere accolte, nei suddetti sensi, con assorbimento di ogni altro profilo di censura, ivi compresi quelli concernenti la richiesta subordinata di protezione umanitaria, il cui esame va demandato al giudice di rinvio;

6. in sintesi, l’impugnato decreto deve essere cassato, nei sensi di cui in motivazione, con rinvio al Tribunale di Ancona in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame del merito della controversia, facendo applicazione dei principi di diritto suesposti, e provvedendo, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, nei sensi di cui in motivazione, cassa la il decreto impugnato, in relazione alle censure accolte, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Ancona, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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